lunedì 31 maggio 2010

Qualcuno faccia qualcosa

Nei giorni scorsi Giuseppe Cruciani ha sostenuto che sul tema delle intercettazioni il fronte su cui occorre “fare qualcosa” è limitato alla pubblicazione sui giornali delle trascrizioni di dialoghi telefonici. Nulla andrebbe fatto invece sul piano delle opzioni investigative di cui attualmente godono le autorità giudiziarie e di polizia.

Molto bene, ha senso. Ma quel "fare qualcosa" non andrebbe esplicitato? Cosa significa nel concreto? Il fatto è che Cruciani contesterebbe con la sua proverbiale brutalità verbale quell'ascoltatore che nel suo intervento, qualunque sia l'argomento, si lasciasse scappare un generico "bisogna fare qualcosa". “Cooosa? Cooosa? Mi faccia un esempiooooo!” strillerebbe nel microfono il conduttore.

E quindi il cosa-cosa-mi-faccia-esempio ora lo dico io. Perché, andando nel concreto, i casi sono due: o si interviene con una legge dello stato punitiva verso i giornalisti e gli editori, nonché verso quei soggetti che all'interno delle procure fanno trapelare i brogliacci, oppure gli editori e i direttori di giornale sottoscrivono un codice di autoregolamentazione predisposto in autonomia rispetto alla politica, una specie di patto d'onore al quale i responsabili di tutte le testate si impegnano pubblicamente a tener fede. Una terza via, che non sia quella di non fare nulla rispetto allo status quo, non c'è.

Ora, io mi rendo conto che fare affidamento su di un codice di autoregolamentazione risulta difficile. Ci sono giornalisti che venderebbero la mamma al mercato pur di pubblicare uno scoop, e le eventuali sanzioni (comminate da chi, poi? Da quell'ordine dei giornalisti che non conta nulla?) per chi sgarra previste dal codice, non avendo natura giuridica, potrebbero rimanere lettera morta. Ma se si parte da tale presupposto, e io penso che Cruciani parta da tale presupposto, allora non rimane che l'emanazione di una legge. Se la mia ipotesi è giusta, Cruciani (mi corregga se sbaglio) reclama una legge dello stato.

E qui casca l'asino. Perché Cruciani è quello che in innumerevoli occasioni ha dichiarato che in Italia ci sono già fin troppe leggi, e che non ne servono di nuove. Mi viene in mente ad esempio alla proposta di legge Concia cosiddetta "anti omofobia", volta ad introdurre in modo formale un'aggravante assimilabile all'odio razziale per chi commette atti di violenza direttamente riconducibili a pregiudizio sull'orientamento sessuale. Proposta di legge che peraltro sta tornando in auge dopo l'ennesima aggressione nei confronti di un gay a Roma.

Insomma, il punto è: Cruciani è contrario alla legge sull'omofobia ma è favorevole (questa, ripeto, è una mia supposizione che però ritengo fondata; mi corregga se sbaglio) ad una legge che responsabilizzi chiunque entri in possesso delle registrazioni e delle trascrizioni di telefonate, e che definisca con precisione i contorni di cosa si può pubblicare e cosa no sulla stampa. E' una discrepanza che io trovo curiosa.

"Ma cosa c'entraaaaa! Omofobia e intercettazioni sono tematiche diverseeeeeeee! Non si possono fare paragoniiiii!", urlerà per tutta risposta il nostro eroe, posto che abbia ritrovato la voce (venerdì scorso Crux era pressoché afono). Certo, sono temi diversi, ma è interessante vedere la scala di importanza con cui tali temi vengono presi in considerazione. Per Cruciani, evidentemente, la violazione della privacy tramite pubblicazione di dialoghi telefonici privati è (mi corregga se sbaglio, e sono tre) una questione più seria di quella delle violenze contro i gay in quanto gay, tanto che nel primo caso serve una legge ad-hoc, mentre nel secondo caso no.

Tutto legittimo, ci mancherebbe, ma... Non ci trovate proprio nulla di bizzarro? Nulla di nulla? Io sì, e pure parecchio. Perche nella mia scala di priorità, invece, anche un solo gay malmenato in quanto gay è un orrore infinitamente, smisuratamente, incommensurabilmente più grave della somma di tutti gli articoli di giornale contenenti dialoghi intercettati pubblicati negli ultimi centocinquant'anni.

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Kill Hannah, "Someone Do Something" (2007)




Oh, don't take this from me
I need to believe
In something
I won't protest this leave
I'm falling to pieces
Oh no someone do something...


venerdì 28 maggio 2010

Attenti a quei due

Secondo post del giorno, di Authan, dopo quello di Paolo.

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Ditemi dove devo firmare. Per avere Giuseppe Cruciani e Luca Telese in doppia conduzione alla Zanzara ogni santo giorno, dico. Dopo la prima esperienza di qualche giorno fa, ieri si è ripetuto l'esperimento (non casuale ma voluto esplicitamente dal Crux), ed è stato di nuovo un successo, tra gag con gli ospiti, allegri bisticci e simpatiche punzecchiature reciproche.

Ormai è chiaro. Se il taglio che Cruciani vuol dare alla sua trasmissione è quello dell'ironia, dell'infotainment puro, dell'ora di ricreazione, beh, piuttosto che intervistare i personaggi dello spettacolo più improbabili, che sui fatti del giorno non hanno nulla di rilevante né di spiritoso da dire, una soluzione più proficua è quella di farsi affiancare da "un attaccante che sappia com'è fatto un gol", cioè da uno speaker che padroneggi l'arte dello strappar sorrisi. Uno come Luca Telese, insomma, o un altro come lui.


Telese&Cruciani


Intendiamoci, non sto mettendo su una bilancia i due amigos Cruciani&Telese per dire in termini assoluti che uno è meglio dell'altro. Dico solo che se nella Zanzara di una volta (che io a dirla tutta un po' rimpiango), quella seria e seriosa dove l'uso della lente di ingrandimento sui fatti del giorno era la parte prevalente, il vendicatore Cruciani con la sua ascia dialettica era perfetto, nel momento in cui mister Zanzara ha deciso di passare armi e bagagli sul piano dell'infotainment puro il nostro conduttore preferito si è arenato contro uno scoglio: l'evidenza che la sua capacità di strappare la risata e il suo senso dell'umorismo sono inadeguati (e please, che nessuno si offenda). Serve assolutamente il contributo di una spalla che abbia la comicità nel sangue.

Viva Luca Telese, dunque, sotto questo punto di vista. Non "al posto di", ma "insieme a". Perché anche Telese da solo funziona peggio. Accoppialo con Cruciani e... boom! E' il classico caso del duo artistico la cui efficacia complessiva ammonta a più della mera somma delle parti. Cruciani e Telese come Stanlio e Ollio, come Bud Spencer e Terence Hill, come Dylan Dog e Groucho, come Roger Moore e Tony Curtis.

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Contributo multimediale: la bellissima musica che faceva da sigla ad "Attenti a quei due" (in originale "The Persuaders"), telefilm inglese dei primissimi anni '70, con Roger Moore e Tony Curtis.




Errori di manovra

Oggi due articoli. Qui sotto un "tripla A" di Paolo, a parte un "junk post" mio (Authan).

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[L'articolo è a firma di Paolo]

Buongiorno.

Per una volta eviterei volentieri di abboccare agli ennesimi polveroni che Silvio Berlusconi alza ad arte (ne sono ragionevolmente sicuro) per mascherare le debolezze delle sue politiche, come le frasi sui diari di Mussolini e gli inviti alla Marcegaglia che sono state riportate anche in trasmissione. Li considero anzi la prova implicita del fatto che egli stesso ritenga la manovra impopolare per via dell'eccessivo onere. Ne ha già, in un certo senso, preso le distanze attribuendo gran parte delle responsabilità alla rigidità degli accordi europei, alla crisi greca, e all’eredità lasciata dai governi passati, e probabilmente la ritiene inadeguata in molte sue parti (ma questo non si può dire).

Per una volta sono d'accordo con il cavaliere: la manovra, per come è stata presentata, pur essendo indispensabile e priva di alternative allo stato attuale, inadeguata lo è per davvero, per molti motivi.

