venerdì 29 maggio 2009

Perdersi in un bicchier d'acqua

[AVVISO: dopo questo post, il blog chiude per una decina di giorni causa vacanze dell'autore. A presto, Authan]

Come perdersi in un bicchier d'acqua. Lesson one.

Dario Franceschini, come senz'altro ricorderete, in recenti puntate di Ballarò, trovandosi a dibattere su temi legati alla figura di Silvio Berlusconi una volta con Carlo Rossella e la volta successiva con Maurizio Belpietro, ha ritenuto fondamentale far presente che i summenzionati giornalisti sono “dipendenti” del cavaliere.

Giuseppe Cruciani, che già in precedenti occasioni aveva stigmatizzato l'atteggiamento del leader del PD, questa faccenda del "dipendente" proprio non l'ha mandata giù. Ha continuato a rimuginarci sopra e ieri è stato folgorato da un'ideona: inscenare una specie di protesta in trasmissione. Prima di consentire agli ascoltatori che entravano in diretta di cominciare il loro intervento, il conduttore della Zanzara ha sistematicamente chiesto a ciascuno di essi, dal primo all'ultimo, se fossero dipendenti di qualcuno o qualcosa, e se sì di chi o di cosa

Cosa rimprovera Cruciani a Franceschini di preciso? Il fatto che qualificare Rossella e Belpietro come dipendenti di Berlusconi sia un modo subdolo per screditarne le idee. Con la scusa di “dare un'informazione per completezza” si lascia in realtà intendere che gli interlocutori non siano persone intellettualmente libere, e che le loro opinioni siano al soldo di un padrone. In sostanza, sarebbero dei servi.

Secondo me tutto questo ragionamento è una tempesta in un bicchier d'acqua. Un bicchier d'acqua nel quale Cruciani si è tristemente perso.

A tutti piacerebbe che il confronto politico fosse caratterizzato dal massimo fair play. Ma non è così, facciamocene una ragione. Se un politico si trova nella disperata situazione di dover salvare il partito di cui è segretario da un tracollo elettorale, inevitabilmente egli si aggrapperà anche a qualche mezzuccio e infliggerà qualche colpo basso per recuperare un minimo di consenso. Non è uno scandalo. Non c'è da indignarsi.

Lo stesso Berlusconi, qualche anno fa, apostrofò Michele Santoro invitandolo a contenersi in quanto “dipendente pubblico”. Sì, d'accordo, non è la stessa cosa rispetto alla punzecchiatura di Franceschini, ma il concetto di "dipendente", il principio in base al quale un giornalista non può non tener in alcun conto chi sia il suo datore di lavoro, è il medesimo.

Come ha fatto notare un ascoltatore ieri (e come ripete spesso Luca Telese, che saluto visto che stasera sarà in conduzione alla Zanzara), sulla Stampa di Torino non leggeremo mai un articolo dove si stronca senza pietà il nuovo modello della Fiat. Non lo leggeremo mai perché il mondo funziona così. Nessun direttore di giornale metterà mai in cattiva luce il proprio editore. Esiste un principio di lealtà che umanamente è impossibile ignorare. Non c'entra l'essere "servi" (che brutta parola, non andrebbe usata mai), c'entra l'aziendalismo che è una caratteristica fisiologica di ogni rapporto tra datore di lavoro e dipendente.

Ponetevi una domanda: se in un mondo immaginario, Maurizio Belpietro venisse a conoscenza, in esclusiva e con tanto di prove, di un altrettanto immaginario mega-scandalo riguardante Berlusconi, pubblicherebbe la notizia? Io la certezza assoluta di una risposta affermativa non ce l'ho. Ma lo stesso identico discorso potrei farlo per qualunque direttore di giornale riferito al suo editore.

Domanda numero due. Se in una futura puntata di Ballarò, con ospite Ezio Mauro, direttore di Repubblica, si discutesse di un ipotetico scandalo riguardante Carlo De Benedetti, trovereste così pazzesco, così vergognoso, così ripugnante che si facesse notare come Carlo De Benedetti sia l'editore di Repubblica, e che quindi Mauro può essere condizionato da un conflitto di interessi? Io no.

Ripeto, Dario Franceschini non ha brillato per fair play, ma la politica non è un pranzo di gala. Rossella e Belpietro, prima che della malignità di Franceschini, sono vittime di un gigantesco conflitto di interessi con cui essi stessi hanno allegramente accettato di convivere. Giusto o sbagliato che sia, spesso certe scelte comportano un prezzo da pagare che in questo caso è quello dell'insinuazione. Se Rossella e Belpietro non vogliono pagare questo prezzo, dovrebbero considerare l'idea di andare a lavorare altrove.

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Non posso lasciarvi dieci giorni senza neppure un contributo multimediale. Oggi cade a fagiuolo un bel pezzo dei Nirvana: "Serve the servants" (1993).




Serve the servants - Oh no
Serve the servants - Oh no
Serve the servants - Oh no
Serve the servants - Oh no

That legendary divorce is such a bore


giovedì 28 maggio 2009

Would you buy a used car from this man?

Politically correct o politically incorrect? Questo è il problema.

Quale delle due strategie è elettoralmente più efficace per un leader politico? Io non sono un esperto, ma se tale leader dovesse seguire le orme del re della politica (anzi, l'imperatore), Silvio Berlusconi, colui che ormai avvicina percentuali bulgare di consenso, la risposta è una sola: politically incorrect. E alla grande.

Del resto, non fu proprio il cavaliere a dare dell'utile idiota a Prodi? Del fallito a Soru? E dunque politically incorrect sia. All'insegna dei colpi bassi. Ma come spesso accade in questi casi, arriva il momento in cui l'allievo supera il maestro, cancellando i vecchi limiti e definendone di nuovi.

Così è successo con Dario Franceschini, il quale, con la sua dichiarazione di ieri riferita a Berlusconi (“italiani, fareste educare i vostri figli da quest'uomo?”, che poi è una variante del celebre slogan anti-Nixon “would you buy a used car from this man?”), decisamente non ci è andato leggero, suscitando peraltro le indignate reazioni di Piersilvio Berlusconi e degli altri figli del cavaliere.


Nixon


A mio avviso l'uscita di Franceschini può essere analizzata in due modi diversi a seconda del punto di osservazione:

1) Il primo è quello spiegato ieri da Giuseppe Cruciani alla Zanzara: “E' normale che in campagna elettorale ci possa essere una certa dose di brutalità. Si può essere corrosivi, feroci, ma quella di Franceschini è un'accusa diretta, personale, e molto pesante. C'è un salto di qualità che travalica i limiti”.

2) Il secondo punto di osservazione è quello spiegato oggi da Beppe Severgnini sul Corriere: “L'opposizione, in tutte le democrazie, cerca i punti deboli dell'avversario, soprattutto alla vigilia delle elezioni. Dov'è lo scandalo, qual è la novità? Se Piersilvio s'indigna, non ha idea di cosa avrebbe passato suo padre in America, in Germania o in Gran Bretagna”. In altre parole, in politica non si fanno prigionieri, non facciamo le mammolette.

A quale scuola di pensiero vi sentite più vicini? Io un po' ruffianamente, mi pongo più o meno nel mezzo.

Come Severgnini, sono convinto che se anziché in Italia, dove l'indulgenza regna sovrana, ci trovassimo in USA o UK, dove nel dibattito politico non ci sono limiti alle altezze (o bassezze) a cui può essere spostata l'asticella, i casi Noemi e Mills (per non menzionarne altri del passato), anche presi singolarmente, sarebbero stati sufficienti affinché Berlusconi venisse letteralmente sbranato e maciullato dai media e dagli avversari. Quella di Franceschini in confronto è stata quasi una carezza.

Tuttavia, confesso che nel momento in cui ho letto e ascoltato la frase di Franceschini io mi sono sentito a disagio. A me una politica a base di offese e di attacchi personali proprio non piace, a prescindere da chi sia o l'autore e il destinatario dell'attacco. Nel mio mondo ideale un certo qual bon ton dovrebbe sempre prevalere. Rinfacciare ad un avversario politico bugie e mezze verità è sacrosanto, ma ipotizzare eventuali inadeguatezze nell'educazione dei bambini secondo me è troppo. E' supponente. E' arrogante. E' una pipì fatta fuori dal vaso. Ed è politicamente off topic.

(Nota: Franceschini oggi ha chiarito che intendeva solo mettere l'accento sui “valori che un uomo pubblico, con i suoi comportamenti, trasmette alle giovani generazioni”. Ci credo, ma rimane il fatto che sarebbe stato meglio adottare una scelta di parole meno ambigua. E' comunque divertente osservare che di nuovo Franceschini sembra copiare, comunicativamente parlando, le tattiche del cavaliere: prima si fa la sparata, poi "si precisa".)

Ad ogni modo, sul caso Noemi, l'unico elemento politico su cui deontologicamente è appropriato premere l'acceleratore è il tema delle balle sparate dal premier. E' sufficiente. Tutto il resto, inclusi i rilievi sulla condotta pubblica e privata del premier, la conformità di tale condotta con il ruolo istituzionale, la coerenza con i messaggi (di uomo dedito al lavoro e con accanto una famiglia felice) tramandati in passato, viene da sé. Spontanemente. Spesso, le parole che fanno maggiormente male sono quelle non dette.


mercoledì 27 maggio 2009

La seduzione degli innocenti

Post breve e scarso, oggi, e pure fuori tempo massimo, ma mi è mancato il tempo. Perdonatemi.

