martedì 31 agosto 2010

La differenza

Scrive Christian Rocca sul suo blog:

La baracconata islamista di Gheddafi a Roma mostra tutta l'ipocrisia dei nostri intellettuali engagé. Gridano giustamente alla vergognosa indecenza del leader arabo (che secondo altri espertoni sarebbe leader laico) che prova comicamente a fare proselitismo islamico a Roma. Oh, come sono indignati! Ma di fronte alla moschea a due isolati da Ground Zero danno lezioni di tolleranza, rispetto, multiculturalità e tacciano di razzismo chiunque ponga il problema dell’opportunità di una scelta del genere. Gheddafi no, moschea a Ground Zero sì. La differenza? Berlusconi.


Vorrei permettermi di rispondere al neo collaboratore del Sole 24 Ore come segue.

Il silenzo assordante sulla visita di Gheddafi a Roma di alcuni nostri intellettuali engagé mostra tutta la loro ipocrisia. Gridano, e non del tutto a torto, il loro sdegno per l'inopportuna scelta di costruire una moschea islamica a due isolati da Ground Zero, e ooooh, come sono indignati! Ma poi di fronte alla baracconata del leader arabo che arriva al punto di fare proselitismo islamico a Roma tutti zitti, muti e rassegnati, e chi prova a dire "beh" viene tacciato di incompetenza, di incapacità di capire le necessità della real politik. Gheddafi sì, moschea a Ground Zero piuttosto la morte. La differenza? Berlusconi.


(Oooooh, come mi piacciono 'sti giochini. Giusto per dimostrare quando deficienti siano certi accostamenti tra cose che non c'entrano niente, niente, ma proprio un ***** di niente tra loro.)

L'assuefatto speciale

L'ormai classica posa crucianiana super-snob dell'antieroe cinico, del “non riesco ad indignarmi, non ce la faccio, non ne sono capace”, stavolta riferito alla turpe carnevalata del colonnello Gheddafi e del suo circo equestre, si è arricchita di una componente masochista: “chiamatemi, e ditemi che sono uno stronzo”, è stata l'invocazione provocatoria pronunciata ieri in diretta del conduttore della Zanzara.

La tentazione c'è. Ma essendo il sottoscritto tutto sommato un signore :-) preferisco ribattere a questa ennesima disinvolta dimostrazione di assuefazione assoluta con le parole che Michele Brambilla, editorialista della Stampa e ottimo amico di Giuseppe Cruciani, sulla scia del caso Verdini/P3 ha pubblicato nelle pagine del quotidiano torinese il 13 luglio scorso, in un pezzo dall'emblematico titolo "C'è bisogno della forza di indignarsi".

È che ormai nessuno scandalo fa più veramente scandalo. Bisognerebbe modificare la stessa definizione del termine che ne dà il vocabolario: da «evento o incidente che provoca una vivace reazione nell'opinione pubblica» a «fatto ordinario registrato dai media come le previsioni del tempo e serenamente accettato dai lettori».

[…]

E questo accade proprio perché tutto ormai scivola via, viene ingoiato nella normalità. Seguiamo poco, ci disinteressiamo. Un po' per assuefazione, per noia. Ma un po' anche perché, purtroppo, è cambiato - e molto - il comune senso della morale. Proviamo a immaginare che cosa sarebbe successo se un importante uomo politico, trenta o quaranta anni fa, fosse stato condannato per mafia e anche avesse solo partecipato a equivoci festini. Forse allora eravamo bacchettoni e ipocriti, ma l'ipocrisia è anche l'omaggio che il vizio rende alla virtù: nascondevamo le nostre malefatte perché sapevamo che c'era di che vergognarsi. Era l'Italia in cui finire sul bollettino dei protesti o più semplicemente andare in rosso in banca era un disonore: oggi, un rinvio a giudizio è una medaglia al valore. Ai politici perdoniamo molto perché molto abbiamo da farci perdonare.

Non stiamo facendo un elogio del professionista dell'indignazione: spesso l'indignato è colui che si indigna solo per i peccati altrui. Ma oggi il rischio è l'indifferenza, quando non la complice acquiescenza. Ed è questo che ci spaventa.

Crux ama ripetere una frasettina di quelle che suonano bene: “Il mio mestiere non è quello dell'indignato speciale”. No, infatti. Il suo mestiere è quello uguale e opposto: l'assuefatto speciale. Che, se posso far mio un verso di Guccini, è una morte un po' peggiore.