Avevo già sottolineato che, dopo aver ampiamente sanato i proventi dell'evasione con lo scudo fiscale ed aver confermato che con la destra al potere l'Italia rimane la terra dei condoni, sarà difficile attendersi grossi risultati né immediati né sul piano strutturale dalla lotta all'evasione.
Il fisco non potrà raggranellare quanto già sanato dallo scudo fiscale, gli evasori sono stati rassicurati sul fatto che, come sempre stato e, fino a prova contraria, come sempre sarà, le formali grida manzoniane contro di loro trovano riscontro pratico in sanatorie per loro più convenienti del rispetto delle regole.

Non serve essere il mago Otelma per prevedere che le riduzioni dei costi della politica saranno anch'esse in qualche modo vanificate dalla radicata e tradizionale bulimia dei nostri politici: per il taglio delle province si è già provveduto ad una retromarcia a tempo di record, e per il resto accetto scommesse sul fatto che ogni euro sottratto dalla busta paga di politici ed alti manager pubblici vi rientrerà per altra via (mi abbasso lo stipendio, ma mi riconosco maggiori rimborsi, gettoni, indennità, etc.), anche nell'eventualità sia possibile ridurre quanto già contrattualmente concordato.

E fin qui ho scritto cose molto banali, di dominio comune.

Al di fuori dei luoghi comuni, quello che contesto con forza è invece l'ampiamente condiviso ricorso all’indiscriminato blocco del turn over nel Servizio Pubblico, pratica invalsa ormai da oltre dieci anni, che sinora ha portato (ovviamente) a risultati opposti a quelli per i quali lo si adotta.

In sintesi l'immediato risultato del blocco del turn over è la prima causa dell’incremento della spesa corrente per beni e servizi da parte del servizio pubblico, che sopperisce ai pensionamenti appaltando all’esterno a costi più elevati servizi che erano svolti in house a costi inferiori. Per fare un esempio davvero credete possibile sostituire convenientemente un infermiere dipendente da 1.500 € netti al mese con quello offerto dalla ditta che ve lo fornisce in appalto pagandolo, caricandovi sopra i costi amministrativi dell’appaltante (5 - 10%) e dell’appaltatore (12 -15%), il giusto profitto (15%) e l’IVA (20%, che per un ente pubblico è un costo, non una partita di giro)? Suvvia non scherziamo: si tratta di recuperare in efficienza dei costi aggiuntivi che, nel migliore dei casi eccedono il 55%, roba che nemmeno Batman!.

E sul lungo periodo si sta verificando un problema ulteriore che sta cominciando ad essere altrettanto "pesante": l'invecchiamento del personale del Servizio Pubblico. Qual è il problema per gli utenti? Provate a "digitalizzare" un ente il cui personale ha un’età media superiore a cinquant’anni. Secondo voi può funzionare? Nel servizio Pubblico da oltre dieci anni si è deciso di non reclutare energie fresche, competenze aggiornate e menti flessibili. L'ovvio risultato è che più passa il tempo più è difficile e costoso mantenere il Servizio Pubblico al passo delle tecnologie e delle esigenze degli utenti.

Ma soprattutto è più difficile innovare e gestire il sistema: si sta cioè deliberatamente plasmando un servizio pubblico più costoso e meno rispondente rispetto alle esigenze degli utenti, ma orientato a fornire reddito alle aziende che beneficiano degli appalti, sempre più presenti e meno efficacemente controllate. Controllo che, disgraziatamente, non si realizza che in minimissima parte con la centralizzazione degli acquisti di beni e servizi.

Saluti

Paolo

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(Authan) Una delle mille perle di Paolo Conte: "Un Vecchio Errore" (1990)




Un vecchio errore vuole inseguirmi
e incatenarmi e trascinarmi lì davanti
ad ogni specchio per dirmi: guardati...
Io non mi guardo, giro lo sguardo…
la so a memoria fin troppo questa storia
è uguale che non ci sia o che ci sia...


giovedì 27 maggio 2010

La polizia (tributaria) alle calcagna

Va bene che ognuno ha diritto alle proprie opinioni, e ci mancherebbe altro, ma l'insistenza con cui Giuseppe Cruciani esprime la sua convinzione che l'attuale direzione del TG1 targata Minzolini sia “in continuità con il passato, salvo dettagli legati alle diverse sensibilità” lascia sconcertati, visto che l'evidenza dice tutt'altro. Neppure il paziente Giulio Borrelli, ex direttore del TG1 e ora corrispondente Rai da New York, protagonista ieri di un lungo intervento alla Zanzara per via del suo nuovo libro in uscita "Le mani sul TG1", è riuscito a far cambiare idea al nostro conduttore preferito.

E' una battaglia senza speranza, quella contro il prosciutto sugli occhi di Cruciani, che francamente oggi non ho tanta voglia di intraprendere in prima persona. Mi limito pertanto a riportare qui di seguito quel che disse Lucia Annunziata, solitamente molto stimata dal Crux, il marzo scorso in un'intervista pubblicata dal Fatto. Chissà che Santa Lucia non faccia il miracolo.

Tutti i direttori Rai vengono nominati dalla politica. Non ci sono scelte professionali, la professionalità è messa in conto ma la scelta è di natura politica. Io sono stata nominata direttore del Tg3 dal governo Prodi. Ma fino a un certo punto il livello era accettabile, esisteva una soglia di dignità collettiva. Vespa fu cacciato dal Tg1 perché disse che il suo partito di riferimento era la Dc. Oggi invece l'essere militante di un'area politica è diventata addirittura rivendicazione orgogliosa. Minzolini ha fatto, fa, una cosa in più: si sente parte militante della linea politica del premier che l'ha nominato. Non credo che sbagli a fare i suoi editoriali ma sbaglia ad abbracciare la stessa causa di chi l'ha nominato. Ripeto, la Rai è proprietà della politica, i direttori sono di parte politica per definizione, la differenza è tra chi come Minzolini l'abbraccia e ne fa una missione e chi invece tenta di mediare tra le proprie opinioni e l'interesse generale. Questo è il salto imposto da Berlusconi, che non solo ti nomina ma poi vuole che tu diventi un suo soldatino.

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Ma dopo una sana e istruttiva legnata, oggi per il nostro Crux c'è anche spazio per uno zuccherino. Nel Berlusconi di ieri che sostiene come in Europa si sia “vissuto al di sopra dei propri mezzi” c'è una clamorosa contraddizione, che il conduttore della Zanzara opportunamente non ha mancato di far notare (questo è lo zuccherino), con il Berlusconi del passato, quello che invitava i cittadini a spendere e ad acquistare beni perché così "si fa girare l'economia". Dal consumismo visto come motore per uscire dalla crisi, perché questa era l'insana ricetta del premier, siamo ora passati ai “sacrifici indispensabili”. Che dire... Bentornato sulla Terra, cavaliere. Conta di restarci a lungo?

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E per chiudere ho una domanda che, magari partendo dall'audio col bisticcio, ieri alla conferenza stampa, tra Luca Telese (divertente il suo pezzo sul Fatto di oggi) e il duo Berlusconi&Tremonti, avrei piacere Crux girasse a tutti i radioascoltatori, perché secondo me è interessante. Perché l'idea - formidabile in un'ottica anti evasione - di abbassare drasticamente la soglia massima per il pagamento in contanti (molto più di quanto non abbia fatto Tremonti), è vissuta così male da qualcuno?

Tremonti menziona gli anziani che avrebbero difficoltà col bancomat… Il problema esiste, certo, ma a guardar bene, a parte il fatto che è solo una questione di abitudine, e che il cercare le monetine giuste nel portafoglio è per tutti una morte ben peggiore, come può tirare in ballo gli anziani colui che tempo fa ideò la social card? Non ha senso, dai.

Berlusconi, invece, cita il famigerato “stato di polizia tributaria”, spiegando come ci siano “spese che delle volte uno preferisce effettuare in contanti”. E cioè quali, di grazia?