La Zanzara di ieri si è ancora dimenata nei meandri del Noemi-gate, con Giuseppe Cruciani che ha insisito nel non cogliere (o nel fingere di non cogliere) il nocciolo del problema. Se stasera seguitasse a chiedere “dov'è la ciccia”, domani gli mando "il disegnino". Sto pensando ad una specie di Noemi-gate FAQ (Frequently Asked Questions). Può essere un'idea per il prossimo post. Vedremo se sarà il caso.

Per il resto, l'ultima frase pronunciata ieri da Cruciani prima di chiudere la trasmissione non poteva lasciare indifferenti: “Non penso che ci sia alcun modello culturale che Berlusconi o le sue televisioni abbiano imposto”.

Ecco, questo è il tipico esempio di crucianata. Il conduttore della Zanzara è talmente terrorizzato dall'idea che qualcuno possa prenderlo per anti-berlusconiano, che piuttosto di rischiare ciò si riduce a sostenere una panzana colossale.

In Italia e in tutto il resto del mondo le televisioni (quelle pubbliche e in maggior misura quelle commerciali) hanno avuto un impatto enorme sulla vita dei cittadini. Modelli culturali non sono stati imposti, vero, ma sono stati suggeriti, instillati, propagati. Poi ogni cittadino è stato, ed è tuttora, libero di accogliere tali modelli o di rigettarli, ma negarne l'esistenza è ridicolo.

Attenzione: non sto dicendo che la televisione sia uno strumento del demonio che ha lobotomizzato le teste delle persone. Non è un mostro che seduce menti innocenti. Chi sostiene ciò, a mio avviso, esagera. Ma non si può neanche dire che l'impatto della TV sia nullo. Non serve una laurea in sociologia per cogliere che questo paese (ma anche tutti gli altri) non sarebbe lo stesso senza le televisioni.

E in tutto questo discorso – notare – Berlusconi c'entra relativamente. Che le TV abbiano un impatto sulla vita degli italiani è una verità intrinseca, oggettiva e assoluta, che prescinde dall'esistenza del cavaliere, dalle sue proprietà e dalla sua attività politica. Se Berlusconi non esistesse non ci sarebbe il famigerato conflitto di interesse, ma non necessariamente le TV diventerebbero sorgenti di cultura e modelli di virtù.

martedì 26 maggio 2009

Tutti ladri = nessun ladro

"Posto che sia successo davvero, è da considerarsi immorale il fatto che Berlusconi abbia tenuto delle feste o dei festini con decine di giovani donne?"

Questa è stata l'incredibile domanda che ha pervaso la Zanzara di ieri sera, una delle più scoppiettanti di sempre. Dico "incredibile" non perché la risposta sia scontata: il concetto di immoralità è soggettivo, e ognuno pone i limiti che vuole. Dico "incredibile" perché è pazzesco che noi ci si ritrovi qui a discutere di festini e di harem, collegandoli alla figura istituzionale del presidente del consiglio.

Mi spiego con un esempio: chi vuole evitare al 100% una gravidanza indesiderata può decidere di praticare l'astinenza, eliminando il rischio alla radice. Allo stesso modo, se colui che guida un paese desidera che i media si concentrino sulle attività di governo senza dibattere delle sue vicende private, il sistema più sicuro è quello di far sì che non ci sia alcuna vicenda privata su cui dibattere.

Si coglie dove voglio arrivare? Un premier non si può presentare al party di compleanno di una graziosa diciottenne che conosce appena. Non perché sia immorale (non lo è, di per sé), ma perché ciò non è consono al suo ruolo.

Analogamente, un premier non organizza una festa o un festino popolato da decine di giovani fanciulle. Non perché sia immorale (di nuovo, non lo è, di per sé), ma perché ciò non è consono al suo ruolo. Specialmente (ma questa è solo "un'aggravante" che sebbene metta in luce una gigantesca incoerenza, non è il nodo cruciale della questione) se il premier è anche leader di una parte politica che propugna i valori della famiglia e che tiene in grande considerazione i dettami della Chiesa cattolica.

Qui non c'entrano nulla la moralità e l'immoralità, tanto che quando ieri sera, in trasmissione, la discussione ha preso questa piega, ne sono rimasto infastidito. Il problema non è la vita sessuale di Berlusconi ma la conformità di uno stile di vita (peraltro negato all'ossesso, come se di tale stile di vita ci si debba vergognare) con il ruolo istituzionale che egli ricopre.

Un presidente del consiglio deve essere un robot che lavora 24 ore al giorno per il paese. Questo è il mandato che gli è stato consegnato dagli elettori. Questo è il suo compito. Se Berlusconi vuole uscire dal tracciato - e ne ha tutto il diritto - può farlo, naturalmente, ma a suo rischio e pericolo. Giusto o sbagliato che sia, in tutte le democrazie occidentali la condotta, anche privata, di un leader politico è giudicata di pubblica rilevanza. Se il premier si dà al libertinaggio, come si può pretendere che la stampa ignori questa circostanza? La stampa fa il suo mestiere, scoperchiando pentole che non avrebbero mai dovuto essere messe sul fuoco.

Se poi la reazione del premier allo "scoperchiamento", anziché una pubblica ammissione di quel che è uno stile di vita (legittimo, ma del quale l'elettorato merita di essere posto a conoscenza), è una raffica di bugie, ecco che esplode il caso politico. Per il cinico uomo di mondo Giuseppe Cruciani non è il caso di scandalizzarsi, perché “in ogni politico esiste un tasso di menzogna”. Mi spiace, ma io non ci sto a questo approccio alla "tutti ladri = nessun ladro". Chi viene beccato a rilasciare dichiarazioni palesemente mendaci merita di essere screditato senza pietà, perché è esattamente questa la funzione di controllo che deve esercitare la stampa sulla politica.

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E' stata una Zanzara scoppiettante, dicevo all'inizio del post. Soprattutto per merito dei tre ospiti.

Ad inizio trasmissione Stefano Menichini, direttore di Europa, non si è limitato al ruolo di sparring partner di Cruciani (alla Caldarola o Loquenzi, per capirsi) sul Noemi-gate, ma, anzi, ha assestato anche qualche buon colpo d'incontro, ribattendo punto su punto alle considerazioni super-minimizzanti del conduttore della Zanzara. Complimenti, Menichini, dieci punti guadagnati.

Poi è stato il turno di Paolo Villaggio, che su temi molto seri quali razzismo e immigrazione ha mollato un paio di metaforici schiaffoni a Cruciani. Non che tali schiaffoni abbiano fatto davvero male, ma era evidente che quest'ultimo non se li aspettava, il che è stato abbastanza divertente.

Ancor più divertente, però, è stato il modo con cui Villaggio ha commentato la sua stessa intervista (prima parte, seconda parte) apparsa ieri sul Giornale. Insoddisfatto del "taglio" dato al pezzo, Villaggio, riferendosi all'autore dell'intervista, gli ha dato in ordine cronologico, del “deficiente”, del “poco onesto”, dello “sleale”, e, per chiudere in bellezza, dello “stronzo”. Cruciani da un lato era un po' imbarazzato, ma dall'altro a stento tratteneva le risa (e pure io, confesso) visto che il giornalista in questione, autore dell'intervista, è nientemeno che il nostro caro Luca Telese.

In chiusura di puntata, tornando al caso Noemi, è intervenuto lo scrittore Ruggero Guarini, berlusconiano di ferro, il quale è subito partito per la tangente con la dichiarazione che la sinistra è storicamente avvezza alla pratica “dell'annientamento dell'avversario politico tramite colpi bassi sul terreno della morale e della vita privata”. A dimostrazione di ciò, Guarini ha portato all'attenzione alcuni episodi avvenuti durante il processo a Maria Antonietta (!!!), dopo la rivoluzione francese. Sì, sì, avete letto bene. Maria Antonietta.

Poi, non contento, Guarini ha aggiunto che chi confonde la morale, o l'etica, con la politica è “antropologicamente un minus habens”. Sì, di nuovo, avete letto bene.

Per quel che mi riguarda, a prescindere dal fatto che, come questo post dimostra, io non confondo affatto la morale con la politica, ho trovato veramente irritanti le parole e l'atteggiamento saccente di Guarini, e sono rimasto dispiaciuto che Cruciani gli abbia comunque steso il tappeto rosso.

Capisco il riguardo per gli ospiti, ma se gli stessi identici concetti di Guarini fossero stati espressi da un ascoltatore qualsiasi, Cruciani ci avrebbe senz'altro litigato pesantemente per poi congedarlo il più presto possibile con il suo ferale “la ringrazio”, specie dopo l'uso dell'inaccettabile espressione "minus habens". Invece ieri il conduttore della Zanzara ci ha ridacchiato sopra. Sconforto e nausea, pessimismo e fastidio, ma che volete farci... Cruciani è anche questo.

lunedì 25 maggio 2009

Sogni e rivelazioni

Un Cruciani decisamente meno scazzato del giorno prima ha condotto venerdì una puntata che comunque non ha brillato per originalità, e sulla quale non ho granché commentare più di quanto già non abbia fatto nei post precedenti.

Mi limito pertanto ad una considerazione di carattere generale, ispirata dall'intervento che ha visto protagonista, in qualità di ospite, il vicedirettore di Repubblica, Massimo Giannini.

Si può avere legittimamente una cattiva opinione del martellamento di Repubblica sul caso Noemi, ma giustificare tale cattiva opinione osservando che i temi importanti per il paese siano "ben altri" (la crisi, il lavoro, le pensioni, le riforme, ecc. ecc.) è un atteggiamento veramente fastidioso. Non perché non sia vero, ma perché tale critica proviene spesso da chi ha fatto della distrazione di massa una professione.

Se esiste, motivatamente o immotivatamente, un Noemi-gate, è perché Berlusconi ne ha creato egli stesso, di sua iniziativa, i presupposti con i suoi atteggiamenti da farfallone, prestando poi il fianco, per via di spiegazioni palesemente contraddittorie, a interpretazioni pruriginose.