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Lucio Dalla, "Stronzo" (1983)




lunedì 30 agosto 2010

Cosa non si fa per un caro vecchio amico

Sul tema dell'ennesimo show del colonnello Gheddafi in quel di Roma, con circo al seguito, il premio per l'articolo più demente del giorno lo vince con tutti gli onori Mario Sechi. Applausi.

Ricorrendo ai soliti triti luoghi comuni sulla sinistra salottiera da perfetto radical scioc, il direttore del Tempo ha messo all'indice il “disgusto della intellighentsia aristo-progressista per la visita del leader libico”. Scrive Sechi: “Ah, quale sublime arabesco di interrogativi, quale fino lavoro d`uncinetto culturale si prepara nei salottini della parte più colta, elegante, soffice e svolazzante del nostro Paese sottoposto all`invasione beduina. Il colonnello per loro è un sottoprodotto della cultura del Nord Africa, un bifolco in tenda. Mi pareva di ricordare che tra i radical chic fosse in auge ben altra scuola pensiero”.

E qui Sechi cita alcuni esempi. Partendo con la levata di scudi che ebbe luogo quando Berlusconi inneggiò, anni fa, alla superiorità della cultura occidentale, il giornalista di origini sarde prosegue osservando come “la superiorità antropologica della sinistra trova il suo campo d`applicazione scientifico nell`accoglienza riservata a Gheddafi. Quando governa, la sinistra parla e rende onore a tutti i dittatori, partecipa fieramente a bombardamenti d`ogni sorta, va a braccetto con esponenti di un movimento politico che è anche terroristico (vedi alle voci D`Alema e Hamas), ma appena torna nella posizione naturale di spettatrice - l`unica che riesce a mantenere a lungo [battuta di Sechi!] - ecco riemergere lo snobismo da tartina e terrazza. […] Tollerano che l`Iran di Ahmadinejad stia all`Onu, dica cose terribili su Israele e gli ebrei e costruisca la bomba atomica, ma lo spietato Gheddafi, l'amico di Silvio, non riescono a sopportarlo”.

Stendendo un velo pietoso sullo "snobismo da tartina e terrazza" che solo il cielo sa cosa c'entri, caro Sechi, un paio di osservazioni, se consente.

In primo luogo, citare in senso critico l'altrui presunto senso di superiorità antropologica, e al contempo sorvolare sul fatto che tale senso stava alla base della famosa frase di Berlusconi sulla superiorità culturale dell'Occidente è un ossimoro bello e buono. E non servono "lavori d'uncinetto culturale" per rendersente conto, tanto è palese la contraddizione.

Secondo punto. Firmare accordi con dittatori, Gheddafi incluso, trattare con organizzazioni terroristiche internazionali, partecipare a missioni di guerra internazionali è real politik. Non sempre edificante, non sempre qualcosa di cui andar fieri, ma nel mondo reale a certi compromessi tocca dover scendere, desta o sinistra al governo non importa. Ma consentire che un soggetto come Gheddafi venga una volta l'anno (cos'è, ha fatto l'abbonamento?) da noi a dar vita ai suoi disarmanti e umilianti show è un'altra storia che con la real politik, o con qualunque cosa assomigli al concetto di interesse generale per il paese, non ha nulla a che fare. Se Berlusconi si trova a suo agio con Gheddafi, vista la comunanza di interessi e di visione del mondo e della politica, si porti il suo compagno di merende in una delle sue megaville e lo intrattenga privatamente a sue spese. Chiaro?

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Yo Yo Mundi, "La diserzione degli animali del circo" (1994)




Ma questa notte si cambia musica
Un'invasione per le città
E questa notte profumo di libertà
La diserzione degli animali del circo eccola qua...

venerdì 27 agosto 2010

Giuseppe Cruciani vs Alessio Maurizi

CruCianiMaurizi


Vuoto pneumatico

Oggi vi intrattengo con due segnalazioni di articoli ottimi che ho letto mentre ero in vacanza.