Ma poi, di preciso, cosa diavolo è lo stato di polizia tributaria? Cosa significa non volerlo, se non il reclamare una malintesa libertà ad evadere tutto quel che si può? Mistero. In particolar modo per me, che penso a quanto sarebbe meraviglioso un mondo senza banconote, e, soprattutto, senza quei dannati spiccioli. A parte per gli amanti della numismatica, s'intende :-)

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The Clash, "Police On My Back" (1980)




Well I'm running, police on my back
I've been hiding, police on my back
There was a shooting, police on my back
And the victim well he won't come back...


mercoledì 26 maggio 2010

Reality check

L'idea che Visco diventi ministro delle Finanze equivale a quella di fare Dracula presidente dell'Avis.”
Giulio Tremonti, settembre 1995

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Potremmo discutere per ore sui contenuti della manovra finanziaria straordinaria, sui provvedimenti graditi e su quelli criticabili, sulle novità strutturali e su quelle effimere. Io mi limito a dire che un ritocco all'età pensionabile sarebbe stato auspicabile, ma mi fermo lì perché ci sono decine di articoli oggi in rassegna stampa per chi vuole approfondire questi aspetti (consiglio in particolare Francesco Giavazzi sul Corriere, Mario Deaglio sulla Stampa, e Tito Boeri su Repubblica), e non ho la pretesa di ergermi al livello di quel fior di economisti.

Quel che mi interessa ora è invece osservare come la manovra economica, a lungo negata dal governo nei mesi scorsi, faccia un po' da spartiacque. C'è stato un prima, e ora c'è un dopo. Chi pensava di governare un paese con la finanza creativa, coi miracoli italiani, con l'ottimismo che è il profumo della vita e sulla base di una visione eternamente rosea del futuro, alla "vada come vada sarà un successo", ha dovuto infine ricredersi, reduce da uno scontro frontale con la realtà. Il sogno ad occhi aperti è finito, gente. In economia non è più tempo di voli pindarici, né di miraggi, perché la crisi economica che ci sta mordendo chiappe e caviglie sembra sia soltanto all'inizio.

Reality check, si dice in inglese per sottolineare quando qualcuno scopre improvvisamente la vera natura delle cose, dopo che a lungo se l'era immaginata diversa. Questo "qualcuno" non è ovviamente Silvio Berlusconi, il quale è probabilmente ancora ben lontano dal rendersi conto che il mondo in cui vive lui non è il mondo in cui vivono tutti gli altri. Ma l'importante è che ad aprire gli occhi sia stato Giulio Tremonti, visto che a quanto pare questi, da qualche tempo a questa parte, detiene nelle sue mani un potere superiore a quello dello stesso premier.

Lungi da me fare l'apologia del superministro dell'economia, sia chiaro. Ha commesso tanti errori in passato e altri (meno) persiste nel commetterli oggi, ma dal punto di vista che ho appena spiegato una cosa la voglio dire chiara e tonda: non ho la più pallida idea di come faccia di preciso Tremonti a possedere questa specie di golden share sull'intero governo, ma sono davvero contento che la possieda.

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L'intensità del fenomeno che viviamo è storica e ha modificato tutti i paradigmi, dalla politica all'economia. Non siamo dentro una congiuntura ma in un tornante della storia.
Giulio Tremonti, maggio 2010

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Tonino Carotone, "Me cago en el amor", meglio nota come "E' un mondo difficile" (1999)




E' un mondo difficile
E' vita intensa
Felicità a momenti
E futuro incerto...


martedì 25 maggio 2010

Vostro Onore mi oppongo!

Oggi a intrattenervi con il post sarà Paolo, ma non resisto alla tentazione di aggiungere un mio cappello perché i 5 minuti di Zanzara tra le 20:23 e e le 20:28 di ieri sono stati qualcosa di strepitoso, una perla da consegnare ai posteri. Siccome a riassumere quel che è successo ci metto troppo tempo, faccio che estrarre direttamente il frammento audio. Ascoltate.


Stre-pi-to-so, ribadisco. Giuseppe Cruciani, il quale ad un certo punto, senza apparente motivo, perde le staffe e inizia a sbraitare nei confronti di un malcapitato ascoltatore che stava esprimendo con pacatezza la sua opinione, mette inopinatamente sullo stesso piano problematiche che hanno invece un livello d'importanza molto diverso. Nonostante qui ci sia in ballo una legge che "rompe i coglioni" (nel senso bersaniano dell'espressione, cioè "mette i bastoni tra le ruote") alla magistratura e che riduce il ruolo dei giornalisti da cani da guardia a bassotti da passeggio, il punto della discussione che più sta a cuore al conduttore della Zanzara è la pubblicazione delle intercettazioni sui quotidiani. Una questione che c'è, d'accordo, diciamolo pure, ma il cui peso, confrontato con gli altri citati poc'anzi, è trascurabile a dir poco.

Non si può usare la bomba atomica per ammazzare una mosca. La legge che sta per passare in Senato è un obbrobrio. Questo è il punto. La pubblicazione delle intercettazioni, nell'ambito di questa analisi, è solo un piccolo insignificante dettaglio che non è neanche è il caso di menzionare. E' il classico dito al posto della luna.

Il colmo è che ad un certo punto lo stesso Cruciani, dopo aver assunto un po' di bromuro ed essersi calmato, citando un pezzo di Luca Ricolfi sulla Stampa è arrivato a riconoscere che questa legge è “sbagliata, sbagliatissima”, perché “non ha nulla a che fare con la privacy”, ma “serve alla politica affinché la magistratura non gli rompa le scatole”. Ebbene, dico io, di fronte ad una considerazione del genere chi se ne strafrega del tema della pubblicazione delle intercettazioni! Che rilevanza potrà mai avere questo aspetto, che, sotto ogni punto di vista, data la posta in gioco, è semplicemente un male minore? Un male minore di cui, peraltro, agli italiani che passano al bar la sera prima di tornare a casa, gli stessi che nel 99,99999999 percento dei casi non vedranno mai il proprio nome sui giornali, non importa un fico secco.

Basta, ho parlato fin troppo. Paolo, a te.

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[Da qui in giù il testo è di Paolo]

Buongiorno,

vi ricordate qualche giallo d'antan? Perry Mason, Nero Wolfe, Ellery Queen, insomma quelli rassicuranti in cui il colpevole alla fine viene smascherato ed assicurato alla giustizia? Avevano alcuni cliché, tra i quali uno dei più triti e collaudati prevedeva che il colpevole (sino alla fine solo presunto tale) arrivasse al redde rationem in questa situazione: era in possesso dell'arma, in cattivi rapporti con la vittima, beneficiava della sua morte, era persino antipatico e lombrosianamente colpevole sin da lontano. Ma tutto ciò diventava ininfluente perché l'accusato era dotato di un alibi che l'eroe della serie avrebbe svelato essere falso.

Ieri sera Giuseppe Cruciani parlando della legge bavaglio in discussione in questi giorni ha ricalcato la figura del difensore del colpevole dicendo che: è una brutta legge, è vagamente censoria, non ha lo scopo di preservare la privacy, serve solo a garantire una vita tranquilla ai politici, ci impedirà di sapere tempestivamente alcune notizie MAè fuor di discussione che solo in Italia si è esagerate pubblicando lenzuolate di intercettazioni non attinenti alle indagini”.

E dopo la pubblicità non c'è stato Perry Mason a smascherare l'alibi falso sostenuto da Cruciani e a finire la storia come si conviene. Pertanto, in mancanza di Nero Wolfe, con un po' di ironia, ci provo io.

Vostro Onore mi oppongo! Signori della Corte, Onorevoli Membri della Giuria desidero richiamare la vostra attenzione sul fatto che l'alibi è falso. E per fare ciò Vi chiedo la cortesia di chiamarVi a testimone, perché farò appello alla Vostra memoria per dimostrare che anche all'estero, nei paesi occidentali che chiamiamo civili la stampa pubblica (indegnamente, ma non è questo il punto) "lenzuolate" di spazzatura sui politici, senza che questo porti a leggi che sono “fuor di discussione” censorie (citare l'avvocato della parte avversa è l'artificio dialettico che mi piace di più, se non si era capito).

Cominciamo dagli Stati Uniti. Chi di voi non è a conoscenza dell'uso originale che fecero dei sigari l'ex presidente Clinton e la sua stagista? E chi non sa che quest'ultima ben altro che il sigaro aspirava? Che il candidato Gary Hart rinunciò per le rivelazioni della sua ex amante Donna Rice? Che l'Huffington Post sta offrendo una ricompensa a chi possa dimostrare l'esistenza di una amante (attuale o ex) dell'attuale presidente abbronzato? Che metà della famiglia Kennedy (quelli di sesso maschile) avevano una love story con la divina Marilyn Monroe? Queste non sono forse un po' di lenzuolate americane, pezzi di privato che la stampa USA ha dato in pasto ai suoi morbosi lettori?

