Aaaaah, che soddisfazione i primi cinque minuti della Zanzara di ieri, con Giuseppe Cruciani che finalmente ha dato un minimo di risalto anche a chi vede pericoli di golpe e attentati alla democrazia tra le truppe berlusconiane (nel caso specifico, il pasdaran Giorgio Stracquadanio, il giravoltino Daniele Capezzone, e la "super patata OGM" Daniela Santanché, per usare il cortese appellativo affibbiato a quest'ultima da Alessandra Mussolini).
Però, caro Crux, per questi casi urge assolutamente sigletta appropriata, che faccia da contraltare a Radio Londra! Ai lettori dei blog: qualche idea?
Mentre Berlusconi pensa di scatenare la piazza, cosa che Cruciani per coerenza nei confronti della sua idiosincrasia per le manifestazioni, criticherà ferocemente stasera (vero Crux?), io per oggi mi fermo qui e cedo la parola a new entry che mi ha cortesemente inviato un articolo, peraltro molto coinvolgente. A presto, Authan
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[Il post di oggi è di Bart27]
Della puntata di ieri mi ha colpito molto l'intervista "Mission Impossible" a quel medico 51enne, tal Florenzo Doino, del Partito Comunista dei Lavoratori. Ha prodotto sul mio intero corpo sentimenti opposti: ho contemporaneamente goduto e sofferto, assai. E ho capito che dietro quel siparietto, apparentemente folcloristico, si muovono questioni importanti.
In poche righe è difficile spiegarsi, mi faccio quindi aiutare da due video, che trovate in calce al post: uno è "La domenica delle salme" di Fabrizio De André; l'altro è la scena di "Fantozzi" dove il ragioniere interpretato da Paolo Villaggio si fa sedurre dal comunismo. Vi invito a guardarli e ascoltarli entrambi, con calma.
Fatto? Allora proseguo. Provengo da una generazione nata realista. Ho 39 anni, e l'utopia non mi ha mai pervaso, né intellettualmente, né operativamente. Di tutte le mie rabbie adolescenziali, le ribellioni, le delusioni e anche le litigate, mi rimane poco, ma conservo il ricordo, e soprattutto un assunto di fondo, intatto: non viviamo in un mondo fantastico. O meglio, la vita sarebbe bellissima, ma ci sono condizioni oggettive, materiali, che la rovinano a milioni di persone.
Penso che sia un passaggio che ciascuno di noi, a suo modo, ha fatto. Da lì, complice il lavoro, la vita, gli accidenti, la fortuna e la sfortuna, ognuno si è ritrovato su un sentiero piuttosto che su un altro, contento, malinconico, allegro o disperato. Il mio sentiero, anni fa, raggiunse un bivio sul quale stavano due letture: "I sommersi e i salvati" di Primo Levi, e l'intera opera di Fëdor Dostoevskij, prima di tutto con "Memorie del sottosuolo".
Non vi annoierò con dotte, inutili, analisi, vi ho raccontato solo alcuni dettagli di quel mio bivio, giusto per dargli un sapore. Quel che mi preme raccontarvi è che quelle letture mi resero consapevole di una cosa che gli eventi mi avevano già fatto scorgere. Ossia che la realtà è complessa, piena di maschere, dove ciò che sembra in un modo può nascondere il suo opposto. Primo Levi usò l'espressione "zona grigia" per sintetizzare questo concetto.
Penso che anche questo passaggio, ciascuno a suo modo, lo abbiamo fatto tutti, chi più chi meno. E anche in questo caso, come se fosse l'estuario di un fiume, ognuna delle nostre storie si è incanalata in più modi.
Per tradurre in opere concrete e risultati quella consapevolezza che questo non è un mondo fantastico, occorre prima capire la realtà. E soprattutto capire chi è il tuo avversario, che volto ha e dove sta. Ma quando ci si rende conto che esiste una "zona grigia", ci si ritrova disarmati, senza, cioè, avere la possibilità di capire chi è il tuo avversario, che volto ha e dove sta, e dunque senza la possibilità di combatterlo.
Così, quel moto di ribellione che si prova di fronte alle mille ingiustizie che ci circondano, rimane senza sbocco, senza strumenti, senza prospettive radicali: è un po' come sentirsi un falegname senza braccia, un agricoltore senza zappa.