Con che coraggio ci si lamenta se Repubblica si è buttata a pesce sulla vicenda? Ci sarebbe da stupirsi se non lo avesse fatto, visto quanto tale quotidiano osteggia politicamente il premier. Repubblica non vive del solo contributo di commentatori da salotto, come il Foglio e il Riformista (detto con rispetto parlando, sia chiaro), ma è uno degli ultimi baluardi del giornalismo d'inchiesta. Se fiuta la notizia, Repubblica inizia a scavare. E - mi permetto di aggiungere - meno male che in Italia ci sono ancora giornali così! Che il cielo ce li conservi all'infinito.

A proposito del Foglio... Nell'edizione di oggi, Giuliano Ferrara, immedesimandosi nella persona del cavaliere, si prende gioco di Repubblica scrivendo le risposte - avute in sogno, a suo dire, come in una sorta di mistica rivelazione - alle famose dieci domande sul caso Noemi.

Ferrara, l'elefante, qualche volta sa essere di stimolo, ma in questa occasione egli ha dimostrato di non aver capito nulla di questa vicenda e delle motivazioni che stanno dietro al martellamento di Repubblica. Per il direttore del Foglio, "l'undicesima domanda" (voglio il copyright), quella non enunciata esplicitamente, ma l'unica che conti davvero, l'unica che Repubblica avrebbe dovuto avere il coraggio di porre, “la domanda giusta del giornalismo investigativo, quello da gran signori e non da maiali”, è la seguente: “Lei è fidanzato segretamente con la signorina Noemi Letizia?

No, Ferrara, no. Il quotidiano di Ezio Mauro non vuole sapere se Berlusconi “è fidanzato con(santo cielo, Ferrara, scriva come mangia! Quando si vuol intendere "si tromba" si deve scrivere "si tromba") Noemi. Repubblica vuole sapere se, nelle spiegazioni date alla stampa dopo la lettera all'ANSA di Veronica Lario, Berlusconi ha mentito. Repubblica vuole sapere se il presidente del consiglio è un bugiardo. Questo, e solo questo, è l'obiettivo (politico? Sì, "embé"?) di Repubblica, come ha spiegato chiaramente Massimo Giannini nel suo colloquio con Cruciani.

E ora qualcuno desti l'elefante prima che sogni qualcos'altro.

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Piuttosto che di quelli di Giuliano Ferrara, preferisco godere dei sogni degli Aerosmith. Eccovi la mitica "Dream on" (1973).




Sing with me, sing for the year
Sing for the laughter, sing for the tears
Sing with me, if it's just for today
Maybe tomorrow, the good Lord will take you away


venerdì 22 maggio 2009

Déjà vu

Ascoltare la Zanzara di ieri è stata un'esperienza triste, quasi deprimente. Una pena. Paragonerei la conduzione di ieri ad un trascinarsi per inerzia verso la fine del giorno, senza volontà, senza passione, come un clochard che cammina senza meta, strascicando i piedi. Non se gli sia morto il gatto, o se abbia litigato col vicino di casa, o se sia semplicemente sceso dal letto col piede sbagliato, ma il Cruciani di ieri sembrava veramente abbacchiato. O magari era solo stanco, chi lo sa. Fatto sta che ieri il conduttore della Zanzara non c'aveva proprio voglia. Amen, una giornataccia può capitare a tutti.

A parziale discolpa, però, bisogna tener conto che le notizie del giorno non erano particolarmente stimolanti. Non perché non fosse successo nulla di rilevante, ma perché ciò che è successo, come del resto suggerisce oggi un bell'articoletto non firmato sul Riformista, ricade in un gigantesco déjà vu che alla lunga comincia a diventare stucchevole.

Mi riferisco al solito discorso del cavaliere, ieri all'assemblea di Confidustria, con le solite bordate contro i giudici (“militanti di estrema sinistra”) che lo odiano, contro il parlamento (“inutile e controproducente” in quanto “pletorico”) che rende estenuanti i tempi per le nuove leggi e le riforme, contro la burocrazia che impedisce la rapida apertura dei cantieri per le infrastrutture, e contro la stampa che non racconta mai il vero. Il tutto condito dal suo solito ottimismo di cartone e dalle sue solite battute grevi e disarmanti (Emma Marcegaglia, con suo disappunto, è stata paragonata ad una velina). Insomma, le solite berlusconate che il premier ripete ogni tre per due, a cui fanno seguito le solite reazioni dei soliti noti.

(Però la frecciatina - clamorosamente bucata da Cruciani peraltro - di Dario Franceschini, per il quale Berlusconi “ormai si crede Napoleone”, mi ha fatto ridere. Quasi quanto Renato Schifani, secondo il quale la frase di Berlusconi sul parlamento inutile e controproducente era solo “una battuta”. Un mito. Schifani, intendo).

C'è qualcosa di originale che rimane da dire in fase di commento, di fronte a questo teatrino stantio? Poco o nulla. Mi limito solo ad sottolineare tre punti.

Primo. Come scrive oggi il giurista Michele Ainis sulla Stampa, e come suggeriva ieri lo stesso Cruciani, per fare le riforme basta solo volerlo seriamente. Se non le si fanno, aggiungo io, è per creare artificiosamente argomenti con cui avvalorare il messaggio in base al quale è necessario concentrare più potere nelle mani del premier. A me tutto ciò sembra lapalissiano.

Secondo. Il numero di parlamentari è sovrabbondante, verissimo. Ma lo scopo di ridurne il numero dovrebbe essere quello di valorizzarne il ruolo, e non quello di certificarne l'inutilità. Risparmio di stipendi a parte, quale sarebbe il vantaggio di passare da mille pupazzi a cento? Tanto vale chiudere il parlamento.

Terzo punto. Ieri, oltre ad aver accostato, in sostanza, i parlamentari a dei burattini che votano a comando su indicazione dei capigruppo, Berlusconi ha anche adoperato parole sprezzanti verso l'onorabilità dei parlamentari medesimi, visti come “capponi” e “tacchini” che non accetterebbero mai l'anticipazione del Natale (riferimento ad un'ipotetica legge che riduca drasticamente il numero di deputati e senatori).

Ebbene, Gianfranco Fini a parte, e al di là del fatto che nelle parole di Berlusconi c'è un fondo di verità, qualcuno ha notizia di reazioni da parte dei parlamentari del PDL? Berlusconi li schernisce, li umilia, e loro zitti e sorridenti, come se non fosse successo nulla. Incredibile. Sono senza parole. Non è rimasto loro neppure un briciolo di dignità.

Tutto questo mi ricorda un famoso vecchio sketch di Totò, nel quale il principe della risata sghignazzava come un matto raccontando di quando era stato preso a schiaffi e pugni da un tale che ce l'aveva a morte con Pasquale. “Ma che c'hai da ridere? E perché non hai reagito?”, gli urlava la sua spalla nello sketch. E Totò: “Ma che me frega a me, mica son Pasquale io!”.





giovedì 21 maggio 2009

Rigore è quando arbitro fischia

La Zanzara di ieri, ancora incentrata sulla sentenza Mills, è iniziata nel peggiore dei modi con l'ospitata di Giancarlo Loquenzi (ormai prossimo al titolo di mascotte ufficiale della trasmissione), il quale, istigato purtroppo da Giuseppe Cruciani, ha speso una decina di minuti a difendere il diritto di Silvio Berlusconi a riferire in parlamento sul caso. Il riferimento è alle recenti dichiarazioni di Antonio Di Pietro e di vari esponenti del PD, secondi i quali per il premier sarebbe più appropriato andare a difendersi dall'accusa di essere un corruttore di testimoni in tribunale, piuttosto che alla Camera dei Deputati.

Toc toc, Loquenzi, ci sei? Ce la fai? Sei connesso? Nessuno poneva una questione di diritto, ma di opportunità! E' ovvio che presidente del consiglio ha diritto di dire tutto quel che vuole in Parlamento, ma non c'è nulla di male nel ritenere che il prevedibile violentissimo attacco alla magistratura a cui assisteremo (anche se ieri Loquenzi, inconcepibilmente, ha avuto il coraggio di parlare di “processo alle intenzioni”, dopo che Berlusconi ha definito il giudice Nicoletta Gandus - e non è la prima volta - un “nemico politico”. Incredibile, incredibile…) sia istituzionalmente inopportuno. C'è poco da “trasecolare”, caro Loquenzi. Anzi, mi correggo, ce n'è molto, in questa vicenda, ma per ben altre ragioni.

Ha invece centrato perfettamente il punto, un'ora più tardi, Piero Sansonetti. Il direttore del nuovo quotidiano L'Altro ha sostenuto che la protezione del Lodo Alfano da un lato, e il pubblico atteggiamento battagliero con metaforiche mitragliate ad alzo zero rivolte ai magistrati dall'altro, sono due elementi incompatibili. Non da un punto di vista giuridico, chiaramente, ma da quello della coerenza. Sei intoccabile? Okay, ma abbi almeno la decenza di stare zitto.

Come termine di paragone, aggiungo io, si tenga presente l'atteggiamento ben più pacato e dignitoso, ricordato oggi in uno splendido articolo di Carlo Federico Grosso sulla Stampa, che tenne di Giulio Andreotti quando le procure di Palermo e Perugia lo processarono per attività mafiosa e omicidio volontario.

A sorpresa, Cruciani, seppur con toni più sfumati, su questo punto ha dato ragione a Sansonetti, citando a tal proposito un fondo del Foglio di ieri dove al cavaliere veniva suggerito, in sostanza, di non perdere le staffe, e di “affrontare l'ostacolo con la calma determinazione di chi attraversa un lago ghiacciato”.