Il primo, apparso sulla Stampa del 17 agosto, è di Mario Deaglio, il quale spiega per filo e per segno perché il baloccarsi disinvolto con la prospettiva di nuove elezioni sia un giochino buono solo per chi ha il vuoto pneumatico nel cranio. L'instabilità o il vuoto politico potrebbero infatti avere rilevanti ripercussioni negative sulla gestione del debito pubblico italiano osserva l'economista torinese. I finanziatori esteri del nostro debito potrebbero essere indotti a chiedere un «premio», ossia un tasso di interesse sensibilmente maggiore di quello applicato ad altri Paesi che si tradurrebbe, come minimo, in qualche migliaio di miliardi in più di spesa per lo Stato italiano, da recuperare poi con nuova austerità e, nella peggiore delle ipotesi, in una più generale «bocciatura finanziaria» dell'Italia. Non so come definire tutto questo se non un salto nel precipizio. Se l'attuale esecutivo Berlusconi dovesse cadere a breve, un nuovo governo di responsabilità deve nascere all'istante, non dopo enne mesi di guerra elettorale.

Il secondo articolo, datato 22 agosto, è del solito efficace Luca Ricolfi, sempre sulla Stampa. Il sociologo torinese spiega brillantemente come al nord ci sia un deficit di offerta politica in conseguenza del quale il cittadino di destra si sente più garantito dalla Lega che dal Pdl, mentre quello di sinistra rischia di non sentirsi garantito da nessuno.

E aggiunge Ricolfi: È sorprendente che i dirigenti romani del Pd non se ne rendano conto, ma la realtà è che al Nord anche la base del Pd è convintamente federalista, e persino sull'immigrazione e sulla sicurezza spesso si ritrova più nella linea dura della Lega che nel buonismo ideologico della cultura di sinistra. L'elettore di sinistra non ama le guasconate della Lega, detesta la volgarità di alcuni suoi esponenti, è rimasto scandalizzato dalla vicenda delle quote latte, vorrebbe piena eguaglianza fra italiani e immigrati regolari, trova indegno lo stato delle nostre carceri e dei nostri centri di raccolta dei clandestini. Però, specie in Lombardia e nel Nord-Est, sui due punti fondamentali della Lega, sul nucleo duro della sua visione del mondo, è sostanzialmente d'accordo: l'immigrazione irregolare va contrastata con fermezza, il Nord non può continuare a mantenere il Sud tollerando sprechi ed evasione fiscale. Così l'analisi della domanda e dell'offerta politica ci restituisce un problema. Questo tipo di cittadini del Nord, ma ve ne sono molti anche al Centro e al Sud, non hanno un partito che li rappresenti.

E' proprio così. Ricolfi ha messo a nudo una delle più grandi tra le tante lacune (e ritorna il concetto di "vuoto pneumatico"…) del Partito Democratico. Non si tratta di "inseguire la Lega", come qualcuno potrebbe semplicisticamente obiettare, ma di non lasciare a tale movimento il monopolio su alcune battaglie che, per quanto squalificate dai toni e dai modi beceri adoperati spesso dal Carroccio, nonché da disgustosi retrogusti xenofobi, sono sacrosante nei principi.

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The Cranberries, "Empty" (1994)




All my plans fell through my hands
They fell through my hands
On me
All my dreams it suddenly seems
It suddenly seems
Empty...
Empty...


giovedì 26 agosto 2010

Paura, eh?

Qui sotto un minipost di Authan. Non perdetevi, a parte, il bell'articolo di Paolo.

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Al rientro dalle ferie mi sono ritrovato oberato da un carico di lavoro tale che il tempo di bloggare semplicemente non c'è. Aggiungete che l'entusiasmo è ai minimi, avendo l'impressione di aver già detto e ridetto, almeno sui temi politici, tutto quel che avevo da dire, e che ho sempre meno voglia e interesse di sintonizzarmi su Radio 24 all'ora di cena, e avrete un quadro più o meno esaustivo della situazione. Vediamo quel che succede la prossima settimana.

Ho trovato su Facebook questo commento di Giuseppe Cruciani sui fatti di Melfi (i tre operai prima licenziati dalla Fiat per il presunto sabotaggio di una linea di produzione durante uno sciopero, e poi reintegrati dal giudice senza che però l'azienda li riassegnasse alle loro mansioni originali).


Crux_FB


E' divertente constatare come Crux si dimentichi in fretta dei suoi principi garantisti quando non gli fanno comodo. Di grazia, caro Giuseppe, la sua totale certezza sulla colpevolezza dei tre operai (che da parte loro negano) per quel che riguarda il blocco della linea di produzione da dove le giunge, se posso chiedere? Grazie...