Passiamo alla Francia, signori giurati. Sono forse il solo a sapere che Mitterand aveva figli al di fuori del matrimonio? Che l'attuale presidente Sarkozy vanta un passato di tombeur de femmes e di fedifrago? Per non parlare del capitolo inerente alla maternità della bella ex ministro Rachida Dati. Lenzuolate Francesi pubblicate dai giornali d'oltralpe.

Passiamo all'Inghilterra. Sarah Ferguson and her lovers. Lady Diana's love affaires. L'infedeltà dell'erede al trono con Camilla. Gli allegri "fidanzamenti" dei nipoti della Regina. Tutto privato. Tutte lenzuolate inglesi pubblicate dalla algida stampa albionica.

E che dire del gossip sulla famiglia Ranieri di Monaco o dei problemi di anoressia dell'erede al trono Svedese, dei rapporti tra l'Infanta di Spagna e lo sportivo basco ? Lenzuolate, lenzuolate, lenzuolate internazionali, che, intercettazioni o no, invadevano il privato senza pudore.

Signori giurati, mi rendo conto di aver già esagerato. Perdonate la foga, non voglio continuare per non offendere la Vostra intelligenza. Abbiamo già ricordato quanto basta per dimostrare che l'alibi dell'imputato è falso: per quanto odiose possano essere le lenzuolate (non è questo il punto), queste esistono ovunque senza che, nei Paesi democratici e civili, ne derivi un bavaglio per la stampa.

Devo quindi sottolineare che l'avvocato della parte avversa che sostiene il contrario abusa della vostra buona fede dimostrando di essere un leggero frescone nella migliore delle ipotesi, un mestierante in malafede nella peggiore. Per usare delle parole che ieri sera hanno dimostrato di divertirlo assai, dimostrando solo di voler rompere i coglioni! E devo quindi chiedervi di condannare il governo che lui difende per il reato di censura! Perché è colpevole, colpevole, colpevole!

Saluti

Paolo, l'allegro avvocato dell'accusa

PS. Ieri scrivevo che anche i politici italiani hanno qualcosa da insegnare a quelli tedeschi nella gestione della crisi. Devo ammettere che, pur avendo segnalato la capacità di mascherare la realtà delle cose, l'avevo sottovalutata. Come mi è stato segnalato, dietro la dizione "razionalizzazione catastale", che fa pensare all'efficienza della pubblica amministrazione nella manovra in arrivo si nasconde (nemmeno tanto bene) il solito condono edilizio. In fondo è sempre Tremonti. Condonare è più forte di lui.

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(Authan) Che bella occasione per riascoltare il magnifico tema musicale del telefilm Perry Mason, opera del compositore americano Fred Steiner (1957)




lunedì 24 maggio 2010

La casta dei radical scioc

Inizialmente il titolo che avevo pensato per il post era "La casta dei radical shock", o "choc" per gli amanti del francese. Ma poi ho deciso che "scioc", scritto all'italiana, rendesse meglio l'idea.

Chi sono i radical scioc? Sono quegli sciocchini che in modo scioccante danno del "radical chic" a chiunque sia colpevole di essere di sinistra e al contempo di essere benestante. Cioè, se uno che si qualifica come di sinistra, o che è comunque identificabile come tale, ha un buon reddito e/o un buon patrimonio e/o una bella casa allora, per definizione, prima di avere titolo per parlare di poveri, di operai, di gente che non arriva a fine mese, dovrebbe, in nome di una malintesa forma di coerenza, andare a vivere in una stamberga e dar via in beneficenza tutti i propri averi.

I radical scioc sono talmente diffusi che anche un Massimiliano Parente qualsiasi, pescando dal fondo del barile, sarebbe capace di scriverci un libro, se non fosse anch'egli un radical scioc. Ma se serve un esempio emblematico di tale categoria di illuminati, esso ci è stato cortesemente fornito dalla Zanzara di venerdì scorso: il sottosegretario alla difesa Guido Crosetto.

Urge un virgolettato del Crosetto pensiero, perché non sennò non ci si crede: “Santoro l'ho sentito pontificare mille volte, dicendo che è una vergogna che ci siano persone che vivono nel lusso, mentre altre vivono nella povertà, e paragonando sistemi e tenori di vita con quelli degli operai e disoccupati che fa vedere. Che pensi a se stesso! E' lui il primo che con la sua ricchezza offende gli altri. Non può uno come lui parlare degli operai del Sulcis”.

Ora, spero sia chiaro a tutti che, come del resto sottolineato anche da Giuseppe Cruciani, Santoro non si è mai sognato di rimproverare tout court la ricchezza di chicchessia, e che pertanto il ragionamento di Crosetto è privo della benché minima logica. E' pregiudizio allo stato puro, un guazzabuglio di disprezzo, banalità, pressapochismo, superficialità, demagogia, pochezza, e miseria intellettuale. Tutte peculiarità che caratterizzano i membri della casta dei radical scioc, peraltro identificabili facilmente dall'uso continuo di frasi fatte contenenti parole quali "salotto", "loft", "cachemire", "snob", et similia.

Volete l'esempio numero due? Sicuri? E va bene... Ai vertici della casta dei radical scioc c'è nientemeno che Maurizio Belpietro. E perché mai, vi chiederete? Ebbene, come scopro dal sempre avvincente blog NonLeggerlo (piccola marchetta per il mio collega blogger Wil), il direttore di Libero, in un breve articolo, ha rimproverato la sua controparte all'Unità, Concita De Gregorio, di aver partecipato all'ultima puntata di Ballarò, prendendo paraltro “le difese della casse lavoratrice e dei precari a suo dire vessati dal governo”, con indosso - scandalo! - delle scarpe firmate Roger Vivier da mille euro.

Capito? Il valore delle scarpe che s'indossano per Belpietro può essere un fattore squalificante per il valore delle parole pronunciate da un suo interlocutore. Siamo all'apice della genialità umana, nessuno aveva mai raggiunto cotanta profondità di pensiero. Caro Belpietro, ma la vuole sapere qual è l'unica vera correlazione tra parole e scarpe? L'ahio che le scapperà dalla bocca quando il prossimo interlocutore a cui ripeterà la sua insana teoria per tutta risposta farà uso delle sue preziose calzature appuntite per mollarle un sonoro calcio nel culo.

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Il contributo multimediale del giorno è dedicato a Concita De Gregorio e alle sue scarpe à la page.

"Blue Suede Shoes", di Carl Perkins, nella versione più celebre di Elvis Presley (1955)




Well, it's one for the money, two for the show
Three to get ready now go cat go
But don't you, step on my blue suede shoes
You can do anything
But lay off of my blue suede shoes...

venerdì 21 maggio 2010

Beati sono i popoli che non hanno bisogno di eroi

Tutto questo gran parlare della risoluzione consensuale del contratto tra Michele Santoro e la Rai è davvero surreale. Ed è un po' lo specchio di questa Italia che ha sempre bisogno di trovare dei simboli viventi a cui consegnare le vesti del messia o a cui, al contrario, addossare le colpe di ogni male immaginabile.

Il bene e il male, lo yin e lo yang. La popolarità in positivo e in negativo di Santoro, eroe di un per una moltitudine di italiani e bandito per un'altra, è figlia di questa diffusissima forma mentis, di questo voler dividere il mondo in buoni e cattivi, approccio che – intendiamoci – è sempre esistito ma che dopo la discesa in campo di Berlusconi è diventato la regola, almeno in politica. Beati sono i popoli che non hanno bisogno di eroi, scrisse Bertold Brecht.

Questo scenario fa sì che la scelta del giornalista salernitano di lasciare la Rai venga letta nei modi più irrazionali, con toni esaltati e sproporzionati, inclusi ahimè quelli narcisistici ed egocentrici di Santoro stesso (il quale sotto questo punto di vista - il narcisismo e l'egocentrismo, dico - ricorda un po' il nostro Giuseppe Cruciani, se posso permettermi la frecciatina quotidiana), a giudicare dal suo monologo di ieri sera durante l'anteprima di AnnoZero.