Poi, verso la fine della trasmissione, è venuto il turno di Filippo Facci, il quale ha ripreso i concetti espressi nel suo pezzo pubblicato ieri sul Giornale. In tale articolo, il procedimento Berlusconi-Mills veniva definito come “il più ridicolo e inconsistente tra quelli che Silvio Berlusconi aveva subito da 16 anni a questa parte”, perché, a detta di Facci, “se una corruzione corrisponde a un dare per avere, manca la prova del dare e manca la prova dell'avere”.

Io ho molto rispetto per questa opinione e l'ho ascoltata/letta con interesse. Primo perché ho una buona considerazione per Filippo Facci, che ritengo un abile commentatore almeno fino a quando non si lascia sopraffare dalla sua ossessione morbosa per Marco Travaglio. E secondo perché almeno Facci è uno dei pochissimi che si è degnato di seguire nel tempo l'andamento del processo e di studiarsi il tomo di 400 pagine delle motivazioni della sentenza. Ciò premesso, da qui a dire che Facci ha sicuramente ragione ce ne corre. Altri commentatori, che conoscono anch'essi il processo a menadito, sono giunti a conclusioni opposte.

E comunque, in ultima battuta, il pensiero dei commentatori serve solo per trovare spunti su cui chiacchierare "al bar prima di tornare a casa". Quel che conta davvero è solo il verdetto finale a cui è giunto il legittimo collegio giudicante, secondo quando previsto dalla costituzione e dalle leggi della Repubblica. Sui contenuti di una sentenza si può liberamente questionare, ovviamente, ma prima o poi arriva sempre il momento in cui non resta che prenderne atto, senza mettere unilateralmente in discussione l'intero ordinamento dello Stato.

Un po' come nel calcio. Si può far uso di mille moviole, si può discutere fino alla nausea se era o non era rigore, ma quel che l'arbitro ha deciso rimarrà comunque e tutte le chiacchiere stanno a zero. Per citare Vujadin Boskov, mitico allenatore serbo di qualche tempo fa, “rigore è quando arbitro fischia”.

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Dal prossimo 2 giugno Cruciani condurrà una trasmissione televisiva su La7, intitolata "Complotti".

mercoledì 20 maggio 2009

Dopo di me il diluvio

Le motivazioni, depositate ieri, della sentenza di condanna del processo Mills, nelle quali Silvio Berlusconi viene citato come colui che si è avvantaggiato delle false testimonianze dell'avvocato inglese, hanno suscitato fortissime reazioni, e inevitabilmente questa è stata la vicenda al centro della scena durante la Zanzara di ieri.

Come in un gioco dell'oca, si ritorna alla casella iniziale”, per citare un'espressione pronunciata ieri dal vicedirettore di Libero, Gianluigi Paragone, ospite ad inizio tramissione. Vale a dire, ricominciano da capo le discussioni su Berlusconi: il conflitto di interesse, i processi, la magistratura, la sentenze pilotate, etc. E una volta di più mi ritrovo a sognare di vivere in un paese normale, con uno scenario politico normale, con due fazioni e due leader normali, dove l'attenzione, chiunque governi, è concentrata sempre e solo sui problemi dei cittadini e dello stato.

Si deve dimettere il presidente del consiglio?”, chiedeva ieri insistentemente Giuseppe Cruciani, come se questa fosse l'unica domanda importante, a qualunque ascoltatore gli capitasse a tiro. Ad un certo punto, dopo un'oretta, è arrivata pure la risposta del conduttore al suo stesso quesito: “No, non si deve dimettere, perché la stabilità politica di un paese è più importante di una sentenza di questo tipo.

Come già scrissi nel post del 20 febbraio 2009, dopo la sentenza Mills, secondo me l'approccio alla "dopo di me il diluvio" è ridicolo. Se di colpo, per qualunque ragione, Berlusconi non fosse più nelle condizioni di guidare il paese, il suo posto verrebbe semplicemente preso da un altro esponente politico del suo polo (Tremonti, o magari Letta) e tutto continuerebbe come prima. Un mondo senza Berlusconi è possibile.

Ciò detto, io non sono certo che il tema delle eventuali dimissioni sia il nocciolo della questione. Sarebbe un beau geste, certo, ma in realtà tutti sappiamo che Berlusconi non si dimetterà mai di sua iniziativa e nessuno glielo potrà imporre. Quindi, porsi il problema, in definitiva, è superfluo.

Il punto è un altro: fino a che punto la maggioranza degli italiani scenderà a patti con la propria coscienza? Fino a che punto ingoierà tutto? Quali ulteriori evidenze servono per convincere il paese che il centrodestra può continuare ad esistere, ad avere piena dignità, e ad avere magari lo stesso consenso che ha oggi, se non di più, anche senza l'imperatore?

(Per quel che mi riguarda ho sempre detto di non escludere un mio voto a destra in futuro, se tale polo mi presentasse un programma meritevole e un candidato credibile. Io ho la mente aperta e non sono politicamente tifoso di nessuno. Il tifo, per me, è un concetto che si applica solo al calcio.)

E' così che io la vedo. Se a destra non si aprirà nessun dibattito sull'opportunità di nominare un diverso leader, e se la maggioranza degli elettori, unici veri legittimi detentori dello scettro della democrazia, continuerà a dare fiducia al cavaliere, vorrà dire che il nostro è un paese che tollera la corruzione, anche quella certificata in un tribunale. Va tutto bene, se questo sarà il volere della maggioranza, alzerò le braccia e ne prenderò atto.

Ma sia chiaro, non piangerò neppure per un minuto. Continuerò a vivere la mia esistenza allegramente e pacificamente, con quella serenità che nasce dalla consapevolezza di non essere mai stato complice di questo degrado morale. Mai. Poter camminare a testa alta, giorno dopo giorno, ora dopo ora, secondo dopo secondo, per me conta più di ogni altra cosa.

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Il "diluvio" nel titolo mi regala la scusa per mettere come sigla finale una delle mie canzoni preferite di sempre: "Only happy when it rains", dei Garbage (1996).




I'm only happy when it rains
I'm only happy when it's complicated
And though I know you can't appreciate it
I'm only happy when it rains

You know I love it when the news is bad
And why it feels so good to feel so sad
I'm only happy when it rains


[...]

I'm only happy when it rains
I feel good when things are going wrong
I only listen to the sad, sad songs
I'm only happy when it rains

I only smile in the dark
My only comfort is the night gone black
I didn't accidentally tell you that
I'm only happy when it rains

You'll get the message by the time I'm through
When I complain about me and you
I'm only happy when it rains


[...]

I'm only happy when it rains
You wanna hear about my new obsession?
I'm riding high upon a deep depression
I'm only happy when it rains


martedì 19 maggio 2009

Sciacquarsi la bocca dieci volte

Ieri, alla Zanzara, per l'ottava puntata consecutiva si è parlato in prevalenza di immigrazione e respingimenti, e inevitabilmente si registra una certa ripetitività nelle opinioni e nelle considerazioni che vengono formulate. Speriamo che da stasera ci sia modo di affrontare anche altri argomenti.

Stavolta, a concentrare l'attenzione su di sé, è stato il mefistofelico ministro della difesa, Ignazio La Russa, che ha rilasciato dichiarazioni ben poco cortesi (anzi, diciamola tutta: dichiarazioni arroganti) nei confronti dell'UNHCR (alto commissariato ONU per i rifugiati) e del suo portavoce in Italia, Laura Boldrini.

Giuseppe Cruciani, pur difendendo nel merito il ministro riguardo la politica del governo sui respingimenti, ha ritenuto di biasimare i suoi toni sopra le righe e l'assenza di aplomb, e secondo me ha fatto decisamente bene. E' legittimo dissentire dalla Boldrini (io, che sono per i respingimenti, dissento) ma il nostro ministro della difesa, se vuole scrollarsi di dosso l'immagine da sgherro con il manganello, farebbe bene a frequentare un po' di scuola di diplomazia. Altrimenti cambi mestiere.

In aggiunta, Cruciani ha anche giustamente ridicolizzato la considerazione di La Russa in base alla quale la Libia sarebbe un paese “assolutamente civile” (giudizio che si fonda su una permanenza di mezza giornata nel paese di Gheddafi) che “garantisce i diritti civili almeno quanto la Spagna” (!). Sì, sì, lo ha detto per davvero. Qualcuno avvisi il ministro che il caudillo, Francisco Franco, non guida più il paese iberico da oltre trent'anni.

Oggi ho poco tempo, e anche la voglia di dissertare ulterioremente sulle dichiarazioni, gli atteggiamenti, e il ghigno infernale di Mefisto La Russa scarseggia. Per fortuna, in rassegna stampa ho trovato il commento perfetto in un editoriale non firmato pubblicato su Europa. Buona lettura.


LaRussa


lunedì 18 maggio 2009

L'undicesima domanda

Con un paio di giorni di ritardo, all'inizio della puntata di venerdì 15 maggio, Giuseppe Cruciani ha citato le famose dieci domande che Repubblica, tramite il suo vice-direttore Giuseppe D'Avanzo, ha recentemente rivolto invano a Berlusconi, a proposito del caso Noemi Letizia. Dopodiché, i radioascoltatori sono stati invitati a dire se tali domande avessero davvero una connotazione politica particolarmente rilevante o no. Anche se non lo ha detto in modo esplicito, dal tono di voce si è percepito chiaramente che per il conduttore della Zanzara non era affatto così.

Prima di dare la mia risposta, lasciatemi introdurre qualche considerazione preliminare.