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E per oggi vi lascio con un contributo multimediale (tratto dal film "Più forte, ragazzi!" del 1972) che, dopo l'esito del vertice tra Bossi e Berlusconi sul Lago Maggiore, cade a fagiuolo per descrivere lo stato d'animo del cavaliere di fronte alla prospettiva di andare a nuove elezioni. Il timore per l'esito del voto, cari amici, non è, evidentemente, monopolio del centrosinistra.




Paura, eh?

Il lusso degli incidenti

Il blog riapre con un pezzo di Paolo. A parte un minipost mio. Ciao, Authan

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[Il post è di Paolo]

Buongiorno,

stamattina, tra le notizie del giorno, ho sentito (anche se piuttosto in sordina) l'uscita del ministro Tremonti (quello che la Lega vorrebbe come successore di SB al comando anche formale del paese) che sostiene che la legge 626 sulla sicurezza sul lavoro sarebbe “un lusso che non ci possiamo permettere”.

Questa dichiarazione, che trovo agghiacciante, mi sembra sia l'ennesima conferma dell'inadeguatezza del ministro, della sua distanza dal mondo reale e del fatto che il governo stia cercando di riavvicinare le posizioni più retrive degli imprenditori italiani alle proprie posizioni.

Sarebbe facile chiedere al ministro se cercare di prevenire gli incidenti sul lavoro come quello avvenuto giusto ieri in Puglia e che per puro caso non ha avuto conseguenze ben peggiori, sia per lui un lusso che non ci possiamo permettere. Ma soprattutto sarebbe bello chiederlo ai tanti che fanno lavori (ad es. in edilizia, in agricoltura, in vaste parti dell’industria, nel settore cantieristico e marittimo, etc.) in settori dove spesso il concetto di rischio sottintende la possibilità di morire o di restare gravemente menomati per il resto della vita.

Al di là di una risposta emozionale e sulle qualità umane del ministro, al di là dell’impressione che solo chi pensi che il massimo rischio sul lavoro sia spezzarsi un'unghia possa seriamente affermare qualcosa di simile, vi sono alcuni dati di fatto che testimoniano quanto il ministro sia lontano dalla realtà che dovrebbe governare.

Come politico Tremonti ha detto una bestialità, poiché il D. lgs 626 / 94 è stato abrogato dal D. lgs. 81/2008, il "Testo unico sulla sicurezza sul lavoro": il ministro sta quindi citando qualcosa di inesistente. Questo è forse solo un problema formale: l’attacco è evidentemente alla legislazione sulla sicurezza dei lavoratori, qualcuno potrà dire che si tratta solo di una imprecisione, ma quanto scriverò d’ora in poi è invece estremamente concreto.

Come amministratore delle pubbliche finanze Tremonti ha detto una bestialità, poiché l'INAIL ha ripetutamente confermato come l'applicazione di norme a tutela della sicurezza dei lavoratori ha contenuto negli ultimi anni gli incidenti e conseguentemente gli indennizzi e le pensioni derivanti dagli infortuni stessi, facendo risparmiare lo Stato (in controtendenza ad aumentare invece tali spese ha contribuito invece il ricorso a lavoratori precari e temporanei, per inciso).

Come amico degli imprenditori Tremonti ha detto una bestialità, poiché l’applicazione di norme a tutela della sicurezza dei lavoratori comporta dei benefici diretti ed immediati per le aziende.

Come statista e quindi persona che utilizza gli strumenti a sua disposizione per indirizzare i futuri percorsi del paese, Tremonti ha detto una bestialità perché l’analisi dei processi lavorativi che l’applicazione di norme a tutela della sicurezza dei lavoratori preliminarmente comporta è di stimolo per la razionalizzazione e la modernizzazione dei processi stessi, cose che ad un sistema industriale tecnologicamente arretrato e poco dinamico come quello italiano mancano moltissimo.

In sintesi, dal mio punto di vista , il cavallo su cui punta la Lega per il dopo Silvio, mi sembra confermi quanto già evidenziato ripetutamente (da ultimo con una finanziaria fatta di tagli indistinti), e cioè l’ incapacità di analisi dei fenomeni economici e sociali anche solo mediamente complessi. Spero di poter votare un candidato migliore, anche se le recenti posizioni di Marchionne, Marcegaglia, Oscar Giannino e altri mi pare spingano fortemente in quella direzione.