Reazioni esagerate, dicevo, per una vicenda che invece, come del resto sostiene il nostro conduttore radiofonico preferito, è di una semplicità disarmante. C'è un lavoratore senza più la voglia di rimanere in un'azienda che, incomprensibilmente secondo una logica commerciale (ma la Rai segue altre logiche), lo tratta da indesiderato a dispetto dei profitti che origina, e che, com'è normale che sia, tratta i termini della sua fuoriuscita. E' tutto lì. Come giustamente dice Cruciani, non stiamo assistendo - e qui mi rivolgo agli antiberlusconiani più accaniti - alla morte della libera informazione in Italia. Non cala cioè un improvviso buio. Ma neppure - e questo lo dico io rivolgendomi ai berluscones - siamo all'inizio di una nuova luminosa era giornalistica televisiva scevra di ogni faziosità, perché è evidente che non è così.

Non è dunque in atto né un martirio, né un tradimento, né una cacciata, ma un semplice divorzio tra due soggetti che erano già separati in casa. Perché non si può semplicemente e serenamente prenderne atto?

Luca Telese due giorni fa alla Zanzara diceva in sostanza che Santoro non può andarsene così, all'improvviso, visto che, essendosi fatto paladino di una missione "per conto di Dio" a difesa della libertà d'informazione, in un certo senso deve qualcosa al suo pubblico, specialmente dopo la serata carbonara al Paladozza di Bologna, finanziata in parte proprio dagli aficionados di AnnoZero. Il discorso filerebbe se non fosse per il fatto che Santoro non pare intendere di voler darsi alla macchia o di ritirarsi in qualche eremo dorato, ma semmai di voler intraprendere nuovi progetti e seguire strade comunicative diverse. Prima di giudicare la svolta santoriana, è il caso di aspettare e vedere, no? Mica possiamo fare i processi alle intenzioni.

Ma la polemica più assurda, più ridicola, più demenziale di tutte è quella sui soldi. Io capisco che di Santoro si possano voler criticare le opinioni, lo stile, la condotta. Va bene tutto. Ma brontolare per via dei suoi compensi e della sua "buonuscita" (che è banalmente un multiplo del suo compenso annuale, come è normale in casi di contratti rotti con diversi anni di anticipo) è veramente roba da mentecatti. In ogni disciplina o mestiere legato allo show-business chi eccelle viene lautamente ricompensato.

Molti cantanti, attori, piloti di Formula 1 o di MotoGP guadagnano cifre stratosferiche, per non parlare dei fuoriclasse del calcio. La retribuzione di questa categoria di individui è in funzione dei profitti che la loro arte e il loro talento determinano, e Michele Santoro, autentico fuoriclasse della televisione, sotto questo punto di vista, è (era) una miniera d'oro per la Rai. Non era mica denaro in cambio di nulla quello che gli veniva elargito. Erano soldi (parecchi) in cambio di soldi (un'infinità).

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Dire Straits, "Money For Nothing" (1985)




That ain't working that's the way you do it
You play the guitar on the MTV
That ain't working that's the way you do it
Money for nothing and your chicks for free...

giovedì 20 maggio 2010

Il grande timoniere (dalle mani malferme)

[Il post è di Paolo]

Buongiorno,

Mi sono accorto che nel mio post precedente ho citato come inadeguati solo politici del centrodestra. Non l'ho fatto per spirito di parte, né per fare sconti alla sinistra, ma perché quest'ultima, vista la complessità della situazione economica e politica attuale, preferisce restare in letargo.

Ma anche la sinistra, quando socchiude un occhio tra un pisolino e l'altro, riesce a non essere da meno e partorisce obbrobri come il vitalizio per tutti i politici, proposta della quale la promotrice, durante la Zanzara di martedì scorso, ha cercato di illustrare le ragioni, sottolineando come non di privilegio si tratti, senza peraltro essere convincente (è stata giustamente massacrata dalla chiusa di Giuseppe Cruciani).

Secondo me, però, oggi, sempre parlando di inadeguatezza, val la pena di chiederci una volta di più se Giulio Tremonti sia la persona giusta al posto giusto.

Il ministro dell'economia si è inserito nel dibattito sulla riduzione degli stipendi dei politici definendo l'iniziativa “un aperitivo”. Il che è sicuramente giusto, anche perché l'iniziativa sarebbe accompagnata pressoché contemporaneamente da generose buonuscite che alcune regioni (Toscana, Veneto,…), in una fuga in avanti verso il federalismo, hanno accordato alle giunte uscenti.

Ma Tremonti ha deciso di andare oltre, annunciando una riduzione della mano pubblica con tagli alla spesa improduttiva e un rinnovato vigore nella lotta all'evasione. E qui mi pare che l'asino caschi rovinosamente, giocandosi anche molta della credibilità che gli si poteva accordare.

Perché Tremonti sostanzialmente afferma il falso quando dice che il sistema pensionistico italiano è stabile: la verità è che per i giovani, con le attuali regole e l'attuale mercato del lavoro, di fatto non esisterà sistema pensionistico (i loro pochissimi contributi servono essenzialmente a pagare le pensioni degli altri).

Perché Tremonti è lo stesso che in tempi recentissimi ha operato in direzione esattamente opposta, consciamente e deliberatamente, appoggiando e sostenendo, per dirne una di celebre, l'inopportuna e dispendiosa operazione su Alitalia.

Ma è anche lo stesso che, più in sordina e nella consolidata abitudine di usare le emergenze come pretesto per generare affari ed appalti, appoggia un piano carceri solo nella parte in cui si prevedono lavori in appalto per realizzare nuovi penitenziari (compiacendo in questo modo le ditte appaltatrici), ma non nell'altra condizione anch'essa indispensabile a migliorare le condizioni di vita nei penitenziari che è l'assunzione di nuove guardie carcerarie. Il che è come acquistare un'auto nuova sapendo di non avere la patente e che non ci saranno i soldi per la benzina. Spesa improduttiva.

Ma soprattutto è quello che, promuovendo uno scudo fiscale, ha tolto preventivamente alla lotta all'evasione (che adesso dichiara di voler potenziare) gran parte della possibilità di essere redditizia attraverso il meccanismo di condono (la lista Falciani mi fa pensare che, promettendo il 5% di quanto fosse stato possibile incassare a chi avesse fornito le informazioni necessarie ad individuare gli evasori avremmo ottenuto risultati mooooolto superiori a quelli dello scudo. Mi dite che sono metodi da stato di polizia? E' probabilmente vero, ma credo siano giustificati in una situazione di quasi catastrofe finanziaria quale quella attuale).

Ora, io sostengo che in questo momento sia indispensabile avere qualcuno che nella bufera finanziaria, della nave Italia, che è una nave fragile come il cristallo, regga saldamente il timone, senza sbatterlo di qua e di là ad ogni alito di vento come sta facendo il ministro. Altrimenti oltre a perdere la rotta, finisce che la nave si rovescia e va in frantumi.

La realtà è che non esistono uomini buoni per ogni situazione: chi promuoveva sperperi e condoni difficilmente può essere credibile ed adeguato a razionalizzare la spesa e combattere l'evasione.

E, mentre noi diciamo di voler fare tutto ed il contrario di tutto, qualcuno (la cancelliera Merkel), più intelligentemente, comincia a capire che è il caso di spuntare le armi degli speculatori e vieta operazioni finanziarie allo scoperto. Il che può esser un piccolo passo concreto e credibile, magari da accompagnare con una diversa tassazione sulle rendite della speculazione.

Saluti

Paolo

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(Authan) The Doors, "The Crystal Ship" (1967)




Before you slip into unconsciousness
I'd like to have another kiss
Another flashing chance at bliss
Another kiss
Another kiss...


mercoledì 19 maggio 2010

Le mani in tasca

Nel pieno possesso delle mie facoltà mentali, e senza essere soggetto a costrizione alcuna, dichiaro ufficialmente che:

1) La trasmissione "Bianco o Nero" di Alessandro Milan è di norma smisuratamente più interessante della Zanzara di Giuseppe Cruciani (nota: metto a confronto questi due programmi perché sono gli unici che ascolto sempre). Capisco che sono trasmissioni diverse, in onda in orari diversi, con durate diverse, con audience diverse aventi aspettative diverse, ma sta di fatto che, nel mio personalissimo caso, al mattino, contrariamente a quanto accade la sera, io non mi annoio mai.