Per quanto l'Italia sia un paese amante del gossip, quel che viene mormorato o intravisto dal buco della serratura raramente ha delle conseguenze di natura politica. La coerenza di un politico rispetto ai valori morali che propugna non viene giudicata importante. Non sto dicendo che sia giusto o normale, sia chiaro. Sto solo dicendo che è così. Sotto questo punto di vista, pertanto, l'inchiesta di Repubblica difficilmente produrrà un qualche effetto.

D'altro canto, è anche vero che in USA e UK, paesi che da un lato sono considerati patrie del giornalismo d'inchiesta e dall'altro danno molta importanza alla "morale" dei politici, sicuramente queste domande sarebbero state poste, non ho dubbi. Ne consegue che nella scelta di Repubblica di insistere sulla vicenda Noemi non ci sia nulla di deontologicamente scandaloso. Magari l'articolo di D'Avanzo non vincerà il premio Pulitzer, ma non è neppure un esempio di giornalismo spazzatura.

Qualcuno ha paragonato la vicenda di Noemi Letizia con il sex-gate di Bill Clinton e Monica Lewinsky, scandalo che quasi comportò l'impeachment dell'allora presidente americano. In realtà le situazioni sono molto diverse e il paragone è sostanzialmente improponibile, se non per il seguente punto: ciò che veniva contestato a Clinton, più che la sua relazione sessuale con la Lewinsky, era di averla negata sotto giuramento in una sua testimonianza durante il processo per le presunte molestie di cui lo accusava Paula Jones.

Nel caso Noemi, non siamo di fronte a nessuna formale dichiarazione giurata con tanto di mano sulla Bibbia, e quindi è anche giusto ricondurre il caso nei confini che merita, ma rimane il fatto che certe esitanti spiegazioni del cavaliere abbiano suscitato perplessità. La questione di fondo, qui, non è sapere i dettagli del rapporto tra l'incantevole Creamy Noemi e papi Silvio, o sapere se quest'ultimo sia o non sia sex-addicted. La questione di fondo sta invece nell'undicesima domanda, quella che sorge come diretta e spontanea conseguenza delle dieci di D'Avanzo: Silvio Berlusconi è o non è un bugiardo?

E sapere questo, per quel che mi riguarda, politicamente rilevante lo è eccome.

venerdì 15 maggio 2009

La ola

Non mi capita spessissimo di concordare con quel che scrive e dice Antonio Polito, ma l'intervento del direttore del Riformista all'inizio della Zanzara di ieri è stato da ovazione a scena aperta. L'avessi avuto vicino gli avrei dato un bacio sulla testa.

Ma procediamo con ordine… Rivolgendosi genericamente all'ONU, organizzazione di cui alcuni singoli membri hanno criticato l'Italia negli ultimi giorni per via dei respingimenti, Giuseppe Cruciani ha aperto la puntata ponendo una domanda: “perché l'ONU non apre bocca contro la Spagna e la Grecia che ogni anno bloccano e rispediscono indietro decine di migliaia di migranti?

A tale quesito, più che lecito, c'è in realtà una risposta semplicissima, e spiace che Cruciani non abbia saputo o voluto darla di sua iniziativa. Per fortuna che pochi minuti dopo ci abbia pensato Antonio Polito, l'ex spalla preferita dal conduttore della Zanzara (è stato ormai soppiantato da Giancarlo Loquenzi) a rivelare la banale verità. Cito testualmente:

“Quello che rende speciale il caso italiano e che provoca tutte le polemiche interne ed accuse esterne è tutto quel "di più" inutile e pericoloso di retorica xenofoba, a cui ha fatto riferimento il Capo dello Stato, che c'è nel discorso politico della maggioranza di centro-destra, e segnatamente nella Lega. La verità è che l'Italia non è l'unico paese europeo che sta provando a contrastare l'immigrazione clandestina, ma è l'unico ad avere un partito xenofobo al governo.”

Novantadue minuti di applausi. Mi sono alzato e ho fatto la ola. E oggi ne ho fatta un'altra quando ho letto l'editoriale di Polito sull'odierno Riformista, dove gli stessi concetti di ieri sera vengono ribaditi. Ciò che ha detto e scritto Polito coincide con quel che ho sempre pensato del movimento padano, e che avevo in parte messo per iscritto nel post del 6 febbraio 2009.

Bisogna dire le cose come stanno: una volta chiarita nuovamente la distinzione tra razzismo e xenofobia (razzismo = odio per il diverso, xenofobia = paura e ostilità per lo straniero), la nuda verità è che la Lega è un partito che trasuda xenofobia da ogni poro, prestando il fianco alle critiche più disparate, molte delle quali pienamente condivisibili (su ronde, medici e presidi spia, classi differenziate, etc.), anche se non tutte (ad esempio l'accostamento tra camicie verdi e camicie nere, avanzato ieri da Franceschini, è una ridicola esagerazione), e ciò danneggia l'immagine dell'Italia tutta prima ancora di quella dell'attuale governo. Come scrive Polito in chiusura del suo pezzo di oggi, il problema italiano è che la retorica xenofoba è al governo.

A far da contraltare al bell'intervento di Polito, c'è stato, successivamente, quello di tutt'altro profilo di Dario Fo, personaggio che potrebbe essere presentato come un archetipo di quel "sinistroide snob" dedito alle astrattezze contro il quale Luca Ricolfi aveva puntato il dito nel suo pluricitato articolo del 12 maggio. Cruciani ha provato enne volte a chiedergli cosa proponeva di fare con i barconi in arrivo, ma non c'è stato verso di ottenere una risposta concreta. Io voglio infinitamente bene a Dario Fo, ma la sinistra ha bisogno di gente che non faccia a pugni con la realtà.

***

A proposito di Ricolfi, il suo nuovo pezzo, sulla Stampa di oggi, è anch'esso notevolissimo. In pratica, il sociologo torinese dice che per quanto giusto sia il respingimento dei barconi, pensare che tale operazione rappresenti la svolta per quel che riguarda la questione sicurezza in Italia è ridicolo.

Se ci sono tanti delinquenti (italiani o stranieri, è irrilevante) in circolazione – sostiene sempre Ricolfi – è perché da un lato abbiamo una giustizia inefficiente, e dall'altro le carceri sono sempre stracolme (per due terzi da persone sottoposte a custodia cautelare e in attesa di giudizio) senza che all'orizzonte si vedano seri piani di edilizia carceraria.

Alla fine, conclude Ricolfi, il problema si può sintetizzare in una questione di tipo "idraulico": essendo impossibile gestire grossi flussi in uscita ma soprattutto in entrata nelle carceri, ne consegue l'incapacità dello Stato di dar corso alle pene che la lenta giustizia italiana commina, trasformando l'Italia in una specie di paradiso del crimine (definizione che si applica alle mafie in primo luogo, aggiungo io).

Morale: criminalizzare gli immigrati non serve a nulla. La sicurezza si migliora costruendo nuove carceri e efficientando la giustizia. Sono questi i punti su cui l'opposizione dovrebbe spingere, battendo i pugni sul tavolo, per contrastare la propaganda governativa, a tratti squallida.

Peccato che Ricolfi di cognome non faccia "Loquenzi": a distanza di soli tre giorni si sarebbe meritato un altro invito alla Zanzara.

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Mau Mau, "La ola" (1996)




Il derby è come fossero Pasqua e Natale
Feste inventate per farci dimenticare


giovedì 14 maggio 2009

Un uomo per tutte le stagioni

Puntata piuttosto scarsa quella della Zanzara di ieri, che ha vivacchiato su una perla, scovata da Ballarò nella trasmissione di martedì scorso, relativa al periodo in cui le coste della Puglia erano metà di innumerevoli carrette del mare cariche di albanesi in fuga dalla miseria verso il paese del bengodi. In particolare, Giovanni Floris ha mandato in onda un vecchio servizio del TG1, datato 30 marzo 1997, nel quale si sente Silvio Berlusconi manifestare tutta la sua commozione dovuta alla tragica morte di un centinaio di persone in seguito allo speronamento di un barcone ad opera di una nave di un motovedetta militare italiana.

Tra una lacrima e l'altra, però, è curioso come Berlusconi, riferendosi ai profughi albanesi, disse che essi“speravano di poter trovare qui un paese libero e democratico dove poter lavorare potersi affermare”, per poi aggiungere che la decisione dell'allora governo Prodi di pattugliare il basso adriatico era stata “azzardata, indegna di un paese come l'Italia che ha una grande tradizione di solidarietà e accoglienza”.

Sì, lo so, sembrano parole di Livia Turco. E invece no. Era proprio lui, il nostro Silvio.

C'è contraddizione tra quel Berlusconi”, ha chiesto Giuseppe Cruciani agli ascoltatori, “con quello di oggi, che fa la faccia cattiva ai clandestini, che appoggia pienamente i respingimenti verso la Libia, che sostiene che quasi nessun profugo ha realmente i requisiti per il diritto di asilo, e che molti di loro sono delinquenti reclutatati dalle organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di uomini?

Pur senza metterci enfasi e convinzione, il conduttore della Zanzara ha osservato che una contraddizione netta non si rileva: i tempi sono diversi, le circostanze sono diverse, in quel giorno del 1997 erano annegate decine di persone, tra cui molti bambini, e poi in dodici anni si può anche cambiare idea. E poi, tutto sommato, "la politica è anche questo".

Per me la contraddizione è invece grande come una casa, perché non è vero che gli scenari sono poi così diversi, sebbene siano passati dodici anni. Anche nel basso Mediterraneo ci sono state delle tragedie terribili, neppure lontane nel tempo, per le quali versare lacrime.