Ciao

Paolo

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Sulla legge 626 ho trovato un divertente sketch di Camera Café.



giovedì 5 agosto 2010

In nome del popolo italiano

[Dopo questo post, il blog chiude per ferie. Si riapre, forse, verso fine agosto. Buone vacanze a tutti]


La cosa più insopportabile degli ultimi giorni, in questa fase di crisi dell'attuale maggioranza, è il richiamo continuo, demagogico, semplicistico e retorico, da parte degli accoliti del premier Berlusconi e dei leghisti, al rispetto della "volontà popolare". Come se la "volontà popolare" fosse paragonabile alla lancetta della bussola che indica il nord. Non è così. Non esiste una "volontà popolare" che dice che l'Italia debba essere governata da Berlusconi. E' una mistificazione. La "volontà popolare" è un immenso potpourri composto di un'infinita varietà opinioni, preferenze, idee, giudizi, convinzioni, che non si possono riassumere nel concetto "l'Italia vuole Berlusconi" (e neanche nel contrario).

Come dite? Le elezioni del 2008 sono state vinte dalla coalizione PDL-Lega, da cui la "volontà popolare"? Mmmh, non è esattamente così. L'esito delle elezioni comporta, come conseguenza tecnica legata al meccanismo della legge elettorale e alle alleanze presentatesi al voto, l'assegnazione dei seggi parlamentari, che all'ultima consultazione ha portato ad una maggioranza di seggi al polo PDL-Lega. E' una fotografia della situazione in un certo istante e solo in quell'istante. Nel 2008 la maggioranza relativa degli italiani ha deciso che ad inaugurare la nuova legislatura doveva essere un governo PDL-Lega. Ma non sta scritto da nessuna parte che debba trattarsi obbligatoriamente di un'investitura quinquennale succeda-quel-che-succeda. Se nell'arco della legislatura gli scenari politici cambiano, se le condizioni si modificano, nel momento in cui il governo dovesse cadere valgono le regole scritte nella Costituzione.

Finché l'Italia rimane una repubblica parlamentare, è il Parlamento, e non la fantomatica "volontà popolare", concetto che ognuno può piegare ai propri interessi, ad assegnare o revocare la fiducia ad un governo e ad un premier. Non c'è un legame diretto, un fil rouge, tra popolo e governo, ma solo tra popolo e Parlamento. Questo dice la nostra Costituzione. La "volontà popolare", nella sua immensa complessità e nelle sue innumerevoli sfaccettature, è sintetizzata e rispecchiata nel Parlamento. Non sempre nel migliore dei modi, ma altro strumento non c'è.

Del resto, chi può affermare con certezza che l'evoluzione, il disfacimento, lo stravolgimento dei gruppi parlamentari non rispecchino i mutamenti di opinione che possono intercorrere nell'immenso calderone chiamato "volontà popolare"? Perché si vuole far finta che l'ipotesi che una quota non irrilevante di elettori di centrodestra non ne possa più di Berlusconi non esista? Chi può negare con certezza che la banda dei finiani sia rappresentativa di tale quota di elettorato?

"Verifichiamolo con il voto", mi sarà obbiettato. Certo, ma solo se il Parlamento, unico interprete autorizzato della benedetta "volontà popolare" e unico specchio ufficiale del Paese (insisto) non è più in grado di esprimere una maggioranza o di dare fiducia ad un diverso governo. Queste sono ad oggi le regole del gioco. Se a qualcuno non piacciono, che provi a cambiarle, se ne ha la forza e la capacità.

***

Prima di chiudere, riporto un paio di frasi notevoli, tratte dalle dichiarazioni di voto, ieri alla Camera, sulla sfiducia a Caliendo.

Partiamo da Chiara Moroni (frase sentita peraltro in diretta durante la Zanzara di ieri, con un Giuseppe Cruciani, già sbalordito dal fatto che il medesimo concetto era stato espresso nientemeno che da Carlo Cirino Pomicino, praticamente incredulo):

"Oggi non viviamo un'emergenza garantista. Non si tratta di uno scontro tra giustizialisti e garantisti. […] Se davvero vogliamo recuperare il primato della politica, allora dobbiamo anche pretendere che i politici siano irreprensibili. La battaglia garantista non può essere confusa con l'impunità e il giustificazionismo, occorre invece che la classe dirigente recuperi una cultura dell'etica pubblica diversa da quella che vediamo oggi."

Se lo dice la figlia di un politico suicidatosi, ai tempi di Tangentopoli, dopo essere finito sotto inchiesta, credo si debba darle retta. Chapeau per la Moroni.