2) Se ancora non esiste un fan club dedicato allo scrittore Antonio Scurati ditemelo perché intendo aprirne uno io. Scurati, ospite di Milan stamattina (ma citato anche da Cruciani ieri sera, sebbene solo en passant), è l'autore di un formidabile articolo, pubblicato ieri dalla Stampa, nel quale si propone il ribaltamento di un tipico motto: no representation without taxation. Si privino cioè gli evasori fiscali conclamati dei diritti civili. “Chi di fatto” - scrive Scurati - “non fa parte del consesso civile statale che si costruisce e conserva grazie al contributo fiscale di tutti, non ne faccia parte nemmeno di diritto”. Parole non sante. Di più.

3) Se sento ancora un membro del governo (ieri è stato Giulio Tremonti) usare la frase idiomatica “Non metteremo le mani in tasca agli italiani” potrei non rispondere più delle mie azioni. Se non altro perché, anche senza citare il recente rapporto di Banca d'Italia che parla di pressione fiscale generale in aumento, già solo con l'aumento dell'IVA per gli abbonamenti a Sky un indice e un pollice li ho beccati eccome a trafficare negli scomparti del mio portafoglio, e qualche banconota mi è pure sparita. Ma, ancor di più, è la profonda ipocrisia a farmi ribollire il sangue. Quando Prodi e Padoa Schioppa alzarono le tasse furono fuoco e fiamme da parte dell'allora opposizione; ma ora la cruda verità è che l'attuale governo trae giovamento da quella scelta. Il non alzare le tasse non può essere motivo di vanto, per i cari Tremonti e company. Perché il punto non è mettere le mani nelle tasche degli italiani, ma semmai toglierle.

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Prima di chiudere vi regalo ancora un frammento particolarmente incisivo dell'articolo di Antonio Scurati citato poc'anzi.

Protesto perché sono stufo di pagare con il mio modesto stipendio di ricercatore universitario la scuola d'élite al figlio del ristoratore dove una volta al mese posso forse permettermi di andare a mangiare il pesce, perché sono stufo di pagare con quel modesto stipendio la polizia che sorveglia la sontuosa villa del dentista da cui mi sono fatto otturare un dente cariato, perché sono arcistufo di pagare le strade su cui sfreccia con il suo SUV corazzato il commercialista arricchito o il pronto soccorso a cui ricorre in una notte sbagliata l'imprenditorello impippato, protesto perché non ne posso più di pagare con i miei 1500 euro mensili la escort da duemila euro a botta al riccastro viziato.

Non trovate questo paragrafo in perfetto stile "Quinto Potere"? In effetti ce lo vedo proprio, Scurati, spalancare la finestra e strillare a più non posso “sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più!”. Quasi quasi... Scusa, ti spiace se apro un attimo?

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Alanis Morrisette, "Hand In My Pocket" (1995)




What it all comes down to
Is that I haven't got it all figured out just yet
'Cause I've got one hand in my pocket
And the other one is giving a peace sign...


martedì 18 maggio 2010

Braccia rubate all'agricoltura

[il post di oggi è di Paolo]

Buongiorno,

nelle ultime puntate della Zanzara hanno fatto capolino una serie di personaggi tratti dall'agone politico che sembravano fare a gara nel dimostrare la loro distanza dalla vita reale e la conseguente inidoneità al ruolo.

Si è partiti con l'ex ministro Claudio Scajola ed i suoi patetici tentativi di chiamarsi fuori dalle strane regalie che avrebbero riguardato il suo alloggio romano. Si è passati attraverso Giorgio Stracquadanio ed i suoi strampalati conteggi atti a dimostrare come i parlamentari necessitino di incentivi economici a causa dell'asserita esiguità del loro stipendio. E si è arrivati a Giuseppe Consolo, che presenta interrogazioni parlamentari per dirimere i problemi amministrativi relativi ai permessi di accesso delle vetture dei parlamentari nel centro di Roma. Per non citare Cosimo Gallo e la proposta di sanare l'erosione dei punti sulle patenti dei conduttori delle auto blu ed altre amenità simili, o il ministro della difesa Ignazio La Russa che, il giorno dopo l'ennesimo grave attacco contro i nostri militari in Afghanistan, con due vittime, precisa e puntualizza alcune sue sue dichiarazioni sul campionato di calcio.

In questo contesto alcuni sembrano voler vedere nella proposta del ministro Roberto Calderoli di un taglio del 5% allo stipendio dei parlamentari e ministri un piccolo segnale inverso, in occasione di una imminente manovra economica correttiva che chiederà grossi sacrifici a tutti i cittadini servizi in generale, cui saranno tagliati servizi, ed ai dipendenti statali in particolare, cui saranno imposte ulteriori restrizioni sul fronte pensionistico e, prevedibilmente, malgrado le rassicurazioni di Renato Brunetta, su quello economico.

Io la vedo diversamente, perché un taglio di quella portata, come peraltro evidenziato nell'articolo di Luca Ricolfi sulla Stampa, citato varie volte ieri da Giuseppe Cruciani, è risibile rispetto alle dimensione dei problemi che si dovranno affrontare e dei privilegi che i nostri politici si sono autoaccordati. E quindi mi sembra una manovra a metà tra la propaganda e l'autoassoluzione.

Sia chiaro, in un'ottica "meglio di niente", ben venga la sforbiciata alla Calderoli. Anzi, si raddoppi. Almeno servirà a non approfondire ulteriormente il solco tra cittadini normali e privilegiati. Però, facendo due conti, la più ottimistica delle stime ci permette di calcolare in circa 200 milioni di euro i risparmi derivanti dal taglio proposto da Calderoli (meno dell'1% della manovra finanziaria annunciata), mentre l'abolizione delle province, argomento sul quale io ho idee poco chiare e cui il ministro per la semplificazione si oppone, comporterebbe risparmi stimati in una dozzina di miliardi, cioè sessanta volte tanto.

Inseguire un problema minimale in luogo di uno di ordini di grandezza superiore come sta facendo Calderoli è anch'esso, alla fine, un essere avulsi dalla vita reale. E farlo millantando il voler essere partecipi dei problemi degli altri è propaganda becera.

Meglio sarebbe invece cominciare ad affrontare seriamente ed in maniera strutturale l'abuso che si fa degli strumenti gestionali nella pubblica amministrazione, a partire da quelli il cui utilizzo è già stato annunciato in funzione anti crisi, come il blocco del turn over, che applicato in maniera cieca da oltre dieci anni, ha comportato la necessità di appaltare massicciamente servizi a costi superiori a quelli che storicamente gli enti pubblici dovevano affrontare con personale dipendente proprio, così come dimostrato in varie occasione dalle inchieste di Report.

Saluti

Paolo

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Contributo multimediale scelto da Paolo.

Davide Van De Sfroos, "Poor' Italia" (1995)




E disen poor' Italia, poor' Italia, poor' Italia
Sempru in prima fila quand finiss la bataglia...


lunedì 17 maggio 2010

Nostra Signora dell'Ipocrisia

Se avessi immaginato che ad un post malinconico ed amareggiato come il precedente avrebbe fatto seguito una Zanzara scoppiettante come quella di venerdì scorso, lo avrei pubblicato ben prima :-)

Intendiamoci. Non cambio una virgola di quello che ho scritto. Ero un news-aholic (un alcolizzato da news) e ora non lo sono più. Leggevo decine di articoli al giorno, e ora molti molti molti meno. La Zanzara era quasi una droga mentre ora è una mera routine. Però una trasmissione come quella di venerdi rappresenta un piccola scossa positiva, un colpo di sperone dato sul fianco del cavallo pigro.

E naturalmente il merito, più che dei ritriti argomenti, è stato degli ospiti "di qualità" che Cruciani ha voluto al proprio fianco: il brillante animatore del sito umoristico Spinoza, il vecchio buon Luca Telese, e nel finale di trasmissione, il disneyano Oscar Giannino, sempre interessante.

Luca Telese, in particolare, ha gigioneggiato in lungo e in largo, per quasi un'ora, giocando (credo sulla base di un accordo preventivo con il conduttore che voleva dare verve alla puntata) a fare da rappresentazione vivente dell'anti-Crux, specie a proposito della vicende del fleur du mal Anemone e della sua lista di clienti.