Ma il punto vero è un altro: ciò che, dall'osservazione di questa dicotomia berlusconiana, fa impressione più di ogni cosa è la capacità del cavaliere di adattarsi ogni volta al contesto, trasformandosi ora in un modo e ora nell'altro, come un perfetto camaleonte. Siamo di fronte ad uno dei segreti del suo successo.

Per lui non contano le idee, né i principi, e la verità non è altro che un concetto elastico, flessibile, da adattare alle circostanze. Non esiste una verità assoluta, e quindi non esistono neppure le menzogne, perché ogni parola vale solo per l'istante in cui viene pronunciata.

Un camaleonte, dicevo. Non un caimano. Berlusconi è tutto e il contrario di tutto. E contemporaneamente bianco e nero, caldo e freddo, buono e cattivo, gentile e severo, cinico e premuroso, serio e guascone, laico e religioso, liberista e statalista. Non c'è situazione in cui il cavaliere non possa mettersi a suo agio, e non c'è scenario da cui lui non riesca a trarne giovamento in termini di gradimento e di consenso.

Non v'è dubbio sul fatto che anche molti altri politici di qualsivoglia partito si dilettano nell'arte del trasformismo. Tuttavia, nessuno padroneggia tale arte con l'abilità di Berlusconi, un uomo senza età, senza tempo, e sempre buono per tutte le stagioni.


Superman For All Seasons


Non è necessario stupirsi, e chi ha il pelo sullo stomaco accetterà questo stato di cose senza scandalizzarsi. L'importante è non negare ciò che l'occhio attento osserva e registra: l'assenza di di una forma definita, di punti fermi, di certezze, e, soprattutto, di coerenza. Del resto, come può essere coerente colui che cambia sempre direzione, come una banderuola, a seconda di come gira il vento?

Chi sia veramente Silvio Berlusconi nessuno lo sa più per davvero. Forse nemmeno lui se lo ricorda. Si può avere il sorriso stampato, o la lacrima a comando, si può camminare tra ali di folla osannanti, si può avere il potere di fare e di comprare ogni cosa, ma quando l'intero universo è un palcoscenico, e recitare diventa il proprio stato naturale, si finisce col perdere la propria vera identità.

Avere mille facce è come non averne nessuna. E alla fine ci si ritrova soli anche se in compagnia, in una grande sala piena di oggetti eppure vuota, a mangiare in silenzio un piatto di minestrone, senza sentirsi mai sazi.

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Già in un precedente post avevo accostato Berlusconi a Superman. Non è da intendersi come un complimento, ma come un'associazione di idee. Il cavaliere, come il supereroe, oltre a essere invulnerabile sembra detenere un potere immane.

E allora beccatevi un'altra bella canzone sul più vecchio di tutti gli eroi: "Superman (It's Not Easy)" (2000), ad opera di Five for Fighting (nome d'arte del cantautore John Ondrasik).

Da Wikipedia: La canzone è interpretata dal punto di vista di Superman, benché nel testo del brano non venga mai fatto il nome del supereroe. Superman viene dipinto non come una creatura potente ed infallibile, ma come un semplice essere umano, con addosso la pressione di dover soddisfare le aspettative altrui, e adempiere ai propri doveri.





It's not easy to be me

mercoledì 13 maggio 2009

Lo schiaffo di Ricolfi e la coscienza di Facci

Io lo capisco che ciò che ha detto ieri Luca Ricolfi alla Zanzara, riprendendo i concetti espressi in un suo stesso articolo (da me citato en-passant nel precedente post) apparso sulla Stampa, possa "far male" ai simpatizzanti della sinistra (di cui peraltro io faccio parte, almeno finché sull'altra sponda ci sarà "quello là") come il peggiore degli schiaffi, ma bisogna avere il coraggio di incassare e di macinare il pensiero del sociologo torinese senza respingerlo a priori, al costo di sorbirsi un Giuseppe Cruciani quasi gongolante (“Fosse per me Ricolfi lo inviterei ogni sera.”)

La sinistra italiana è minoritaria per tante ragioni. Una di queste, evidentissima tanto che solo un cieco con un cane orbo può negarla, è sicuramente l'incredibile dominio sui media televisivi di cui gode il cavaliere. Ma illudersi che questa sia la sola ragione è puerile e inutilmente auto-consolatorio, perché non sta scritto da nessuna parte che se il cavaliere non esistesse la sinistra sarebbe sicuramente e sistematicamente maggioranza.

Io sono solito respingere al mittente le osservazioni di chi dice che la sinistra si nutre e si crogiola della propria presunzione di superiorità morale e dell'odio verso l'avversario politico. Per me, come ho detto tante volte, queste sono solo sciocchezze allo stato brado. Però, di fronte alla critica in base alla quale la sinistra su certi temi non sa scendere a patti con la realtà quotidiana e con i problemi concreti della gente io non so come ribattere, per il semplice motivo che in molti casi ciò corrisponde al vero.

C'e una sindrome da questo lato dello spettro politico, alla quale Ricolfi dà il nome di "astrattezza". Cito dal suo articolo: “Astrattezza vuol dire non voler vedere la dimensione pratica, concreta, materiale di un problema. Se non fossero ammalati di astrattezza i dirigenti del Pd capirebbero che il problema dell'Italia è che attira criminalità e manodopera clandestina più degli altri Paesi perché non è in grado di far rispettare le sue leggi, e che l'unico modo di scoraggiare l'immigrazione irregolare è di convincere chi desidera entrare in Italia che può farlo solo attraverso le vie legali.

Come ho accennato nel post di ieri, la fermezza nell'impedire ingressi clandestini è la base su cui si può costruire una sana e proficua integrazione di chi viene a stabilirsi in Italia seguendo le regole e le leggi. Perché mai - mi chiedo - bisogna regalare alla destra, in parte disgustosamente xenofoba, questo elementare principio che si fonda unicamente sul buon senso? E' assurdo. Ed è pure controproducente perché partendo da una posizione così irrealistica diventa più difficile controbattere l'inammissibile equazione immigrato = delinquente che parte della destra propugna senza vergogna.

Il solidarismo è un sentimento onorevole e meritorio, di cui io stesso mi faccio in parte portatore. Ma nel momento in cui diventa (cito ancora Ricolfi) “frutto del privilegio”, cioè “di chi ha un lavoro gratificante e un buon reddito, chi può permettersi di vivere nei quartieri migliori di una città, chi non deve combattere per un posto all'asilo o per una prenotazione in ospedale”, esso rischia di trasformarsi in un mero lavaggio della propria coscienza fine a se stesso. E' doloroso per me ammetterlo, ma credo che le cose stiano proprio così.

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A proposito di coscienza... Ormai quella di Filippo Facci pare stia sussultando e rimbalzando come una di quelle palline matte che usavamo da bambini, a giudicare dal suo intervento all'inizio della Zanzara di ieri (ma anche da altri recenti interventi e articoli).

Quando si è arrivati a toccare il nuovo caso Mentana (il quale ha definito Mediaset “un gruppo che sembra un comitato elettorale, dove tutti ormai la pensano allo stesso modo, e del resto sono stati messi al loro posto proprio per questo”), è stato esilarante assistere al tentativo di Cruciani di estrarre con le tenaglie dalla bocca di Facci delle parole minimizzatrici, mentre invece quest'ultimo, rinunciando ad una certa circospezione dopo averla preliminarmente annunciata (“devo stare attento a quello che dico”), ha di fatto dato ragione a Mentana su tutta la linea.

Ecco due frammenti particolarmente significativi del Facci pensiero:

“Qualcosa è cambiato. Le scelte che sono state fatte per quanto riguarda i vertici dell'informazione Mediaset sono state molto più attente all'accondiscendenza nei confronti dei vertici dell'azienda stessa (intendeva riferirsi a Silvio Berlusconi) che non all'effettiva capacità di essere grandi uomini d'informazione rispetto ai canoni classici.”

“C'è un problema complessivo di involuzione dell'informazione nel nostro paese, indipendentemente da Mediaset e indipendentemente da come l'informazione sta cambiando in tutto il mondo occidentale. La mistura tra show e informazione è qualcosa i cui confini si fa sempre più fatica a comprendere, in Italia più che altrove.”

Di questo passo, tra non molto vedremo Filippo Facci pubblicare libri per la casa editrice ChiareLettere...

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Per chiudere, lasciatemi salutare il mitico Ottavio da Milano, il protagonista di una delle perle della Zanzara più belle di sempre (“Fatto?”), che è intervenuto ancora ieri intorno alle 20:40, proprio sul caso Mentana. Se qualcuno conosce Ottavio lo avvisi da parte mia: lo voglio come columnist fisso qui! :-)

martedì 12 maggio 2009

Delirium Tremens

Sull'intervento in diretta, ieri, di un Francesco Cossiga probabilmente sotto l'effetto di Delirium Tremens, preferisco stendere un velo pietoso. Dico solo che l'ascoltatore che, verso la fine della trasmissione, ha invitato il conduttore della Zanzara e tutti i giornalisti in genere a non intervistare più il presidente emerito non aveva tutti i torti, secondo me. Non perché Cossiga non debba avere diritto alla parola, ma per il semplice motivo che fare l'esegesi delle sue parole è ormai un'impresa improba. E' cioè impossibile distinguere il Cossiga serio da quello guascone e da quello arteriosclerotico, posto che una tale differenziazione sia realmente mai stata fattibile.

Cossiga a parte, in primo piano alla Zanzara di ieri c'è stato ancora il tema dei respingimenti, con molte telefonate particolarmente infervorate da parte degli ascoltatori sia a favore che contro la nuova strategia governativa volta a limitare l'approdo sulle coste italiane dei famigerati barconi.