Da quel momento in poi ci si può solo accontentare. E da quel momento in poi chi sposa ancora l'utopia mi ha sempre provocato reazioni contrastanti. A volte lo considero naif, a volte lo considero un falso e incoerente (ad esempio, quando fa ristorazione di lusso), a volte lo trovo colpevole di molti danni (ad esempio, con la cultura del "sei politico" che alla Scuola italiana ha fatto solo del male), a volte lo trovo antipatico (nella versione da salotto).
Ma a volte lo guardo con occhio benevolo, perché mi ricorda anche che è uno degli ultimi rappresentanti di quel movimento globale che provò a dare una vera risposta, non riuscendoci, alla giusta rabbia di milioni di persone in tutto il mondo. Una rabbia del tutto simile alla mia, uguale a quella che avevo al liceo.
E qui vengo al punto.
Quel signore che Cruciani ha intervistato, sfoderando uno dei suoi più riusciti repertori di sarcasmo e presa per i fondelli, mi ha ricordato, di colpo, qualcosa che mi dorme sotto la cenere. E' un coacervo di sentimenti e pensieri, doppi, schizofrenici, che mi provocano al tempo rabbia e ilarità; rivolta e depressa assuefazione.
Il compagno Doino sembrava fosse estratto da un barattolo pieno di formalina, mi è sembrato un dinosauro. Cruciani, giustamente, lo ha irriso e io, all'inizio ho goduto. Prima di tutto per ragioni che non c'entrano con la politica. Cruciani lo prendeva in giro così smaccatamente, e lui proprio non se ne accorgeva. Ecco, la prima cosa che racconta la pochezza di un uomo è il fatto che non capisca l'ironia, non capisca quando lo si prende in giro, non capisca che gran parte della comunicazione tra esseri umani si svolge "tra le righe".
Poi, però, ho iniziato a provare fastidio, in maniera sempre crescente, raggiungendo il culmine quando Cruciani ha chiosato a suo modo, ossia con una musica, in salsa super-sarcastica. Una "musica", nella quale milioni e milioni di persone, per decenni, hanno riposto le loro speranze per una vita migliore.
E la cosa più triste, per me, è che c'è voluto un dinosauro per sentir parlare, una buona volta, di temi IMPORTANTI. Infatti, levato il linguaggio delirante, ragnateloso e grossolano col quale il Doino argomentava la sua rivoluzione e incensava bollini di contro-rivoluzione, è uno dei pochissimi, ad esempio, che ha parlato di sfruttamento (vedi i giovani dei call-center), o di diritto alla salute (vedi le lobbies farmaceutiche). Ripeto, in modo delirante, ma almeno se ne è sentito parlare.
E allora, il sarcasmo di Cruciani mi è sembrato alla fine nettamente fuori misura. Mi ha ricordato che il nostro Paese vive dei problemi che sono il frutto di ferite antiche, e dove un intero pezzo della nostra storia viene ridicolizzato, come se non fosse nemmeno avvenuto.
Come ho detto all'inizio, non ho mai sposato l'utopia, non sono mai stato comunista. Ma sono molto contento che il movimento operaio in generale, e il Partito Comunista Italiano abbiano dato un contributo molto importante alla storia del mio Paese. Se ho POTUTO studiare, se ho POTUTO curarmi, ad esempio, lo devo soprattutto a quella storia. Che per questo rispetto, anche se qualche suo ultimo rappresentante mi fa solo sorridere.
Sono ateo, e combatto certo clericalismo bigotto. Ma sono molto contento che dal mondo cattolico sia provenuto un contributo molto importante alla storia del mio Paese, partendo da Don Milani arrivando fino a Karol Wojtyla.
Un modo per dire, al di là di quello in cui ciascuno di noi crede, che deve esistere un terreno comune reso fertile dalla parola RISPETTO, sul quale una comunità deve piantare le proprie radici. Noi l'avremmo: si chiamerebbe Costituzione della Repubblica Italiana, che, vi giuro, non è niente male.
Qui concludo, molto curioso di conoscere le vostre reazioni, e vi lascio quindi ai due video. Spero, in coppia, che vi facciano intravedere la stracciatella di pensieri che mi balenano nel capo in certe occasioni.
Uno, quello di De André, provoca malinconia funeraria. L'altro, quello di Fantozzi, fa ridere... solo ridere?
Ciao a tutti e scusate la lunghezza.
Bart27
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Fabrizio De André, "La domenica delle salme" (1990)
Fantozzi diventa comunista.