E poi Pierferdinando Casini:

Le elezioni sono una eventualità, ma se la strada che ora si minaccia soltanto nei corridoi dovesse diventare la strada maestra, ciascuno di noi dovrebbe assumersi le proprie responsabilità e le sorprese sarebbero ben più forti della creazione di quest'area di responsabilità nazionale [il terzo polo].”

Traduzione: se il governo di responsabilità nazionale non lo si potrà fare subito, lo si farà dopo le elezioni. In altre parole, il leader dell'UDC ribadisce che se si va al voto egli promuoverà un cartello elettorale composto da tutte-tutte-tutte le opposizioni contro Berlusconi. Una sorta di Comitato di Liberazione Nazionale, già evocato qualche mese fa. Insomma, le elezioni, per il cavaliere, potrebbero tramutarsi in un per lui drammatico autodafé. Ironia della sorte, nel pieno nome del popolo italiano, proprio come piace sempre dire a lui.


[Tasso di demagogia, moralismo e luogocomunismo di questo post: 65%]

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Edoardo Bennato, "In Nome Del Popolo Italiano" (1994)




La bufera è passata
ogni cosa è al suo posto
festeggiamo l'estate
e il sole di agosto
tutti insieme compatti
da Pontida ad Arzano
tutti insieme felici
in nome del popolo italiano...



mercoledì 4 agosto 2010

Va bene chiunque, basta che respiri

Eppure non è difficile da capire. Mi sa che ci va un altro disegnino.

Berlusconi + Lega = 40% circa (oggi, senza più Fini). Quaranta percento a casa mia non è maggioranza. Il 60 per cento degli italiani non desidera esplicitamente un governo Berlusconi/Lega. Eppure, oggi grazie al premio di maggioranza previsto dall'attuale legge elettorale, chi ha il 40% o in teoria anche molto meno può ritrovarsi con una maggioranza bulgara in parlamento E' normale? No. Lo sarebbe se ad avere la maggioranza relativa, comunque sempre intorno al 40%, fosse il centrosinistra? Ovviamente no. E' così che si che rispecchia la tanto osannata volontà popolare? No, no, e no. Chi dice qualcosa di diverso lo fa subdolamente e tendenziosamente.

Il premio di maggioranza serve a garantire la governabilità, certo. Chi lo nega. Ma questo discorso vale in uno sistema realmente bipartitico o bipolare, uno-contro-uno. In tale scenario, per scongiurare situazioni di quasi pareggi, che comporterebbero uno stallo parlamentare qualora i seggi venissero ripartiti proporzionalmente, si fa in modo che chi ha vinto le elezioni, fosse anche per un solo voto di scarto (50%+1 dei voti validi, maggioranza comunque assoluta), possa contare su una discreta prevalenza numerica nelle camere. "The winner takes all" si usa dire in altri lidi.

Peccato però che in Italia non sia riuscita a diventare uno stato politicamente bipartitico o bipolare. Ci si è provato, ma è andata male. Io sono enormemente triste per questo, perché secondo me lo schema bipartitico è quello più funzionale, semplice, razionale, efficiente. Ma non c'è stato nulla da fare. L'Italia è il paese delle parrocchie, dei campanili, dei movimenti per la difesa delle orecchie dei cani. Siamo fatti così. Siamo portati a dividerci, non a unirci. E se ci uniamo, è solo per fare cartello contro un nemico comune (vale per il centrosinistra contro Berlusconi, ma anche per il centrodestra contro il pericolo rosso), e non perché davvero si condividano le medesime visioni e aspettative. Serve una legge elettorale che rispecchi lo status quo, come quella tedesca. Proporzionale secco, sbarramento, niente premio. Non l'ideale per la governabilità, ma almeno sarebbe una legge sincera e democraticamente onesta.

Se si va a votare a breve con l'attuale legge elettorale, ci sono due possibilità. O rivince Berlusconi nonostante una percentuale di voti ben lontana dall'essere maggioranza assoluta (un'offesa per la democrazia), o, se faranno cartello come io credo avverrà, vincerà una coalizione estremamente eterogenea, quel “CLN a difesa della democraziaevocato meno di un anno fa dal moderatissimo Pierferdinando Casini, che manderà in pensione il cavaliere ma che avrà poi grosse difficoltà a tradursi in un governo solido e duraturo.