Cruciani ha avuto vita abbastanza facile nel replicare a chi si opponeva ai respingimenti: “Quale alternativa proponete che non sia quella di consentire lo sbarco indiscriminato di tutti i clandestini sul suolo italiano?” Nessuno ha saputo dare una risposta concreta a questa domanda, per il semplice motivo che una risposta concreta non esiste.

Da alcuni giorni mi interrogo su cosa sia giusto e cosa sia etico. Ci sono persone che soffrono, in fuga dalla miseria e colpevoli soltanto di essere nati del paese sbagliato. Però questa è un'emergenza umanitaria della quale non può farsi carico l'Italia da sola. In quest'ottica, la politica dei respingimenti, interpretata non come una mera azione di polizia ma come un deterrente volto a scoraggiare ulteriori partenze, così da porre fine al vergognoso traffico di esseri umani praticato da criminali senza scrupoli, appare appropriata.

E' doloroso, certo, ma provocare del dolore oggi è il prezzo da pagare per impedire che un dolore più grande venga provocato domani. Dopo alcuni giorni di riflessione, mi sono convinto che qualunque discussione sul tema dei respingimenti deve partire dal presupposto che tale strategia è quanto di meno peggio si possa oggi attuare. Come scrive Luca Ricolfi sulla Stampa di oggi, “l'unico modo di scoraggiare l'immigrazione irregolare è di convincere chi desidera entrare in Italia che può farlo solo attraverso le vie legali”.

Spulciando in rassegna stampa, ho poi trovato condivisibile l'articolo di Sergio Romano sul Corriere. Ecco il passaggio più significativo: “Il Partito democratico non può limitarsi a criticare. Se vuole essere credibile deve accettare l'ipotesi dei respingimenti, magari con maggiori controlli italiani e internazionali sui campi dei rifugiati in territorio libico, o chiedendo, nello spirito delle dichiarazioni di Fini, che le domande d'asilo vengano raccolte e verificate in Libia. Gli sarà più facile, in tal modo, cercare di correggere quelle parti della legge sulla sicurezza che puzzano di xenofobia e rispondono alle idiosincrasie della Lega piuttosto che alle reali esigenze del Paese.”

Romano centra il punto: l'accettazione della politica dei respingimenti è la base da cui il PD può partire per rivolgere al governo puntuali rilievi su come viene affrontato il tema dell'integrazione degli immigrati. D'altronde, c'è solo l'imbarazzo della scelta: medici spia, presidi spia, classi scolastiche differenziate, difficoltà nel rinnovo dei permessi di soggiorno, diffusione di un clima di paura e diffidenza, etc.

Vi lascio con un quiz. Quale esponente politico, per nulla sinistroide, ex ministro dei governi Berlusconi nella legislatura 2001-2006, facendo riferimento alla campagna elettorale tutta incentrata sul tema dell'immigrazione, ha rilasciato questa testuale dichiarazione? Hey, non vale cercare con Google, eh!

«C'è il rischio di dare consistenza crescente a sentimenti di razzismo e xenofobia. E anche di eccitare la violenza fisica contro gli immigrati. È un pericolo enorme. Anche perché così si alimentano possibili reazioni da parte degli immigrati regolari. Non dimentichiamoci gli assalti di camorra ai nigeriani nel casertano o la contestazione dei cinesi a Milano o la protesta delle preghiere islamiche collettive a Piazza Duomo e al Colosseo. Nel mezzo della recessione, e in una fase di tensioni sociali crescenti, il rancore verso gli immigrati può scatenare conflitti devastanti.»

SOLUZIONE: Beppe Pisanu, in un'intervista al Sole 24 Ore del 12 maggio 2009.

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POST SCRIPTUM: E' ora di finirla con questa storia (citata anche ieri alla Zanzara) che la Spagna di Zapatero sia solita sparare allegramente ai barconi di clandestini. Non è così. Si fa confusione con alcuni disordini avvenuti nell'ottobre 2005 nell'enclave spagnola di Ceuta, in territorio marocchino, in cui effettivamente alcune persone persero la vita. Ma da qui a dire che l'uso delle armi da fuoco sia la prassi, come spesso si lascia intendere, ce ne corre.

lunedì 11 maggio 2009

Ultime dal pianeta Terra

Mettiamo in chiaro una cosa. Un conto sono i cosiddetti "respingimenti", azioni tanto dolorose, almeno per chi non ha un cuore di pietra, quanto giuridicamente legittime e, sotto molti punti di vista, più che giustificabili, sebbene il cinico menefreghismo di molti (ahimé pure quello di Cruciani, a constatare da ciò che ho ascoltato alla Zanzara di venerdì) verso la sorte dei disperati sui barconi, in balia delle corrotte e violente autorità libiche, è disturbante.

Un altro conto, invece, è esprimere la propria contrarietà all'idea dell'Italia quale paese multietnico. Il riferimento, ovviamente, è alle dichiarazioni rilasciate sabato 9 maggio dal nostro presidente del consiglio, Berlusconi, il quale, nell'ambito di una conferenza stampa in cui commentava con favore la novità dei barconi rispediti indietro, ha detto testualmente: «L'idea della sinistra è quella di un'Italia multietnica. La nostra idea non è così.»

Io sarò duro di comprendonio, ma non riesco a vedere il nesso tra una politica più severa in termini di lotta all'immigrazione clandestina (sacrosanta, almeno finché non sfocia nella discriminazione e nella negazione di diritti fondamentali: istruzione, salute, etc.) e il concetto di multietnicità. Qualcuno può spiegarmi? C'è magari qualche fissato su argomenti quali l'identità nazionale e l'italianità che può aiutarmi a capire? Toc, toc, Cruciani, una parola chiara su questo tema me la posso aspettare stasera? E' d'accordo con Berlusconi sì o no? Se sulle "leggi razziali" di Franceschini abbiamo sentito di tutto e di più, su quest'altra fesseria, infinitamente più grave, si soprassederà allegramente?

Solo una cosa. Per favore, non cominciamo ora con le menate sulla "decontestualizzazione" e sulla "estrapolazione di poche parole da un discorso più ampio". Il concetto è chiaro. Poi magari oggi, tanto per cambiare, il cavaliere smentirà se stesso, ma per fortuna ci sono le registrazioni: Berlusconi non vuole un'Italia multietnica, questo è il principio che è stato chiaramente formulato, non importa se per motivi elettorali o meno.

Per quel che mi riguarda, io ho solo una semplice, stupidissima domanda: su quale pianeta vive il nostro premier?

In quello in cui vivo io, il pianeta Terra, esistono fior di nazioni (USA, Francia, Inghilterra) in cui, per varie ragioni storiche, la popolazione è da decenni, se non da secoli, una mescolanza di diverse etnie. Piaccia o non piaccia, è una realtà consolidata, e, piaccia o non piaccia, tale scenario, visti i tassi di fertilità delle donne italiane che rendono fondamentali dei flussi in entrata (regolamentati, s'intende), inevitabilmente si concretizzerà anche in Italia, sebbene questa sorta di osmosi sia un'evoluzione che procede con grande lentezza e gradualità.

E' destino che sia così. Non è qualcosa su cui si possa questionare, o dubitare. Non è un tema su cui ci si possa dichiarare favorevoli o meno. E' un fatto che va semplicemente accettato in quanto ineluttabile, come la morte e le tasse. Il treno della storia avanza in una direzione sola, e mai e poi mai gli si potrà far fare marcia indietro.

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Spesso non riesco a selezionare alcun contributo multimediale decente con cui accompagnare il post. Oggi, invece, mi sono venute in mente ben tre-dico-tre idee, senza neanche averci dovuto pensare troppo.

1) Mau Mau, con una delle loro canzoni capolavoro, "Ellis Island". Ellis Island è il nome dell'isolotto sul fiume Hudson che fino ad una sessantina di anni fungeva da frontiera d'ingresso degli immigranti che giungevano via nave negli Stati Uniti.

2) Rolling Stones, "Out of time". Se non su un altro pianeta, Berlusconi quantomeno vive fuori dal tempo.

3) Soul Asylum, "Runaway Train", a proposito del treno che “never comes back”.

Buon ascolto :-)



Mau Mau, "Ellis Island" (1996)




Rolling Stones, "Out of time" (1966)




Soul Asylum, "Runaway train" (1993)

venerdì 8 maggio 2009

Anima migrante

Premessa: io sono il primo ad auspicare che si ponga fine agli sbarchi dei barconi carichi di disgraziati e di disperati. Non perché non abbia pietà per loro, ma perché pragmaticamente è chiaro a tutti come l'Italia non possa farsi carico di accogliere tutti i migranti del mondo senza alcun limite. Al di là di questioni etiche e morali, e al di là di ogni considerazione riguardo la storia italiana che narra di grandi fuoriuscite verso il nord Europa, le Americhe e l'Australia, non si possono ignorare le oggettive difficoltà pratiche che sorgono da una immigrazione non regolata.

Mi è quindi venuto istintivo, ieri, plaudire alla notizia che tre imbarcazioni in rotta verso l'Italia erano stata intercettate e scortate al porto libico dal quale esse erano salpate. Magari questa nuova strategia – mi sono detto – potrà fungere da deterrente per scoraggiare ulteriori partenze dalle coste del paese di Gheddafi.

Anche Giuseppe Cruciani, all'ultima Zanzara, ha accolto con favore la novità, non dando peso alle proteste cho sono state sollevato da varie organizzazioni internazionali tra cui l'alto commissariato Onu per i rifugiati, e lì per lì ammetto di non aver trovato nulla da ridire.