Se per Cruciani la vicenda può essere circoscritta alla mera presenza di un “network di potere” come tanti in Italia e nel mondo e-cosa-volte-che-sia-mai, fare l'anti-Crux su tale vicenda significa invece indignarsi e dire no-no-no, questi sono ladri, disonesti, corrotti, ed evasori tout court, che non meritano pietà o comprensione. E anche se - va ammesso - Telese è andato fin oltre il dovuto, visto che prima di sputare veleno bisognerebbe almeno avere la pazienza di attendere i riscontri delle indagini, il veder venire scardinato quel triste cliché crucianiano dell'"io-non-mi-indigno-mai", quel dannato cinismo da quattro soldi, è stato veramente una goduria. “Dillo che Scajola ti fa schifo, Giuseppe. Dillo!”. Fosse anche solo per questo, Luca Telese for president, ora e per sempre.

Ma la perla finale è stato la quasi rissa verbale tra Telese e Giannino, sul tema tasse ed evasione fiscale. Come noto, Giannino è un fautore della teoria per cui non l'evadere o l'eludere le altissime tasse italiane, non avendo queste un corrispettivo in servizi di qualità accettabile da parte dello Stato, assomigli più ad un gesto di autodifesa che non ad un'azione criminale, e venerdì il barbuto conduttore di Nove in punto ha ribadito tali concetti, aggiungendo che a quei politici che hanno effettuato pagamenti in nero non va gettata la croce addosso, in quanto tutto sommato “rispecchiano l'Italia”.

Telese in tutta risposta gli ha dato del “diseducativo”, suscitanto un'esilarante reazione di Giannino, “Io non sono stipendiato dal ministero dell'etica!”. Secondo me, però, l'epiteto più appropriato per l'ex collaboratore di Feltri è "ipocrita", e vi spiego perché.

E' verissimo che la pressione fiscale è troppo alta in Italia, e che i servizi offerti in cambio sono in alcuni casi inadeguati. Però non bisogna neppure esagerare col disfattismo: scuola, sanità e sicurezza saranno perfettibili, ma nemmeno si può parlare di servizi allo sbando. E in ogni caso, la reazione giusta a questo sbilanciamento prezzo-pagato-servizio-ricevuto non può esere quella di evadere il fisco più che si può, perché altrimenti, ragionando allo stesso modo, neppure si dovrebbe pagare il biglietto del treno quando si viaggia, visti i noti problemi delle ferrovie.

La verità è un'altra. A Giannino (ma pure a Cruciani che so pensarla come lui), per il quale gli evasori fiscali non meritano pubbliche gogne o condanne morali (e men che mai penali) piace tanto l'idea di tenersi in tasca qualche soldo in più, potendo, e senza correre particolari rischi. Perché questo è il vero volto del vendicatore anti-tasse, una volta sfilata la maschera d'ipocrisia.

Giannino e company, quando si guardano allo specchio, potranno anche raccontarsela, a loro stessi, la panzana della locomotiva lanciata a bomba contro l'ingiustizia, ma non possono pretendere che tutti credano alle loro bubbole. Mi spiace, cari signori, non è il senso di ribellione verso lo stato sanguisuga a muovere la vostra condiscendenza nei confronti dell'atto dell'evadere le tasse, ma l'avidità e l'egoismo. Avidità ed egoismo. Abbiate almeno la decenza di ammetterlo, e la vostra coscienza, un giorno, ve ne sarà grata.

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Francesco Guccini, "Nostra Signora Dell'Ipocrisia" (1993)




E fecero voti con faccia scaltra a Nostra Signora dell'Ipocrisia
perchè una mano lavasse l'altra, tutti colpevoli e così sia
E minacciosi ed un po' pregando, incenso sparsero al loro Dio,
sempre accusando, sempre cercando il responsabile, non certo io...



venerdì 14 maggio 2010

Scotto e inghiottito a forza

Che noia. Questa è stata una delle settimane più dure nella mia vita parallela da blogger dilettante. Mi sono annoiato terribilmente, ter-ri-bil-men-te, nell'ascoltare le ultime puntate della Zanzara e per non tenere chiusa la serranda del blog ho dovuto fare ricorso ad un notevole sforzo di volontà.

In parte, sia chiaro, devo prendermela con me stesso. Sono senz'altro un radioascoltatore atipico, che, al contrario della maggioranza degli ascoltatori "tipici", da un programma come la Zanzara si aspetta qualcosina di più di un mero sottofondo d'intrattenimento. Non che non ci sia apprezzamento per le dosi di ironia e i momenti ludici e gaudenti, ma essi, come già dissi in un'altra occasione, devono essere la ciliegina sulla torta, e non la torta intera. Però non sono io l'autore della trasmissione e devo prendere atto che quel minimo livello di profondità di cui abbisogno possa non essere nei legittimi proponimenti di chi la trasmissione effettivamente la pianifica, la elabora, e la realizza.

Inoltre, colgo di essere giunto ad un fisiologico livello di saturazione mentale. Tutto quel che ascolto, ma anche quel che vedo e leggo su TV e giornali, mi sembra un grande deja-vu. La ripetitività la fa da padrone, e l'entusiasmo di una volta è solo un ricordo. Ad esempio, in passato la presenza in trasmissione di personaggio fuori dagli schemi quale Paolo Guzzanti (ieri ospite di Giuseppe Cruciani) mi avrebbe galvanizzato, stimolato, scatenato passioni e fervori. Invece ieri la mia faccia tediata non ha cambiato smorfia. Perché di quel che pensa Carlo De Benedetti del PD, di D'Alema, e di Bersani (questo è stato il tema principale toccato dall'ex vicedirettore del Giornale nel suo intervento) non me ne frega niente. Forse dovrebbe fregarmente, essendo il soggetto in questione l'editore di Repubblica. Ma, come detto, sono saturo. Nulla sembra più scalfire il mio muro di disinteresse e disincanto, la cui solidità peraltro esula dal solo ambito della Zanzara, toccando anche quello dei giornali e dell'informazione televisiva.

Quindi, ribadisco, se mi annoio è in buona parte colpa mia, e della mia personale crisi di rigetto. Tuttavia, un ruolo, spiace dirlo, ce l'ha anche il nostro Crux, che ci mette del suo. Prendiamo ad esempio i primi agghiaccianti venti minuti della Zanzara di ieri durante i quali il conduttore ha dialogato con Benedetta Parodi, autrice del best seller culinario "Cotto e mangiato", ponendole domande quali “Che piatto cucinerebbe per Berlusconi?”. Ebbene, io ho provato un fortissimo imbarazzo. Non solo per me, ma anche per la stessa Benedetta Parodi la cui intelligenza veniva mortificata dall'insulsaggine delle domande che le venivano rivolte.

No, signori, non è stata un'intervista di quelle leggere e spiritose da rotocalco. E' stata invece un'intervista penosa e infima di cui si vergognerebbe anche l'ultimo galoppino di Alfonso Signorini, e che dubito possa essere stata particolarmente apprezzata anche dagli ascoltatori standard della Zanzara. E a maggior ragione, io, che "standard" non sono, dovrei sul serio spendere il mio tempo per ascoltare materiale di siffatta natura? Datemi un valido motivo, anche uno solo.

Davvero mi chiedo come è possibile che la mia radiolina ieri, alla fine dell'overture della Zanzara, sia potuta rimanere sulla mensola, quando avrei dovuto prenderla e scaraventarla fuori dalla finestra. E la risposta è una sola: l'ascolto sistematico di una trasmissione sempre più vacua, frivola e superficiale assomiglia vieppiù ad un lavoro, un obbligo di servizio, un'ordalia alla quale sottopormi a forza perché altrimenti che cavolo scrivo nel blog. Non un piacere, insomma, ma un dovere, un'imposizione. E la cosa non va bene. Non va bene per niente.

Sommate tutte insieme queste cose, le mia bassa ricettività, la mia saturazione, il mio disinteresse in una direzione, e la scarsa incisività e profondità della trasmissione nell'altra, e traetene le conclusioni. Io ci devo ancora rimuginare sopra, per intravedere le possibili scappatoie. A occhio, direi che nel caso migliore non mi sento più di garantire un post al dì, senza peraltro sentirmi in dovere da dare avviso o spiegazione in caso di assenza di articoli per uno o più giorni. Nel caso peggiore, invece, il titolo di questo post potrebbe essere modificato in "Exit strategy".