Anche senza menzionare le questioni legate alla crisi, all'emissione autunnale di titoli di stato, alla credibilità della solidità economica del paese presso le agenzie di rating, che ci sia ritrosia, nei vertici del PD, all'idea di lanciarsi nell'avventura elettorale, io lo capisco, perché in fondo, come scrivevo ad inizio post, tanto difficile da comprendere non è, a dispetto delle obiezioni semplicistiche, diverse tra loro, ma convergenti nel giudizio finale, di Giuseppe Cruciani (che godrebbe come un riccio in un PD ri-sconfitto al voto) e Luca Telese (che spinge per l'OPA di Nichi Vendola sul PD).

Su quanto poi grande debba essere il patto con il diavolo pur di scongiurare un ricorso alle urne a breve termine, invece, ho qualche dubbio. Nel senso che non so cosa pensare, non ho le idee chiarissime. Per dirne una, quel (tradotto con parole mie) “va bene chiunque respiri, anche Tremonti, purché non sia Berlusconi”, riferito alla personalità che dovrebbe assumere l'incarico di governo se il cavaliere dovesse dimettersi, pronunciato ieri da Pierluigi Bersani (il quale poi ha un po' corretto il tiro) mi è sembrato un andar troppo oltre. E infatti la frase si è rivelata alla fine un pesante errore comunicativo, in quanto la prospettiva di un appoggio del PD ad un ipotetico governo guidato dall'attuale ministro dell'economia è oggettivamente di difficile comprensione per l'uomo della strada.

Perché lo fai” cantavano ieri, sulle note di un'agghiacciante canzone di Marco Masini, i gemelli del gol Cruciani & Telese, per sfottere Bersani come se quest'ultimo avesse rilasciato dichiarazioni sotto effetto di sostanze stupefacenti. Beh, a dire il vero, con un minimo di analisi da un punto di vista strategico-tattico, il “perché lo fa” non è così oscuro. Nell'ambito di quei giochi di palazzo che tutti dicono di odiare ma che poi tutti praticano, Bersani ha provato ad insinuare nella Lega l'idea che, in cambio di una nuova legge elettorale, potrà avere il suo agognato federalismo anche gettando Berlusconi giù dal treno (perché questo era il retromessaggio del sì a Tremonti, per chi non l'avesse colto). Ma è una proposta prematura, che allo stato delle cose, in assenza di una crisi di governo formalizzata, non può che venir rispedita a mittente. Da un punto di vista dell'immagine, quello di Bersani altro non è stato che un clamoroso autogol.

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Annie Lennox, "Why" (1992)




Why don't you ever learn to keep your big mouth shut
That's why it hurts so bad to hear the words
That keep on falling from your mouth

Tell me
Why...
Why...


martedì 3 agosto 2010

Comitato di Liberazione Nazionale

Cinque punti veloci, a questo giro.

1) Cosa gli si può dire a un paladino della privacy che registra una telefonata all'insaputa dell'interlocutore e poi la manda in onda senza permesso? Che è un ipocrita, un fariseo, uno sleale, un inchiappettatore, un doppiogiochista, un doppiopesista, un quaquaraquà, uno squagliacquazzina? Fate voi, io non so più a che appellativo votarmi.

2) Finché Beppe Grillo non passerà dai monologhi ai dialoghi, e senza pretendere di scegliersi l'intervistatore (non ha accettato di farsi intervistare da Cruciani), per me non sarà mai un personaggio credibile. Quando David Parenzo, ieri ospite alla Zanzara, ha osservato che “L'Italia si merita Beppe Grillo, ma anche Berlusconi. Sono due fenomeni uguali, speculari”, mi sono alzato e ho fatto la ola.

3) Sì, sì, , Gianfranco Fini dovrebbe chiarire la faccenda della casa di Montecarlo. Luca Telese ha ragione. La querela contro il Giornale non basta.

4) Se si va ad elezioni anticipate a brevissimo termine, stante l'attuale legge elettorale, tutti i partiti e movimenti ostili a Berlusconi, da Futuro e Libertà fino a Vendola, incluso Di Pietro, faranno cartello, in una sorta di Comitato di Liberazione Nazionale, per sottrarre al cavaliere (supportato solo più dalla Lega) la possibilità di incoronarsi presidente eterno. Se il cartello dovesse prevalere, cosa non certa ma possibile, anzi probabile, ne nascerebbe un governo all-together-now di "larghe intese" (ah, le famigerate larghe intese…), molto eterogeneo, per fare qualche riforma, tra cui quella elettorale, eliminare definitivamente Berlusconi dal gioco, e infine, nel giro di un paio di anni al massimo, tornare per l'ennesima volta al voto (anche perché un governo così eterogeneo non reggerebbe comunque). Di fronte ad un tale scenario l'idea di saltare un passaggio e di arrivare immediatamente alla fase delle larghe intese, magari facendo l'occhiolino alla Lega e al suo federalismo, non suona poi così male. Questo è ciò che Debora Serracchiani ieri, anch'ella ospite ieri alla Zanzara, non è stata capace di dire. Era nel giusto quando sosteneva che l'urlo "al voto al voto" è da onanisti irresponsabili (alla faccia di Cruciani & Telese), ma l'efficacia delle spiegazioni addotte è stata scarsa.