Poi, però, stamattina, dando un'occhiata nelle rassegne stampa, mi sono imbattuto in un articolo di Repubblica la cui lettura mi ha scosso. Alcune delle persone che nelle ultime settimane sono sbarcate a Lampedusa hanno raccontato di orrende sevizie e stupri praticati ai loro danni dai poliziotti libici. Su questo non si può soprassedere, perché dimostra che le partenze dei barconi dai porti della Libia non avvengono all'insaputa delle autorità locali. Tutt'altro.

E allora la novità delle imbarcazioni rispedite indietro mi chiedo come si incastri in questo scenario. Perché la Libia accetta di riprendersi i barconi quando invece non fa nulla, apparentemente, per impedirne la partenza? Non c'è qualcosa di strano? Non è il caso di approfondire un po' la questione, anziché limitarsi a gongolare per esserci tolti "dai Maroni" un paio di centinaia di invasori? Cosa ne faranno le autorità libiche dei disperati rispediti indietro?

Io credo che siano domande non solo lecite, ma anche doverose. Un conto è rispedire degli irregolari nei loro paesi di origine. Un conto è scaraventarli nella braccia di sadici aguzzini e chi s'è visto s'è visto. Se siamo un paese civile non possiamo semplicemente voltare la testa dall'altra parte.

A giudicare dalle ultime trasmissioni della Zanzara, però, sarà ben difficile contare su Cruciani per provare a capirci qualcosa di più sui reali termini degli accordi che sono stati intrapresi tra Berlusconi e Gheddafi. Probabilmente questo argomento è giudicato noioso e nocivo per l'audience, al contrario delle elucubrazioni di altissimo spessore che ieri ci sono state regalate dal nuovo opinionista cult della Zanzara, il "merlo maschio" Lando Buzzanca, senza le quali non varrebbe più la pena di vivere. Manco fosse Califano.

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Il post è già troppo lungo e non ho più modo di dissertare della proposta boutade (ridicolizzata da Cruciani, ma senza foga) del leghista Matteo Salvini di riservare ai milanesi dei posti privilegiati nei tram della capoluogo lombardo. Nessuno ha realmente avuto il coraggio di appoggiare questa provocazione demente. Anche un giornalista profondamente destrorso come Gianluigi Paragone non ha potuto fare a meno di dirgliene quattro a questo emerito beeeeep di Salvini, e tanto mi basta. Per oggi.

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Nel 1992, la band napoletana degli Almamegretta (nome che in un antico dialetto significa "anima migrante") sale alla ribalta degli ambienti musicali underground con un pezzo ipnotico, intitolato “Figli di Annibale”, dal testo molto molto molto interessante.




Se conosci la tua storia sai da dove viene
Il colore del sangue che ti scorre nelle vene

giovedì 7 maggio 2009

In missione per conto di Dio

La figura al centro dell'attenzione, durante la Zanzara di ieri, è stata quella del segretario del PD, Dario Franceschini, per via di un paio di sue dichiarazioni che Giuseppe Cruciani, l'uomo che solitamente digerisce tutto senza neanche un ruttino, non è riuscito a mandar giù. In particolare:

1) Due sere fa, a Ballarò, Franceschini ha sminuto le qualità professionali di Carlo Rossella, bollandolo come “dipendente di Berlusconi”.

2) Ieri, in un incontro pubblico, il leader del PD ha paragonato le norme incluse nel decreto sicurezza, di imminente approvazione, che tendono a criminalizzare lo stato di clandestinità degli immigrati, alle leggi razziali, quelle promulgate nel 1938 dal regime fascista in funzione anti-ebraica.

Secondo me, prima di avanzare qualunque commento, è doveroso sottolineare una premessa che sta alla base dell'atteggiamento in stile "voce grossa e pugno sul tavolo" del segretario del PD: Dario Franceschini, come i Blues Brothers, è in missione per conto di Dio.

Il suo obiettivo è uno solo: salvare il PD dal tracollo, con ogni mezzo necessario, recuperando il più possibile quelle frazioni di consenso che nei mesi scorsi, per via di un'opposizione a molti apparsa troppo fiacca, sono traghettate verso l'IdV e la sinistra radicale. Per questo Franceschini sta usando un linguaggio secco, politicamente scorretto, a volte quasi brutale. E' la strategia comunicativa che elettoralmente, nel breve, funziona meglio, come insegna il successo di Berlusconi, colui che di tale strategia è l'inventore.

Una volta posti in quest'ottica, il riferimento alle leggi razziali, che è chiaramente un'enormità, appare comprensibile (che non significa condivisibile). Come direbbe Cruciani se si degnasse di usare sempre lo stesso metro di giudizio, "la politica è anche questo". E invece il conduttore della Zanzara ha scelto la strada dell'indignazione, anche su lui non la definirebbe in questo modo perché lui, che ha visto cose che voi umani non potete neanche immaginare, non si indigna mai.

Ma cosa, se non l'indignazione, può avere spinto Cruciani a reagire alle parole di Franceschini nel modo provocatorio e sgradevole ascoltato ieri, mandando in onda ripetutamente, lungo l'intero arco della trasmissione, con modi vagamente denigratori, frammenti di un documentario sulle vere leggi razziali del 1938? Per una volta che (come avvenne per Bossi e i suoi fucili) sarebbe davvero bastato liquidare il tutto con un “Franceschini ha esagerato, andando oltre il limite di una normale dialettica, ma la politica è anche questo e amen”, si è invece usata la clava, e giù mazzate. Per me non c'è coerenza.

Venendo a Carlo Rossella, ho poi giudicato leziosa la difesa d'ufficio che ne ha fatto Cruciani. Fermo restando l'umano rispetto che per tutte le persone è sempre dovuto, se un giornalista, oltre ad essere filo-berlusconiano fino al midollo, non si fa problemi a mettersi a libro paga del cavaliere, non può seriamente aspettarsi che nessuno mai glielo rinfacci. Colui che di sua iniziativa si marchia la fronte con lo stemma della real casa, non può poi pretendere che nessuno ci punti il dito.

Sarà pure un colpo basso, sarà pure inelegante, ma rientra nel gioco delle parti. Non facciamo le signorine, né le anime belle. Il giorno che sentirò pronunciare a Rossella (e all'immancabile Loquenzi, intervenuto ieri per la milleseicentesima insopportabile volta) UNA-COSA-UNA contro il cavaliere, magari questi riuscirà a meritarsi un po' più di considerazione. Forse.

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Di fronte ad una platea di cowboys, non si possono suonare pezzi soul e blues. E così, in una celebre scena del film "The Blues Brothers", la band di John Belushi e Dan Aykroyd improvvisa la sigla di un vecchio telefilm western, "Rawhide", ottenendo il favore del pubblico.

Alla fine Franceschini sta facendo proprio questo. Sta suonando Rawhide.



Rollin' rollin' rollin'...


mercoledì 6 maggio 2009

Tempus fugit

La vicenda del divorzio Berlusconi/Lario ha un aspetto grottesco: alla maggioranza degli italiani non importa nulla né dei problemi del premier con la giustizia, né del gigantesco conflitto di interesse, che gli uomini tosti alla Cruciani, quelli che hanno imparato a stare al mondo, liquidano col termine "anomalia". Ma date all'Italia un po' di gossip, di mormorii, di chiacchiere, di cicalecci sulle gesta eroiche di un "pisello irrefrenenabile" (copyright Paolo Guzzanti), e l'Italia drizzerà le antenne, come uno scarafaggio che si ciba di immondizia. Non a caso, negli ultimi due giorni, alla Zanzara si è parlato solo ed esclusivamente di questo argomento.

A me sembra tutto brutto e triste, come la birra senz'alcool. L'idea che la caduta dell'imperatore possa arrivare più facilmente con uno scandalo sessuale che non attraverso una crisi politica mi ripugna. Ma che paese siamo? Un paese di morbosi voyeur, ecco cosa. Se uno scandalo è sotto gli occhi di tutti è come se non ci fosse, ma se possiamo intravederne uno allungando l'occhio nel buco della serratura, allora sì che è eccitante.

Intendiamoci: umanamente considero Silvio Berlusconi una persona rivoltante, che mi suscita disgusto e nausea. I suoi atteggiamenti verso le donne fanno ribrezzo, e sono caratteristici di un soggetto che rifiuta di arrendersi ad una banale realtà: il meglio dei suoi anni è ormai dietro le spalle. I suoi modi da vitellone, più da don Rodrigo che da don Giovanni, sono solo uno specchio di una personalità egocentrica in perenne lotta contro il tempo che scorre, che fugge, e che né i suoi soldi, né le schiere dei suoi accoliti possono arrestare.

Ciò detto, però, sebbene dopo le vicende degli ultimi giorni la mia disistima per il Berlusconi uomo abbia raggiunto il suo picco storico, non intendo scendere nell'arena per dissertare né sul divorzio di Berlusconi, né sulle eventuali fantasmagoriche avventure extraconiugali del suo membro avvizzito. Non perché ritenga che queste vicende afferiscano ad una sfera privata (non è così, come ripete Cruciani in questi giorni), ma perché le cose importanti sono altre. Sono le sue capacità di statista, di governante, di selezionatore della classe dirigente, di rappresentante e di simbolo della nazione tutta. Che a dispetto delle apparenze, ben orchestrate dalla sua propaganda, sono scarse. Di più, sono miserabili.

Cio che intendo dire è che Berlusconi è indegno della fiducia che gli italiani purtroppo gli hanno tributato non perché sia un fedifrago nell'ambito del suo matrimonio, ma perché lo è nell'ambito della sua funzione pubblica. E' questo il messaggio che vorrei venisse rilanciato, è questa la lotta da perseguire. Oggi, domani, sempre, finché gli elettori o l'orologio biologico non avranno posto fine alla sua inqualificabile esistenza politica.

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The Cranberries, "Time is ticking out".