5) Se Vittorio Sgarbi fosse omosessuale, sarebbe Aldo Busi.


[Tasso di demagogia, moralismo e luogocomunismo di questo post: 77%]

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The Beatles, "All Together Now" (1969)




Sail the ship, jump the tree
Skip the rope, look at me
All together now...
All together now...


lunedì 2 agosto 2010

Nell'adempimento del proprio dovere

Ho un immenso rispetto per il tono commosso (audio qui di seguito) con cui Oscar Giannino, durante la sua trasmissione mattutina di venerdì scorso, ha voluto rendere omaggio al maresciallo Mauro Gigli, che il barbuto conduttore di Radio 24 conosceva personalmente, caduto in Afghanistan nell'adempimento del proprio dovere.



Il cinismo proprio di chi, con nonchalance, enuncia profondi concetti quali “E' la guerra, bellezza, e in guerra si muore. E' normale che succeda”, non mi appartiene. Sarò un debole, sarò ipersensibile, sarò persino ipocrita, ma ritengo che frasi del genere, anche quando sono vere, non andrebbero mai pronunciate ad alta voce. E' una questione di rispetto, di ossequio per chi è non c'è più e per chi è rimasto a piangerne la dipartita. Piuttosto che dar vita ad una simile dimostrazione di autoimposta impassibilità, viva la voce rotta dall'emozione, ma al contempo composta e austera, con cui Giannino ha omaggiato il suo amico.

E tuttavia c'è un tarlo che mi rode del quale ho bisogno di liberarmi, anche a costo di dimostrare tutta la mia umana incoerenza nel momento in cui mi accingo ad esprimere proprio uno di quei concetti che, come ho scritto poco fa, sarebbe meglio tenersi dentro in situazioni come queste. Devo dirlo. Lo dico.

Quando vedo una foto come questa, scattata ai funerali di stato dei militari caduti, con il figlio minore del maresciallo Gigli, Mauro, di sette anni, consolato dal presidente Napolitano, ...


Gigli Funerale


...quando vedo un bimbo di sette anni piangere disperato per la perdita del papà, non posso fare a meno di chiedermi quale sia il "dovere" principale al quale l'uomo Gigli, prima ancora del soldato Gigli, doveva adempiere.

Per me, il primo obbligo di un individuo è sempre verso i propri figli, a maggior ragione se in tenerà età. Non c'è patria, non c'è causa, non c'è ideale, non c'è missione-per-conto-di-dio che possa valere più della presenza costante della figura del padre nella realtà di un bimbo di sette anni.

Chi, pur essendo padre, mette scientemente a repentaglio la propria vita, non importa se partecipando da volontario a missioni militari dall'altissimo tasso di pericolosità, o più banalmente praticando sport estremi o comunque rischiosi, sarà anche un coraggioso, un temerario, un audace, ma per quel che mi riguarda è, prima di tutto, uno sconsiderato ed un irresponsabile.

E ora sputatemi pure addosso, se vi pare.

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Enzo Jannacci, "La sera che partì mio padre" (1968)




La sera che partì mio padre
noi s'era alla finestra a guardare
guardare per vederlo andare
neanche tanto lontano
e non muovere neanche una mano

La sera che partì mio padre
non c'erano canzoni da ascoltare
perché la radio continuava a parlare
e mio padre andava per non tornare più

La sera che partì soldato
gli dissero di non sparare
che era solo roba di leva militare
bastava soltanto dire: "altolà!"

La sera che arrivò mia madre
che lo vide bianco senza più respirare
aveva in mano il telegramma
medaglia d'oro per l'altolà

La sera che partirò anch'io
io spero solo che sia Natale
perché a Natale stanno tutti a casa
a mangiare, bere, ascoltarsi, parlare

La sera che me ne andrò via
diranno che dovevo andare
diranno che non vado poi a star male
ma io so già che non si sta così