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Negrita, "In Un Mare Di Noia" (1997)




Che fatica nuotare in un mare di noia
Senza pinne e senz'aria in un mare di noia
Di noia...

giovedì 13 maggio 2010

God Save The Queen

Puntata per me incommentabile, quella di ieri. Non perché sia stata più frivola del solito, ma perché non ho gli strumenti per esprimere un parere circostanziato su quello che è stato il tema del giorno, una rievocazione della gestione del post-terremoto a L'Aquila sollecitata dal film "Draquila" di Sabina Guzzanti e dalle dichiarazioni di molto critiche a Repubblica TV (e poi ieri alla Zanzara, dove è intervenuto) di Ascanio Celestini. Questi, riferendosi al fatto che si è preferito costruire nuove case i nuovi siti, anziché ricostruire gli edifici crollati, ha usato, in senso metaforico, espressioni come “deportazione”, “crimine”, e altre del medesimo tenore, suscitando dure critiche da parte di Giuseppe Cruciani.

Non essendo mai stato a L'Aquila nel post-terremoto, e non avendo visto il film della Guzzanti, non sono in grado di discettare sul tema, e quindi passo la mano. Non ho le idee chiare su L'Aquila, e non posso parlare di quello che non so. Chi ne sa di più, si accomodi dei commenti. Se vi aspettavate una difesa di ufficio di Celestini da parte mia, devo purtroppo deludervi. Il nocciolo del suo discorso l'ho capito, ma le parole e le metafore con cui ha scelto di comunicare certi concetti mi sono sembrate effettivamente un po' sopra le righe.

Cosa rimane da commentare sulla trasmissione di ieri? Ilona Staller che parla di Pannella e di Siffredi? Cabaret puro che non puntava a stimolare riflessioni (semmai altro).

E allora, per non fare di questo il più inutile di tutti i post della storia dell'Anti-Zanzara vi lascio almeno con un bel contributo multimediale, dedicato al Regno Unito, nazione che in quattro e quattr'otto, con grande serietà e senso delle istituzioni da parte di tutti i protagonisti, è uscito dall'impasse in cui era venuto a trovarsi sopo l'esito delle elezioni politiche. Pensando alle trattative interminabili e alle lungaggini a cui siamo abituati da noi, l'invidia che ieri Cruciani ha lasciato trasparire è anche la mia. Ciao a tutti.

Sex Pistols, "God Save The Queen" (1977)




Don't be told what you want
Don't be told what you need
There's no future no future
No future for you...

mercoledì 12 maggio 2010

Cenere alla cenere, polvere alla polvere

Palando sempre, come già nel post precedente, di seguaci assoluti del cavaliere, di super-fedeli alla linea, uno come Emilio Fede, protagonista ieri di un lungo e stravagante sproloquio anti-Saviano alla Zanzara, l'ho già assimilato da tempo. Non mi fa più né caldo né freddo. Rido di lui, se proprio devo prestargli attenzione. Altrimenti non me ne curo neppure. Guardo e passo.

Invece, uno come Giorgio Stracquadanio facevo ancora fatica ad inquadrarlo in modo definitivo, a definirne gli esatti contorni. Sì, ok, è un falco berlusconiano, un pasdaran, ma poi? Ci sono idee, progetti, proponimenti? Mistero. Almeno fino a ieri, quando nel suo mirabolante intervento, ad inizio trasmissione, Stracquadanio ha ribadito la sua valutazione, di cui già Libero aveva dato conto, in base alla quale i parlamentari più operosi e meritevoli dovrebbero essere premiati economicamente, fermo restando l'attuale (già altissima) rimunerazione per gli altri.

Ecco, dunque, come già sottolineava ieri Alessandro Gilioli nel suo blog, qual è il proponimento al centro dei pensieri del politico Stracquadanio: guadagnare di più. Monetizzare più di quanto già non faccia la sua militanza. E non servono dosi di populismo e demagogia affinché, di fronte a cotanta sfrontatezza, caschino le braccia. E' la normale reazione del cittadino incredulo.

Se un barlume di interesse per l'attività politica di Stracquadanio lo si poteva provare, ora siamo scesi al livello zero, al nulla assoluto. Meno di così non si può. Polvere eri, caro onorevole, e polvere ritornerai.

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David Bowie, "Ashes to ashes" (1980)




I never done good things
I never done bad things
I never did anything out of the blue,
Want an axe to break the ice
Wanna come down right now...

martedì 11 maggio 2010

Vai avanti tu che mi vien da ridere

Se la politica italiana, e ciò che ci ruota attorno, è un teatrino, come Giuseppe Cruciani ci insegna introducendo spesso e volentieri gli ultimi parti del dichiarificio quotidiano con una musichetta da avanspettacolo, Emilio Fede e Sandro Bondi di tale teatrino sono due tra le macchiette più rappresentative. E non a caso le loro ultime intemerate li hanno portati al centro dell'attenzione durante la Zanzara di ieri.

Per i due o tre che non lo sapessero, Fede si è scagliato (nuovamente) contro Roberto Saviano, un non-eroe che, a dire del direttore del TG4, ama troppo i riflettori, mentre Bondi ha deciso di disertare l'invito al Festival del cinema di Cannes in quanto in tale sede verrà proiettata fuori concorso "Draquila" di Sabina Guzzanti, che secondo il ministro è “un'opera di propaganda che offende la verità e il popolo italiano” .

A questo punto dovrebbe partire la mia disamina. E invece no. Essendo per me impossibile prendere sul serio due personaggi del genere, non ho gli strumenti per buttar giù un approfondimento. Non riesco a concentrarmi, mi scappa troppo da ridere. Proverei lo stesso imbarazzo a disquisire seriamente di Paolino Paperino e Duffy Duck. Mi spiace, ma Bondi e Fede appaiono ai miei assai selettivi occhi non come persone reali di cui dibattere, ma come cartoni animati, caricature viventi di personaggi monodimensionali, di fantasia e di celluloide, coi quali, al più, ridere e sollazzarsi.

Pertanto cedo il passo, e lascio che a ricamarci sopra un approfondimento siano opinionisti con più contegno di me. Su Fede, in particolare, c'è la reprimenda di Filippo Facci, coadiuvato da Antonio Socci, in un bellissimo pezzo apparso oggi su Libero. Su Bondi, invece, cade l'ascia decapitante di Paolo Guzzanti, in un commento durissimo e spietato, ai limiti dell'oltraggio (anzi, fin al di là dei limiti) apparso nel blog di quest'ultimo.

Nel citare qualche frammento dai due testi, per oggi vi lascio qua. Buona lettura.


FACCI E SOCCI SU FEDE E SAVIANO

Emilio Fede si è lanciato con un'invettiva così sgangherata da rendere imbarazzante persino parlarne. [...] Saviano dovrebbe essere considerato – da tutti – un simbolo di libertà, una voce nobile, un giovane scrittore che ha rischiato e rischia la vita per innescare una rivolta nella coscienza della sua gente […] Dobbiamo capire che il nemico di Saviano è il nostro nemico, il nemico di ciascuno, ciò che infetta e minaccia anche la libertà, la stabilità, il lavoro, il benessere, i risparmi di ogni italiano che, pure, non l'abbia ancora capito. […] Roberto Saviano, che tra l'altro ha rivelato gran stoffa letteraria e straordinario talento giornalistico, in questa rivolta morale ha scommesso la sua vita fin dal principio. Ora, ad appena 31 anni, deve vivere da fuggiasco, superblindato, prigioniero, senza una vita privata. Qualche volta ha ceduto, e ha detto: non lo rifarei. Merita almeno il rispetto di chi sta con il culo al caldo.


PAOLO GUZZANTI SU BONDI E DRAQUILA

Ciò che il film mostra e dimostra, carte bollate e decreti alla mano, è che se il capo del governo vuole dichiarare che la pioggia è un grande evento, può sospendere di conseguenza le libertà civili di chi si trova sotto l'acqua, e non scherzo. […] Bondi è, politicamente palando, un pezzo di merda. Nessun ministro della Cultura, di cui lui non sa nulla, cosa che ho sperimentato molto prima che lui diventasse ministro (avete mai letto le sue "poesie"?) di un Paese normale avrebbe disertato Cannes perché vi è ospitato fuori concorso fra i contributi esterni un film antigovernativo. […] Io credo che Bondi non ha visto il film, ma ha soltanto eseguito un ordine del capoccia. Spero che vediate Draquila, perchè certamente è un film antiberlusconiano, ma soltanto nel senso che Berlusconi appare e viene filmato per quel che dice e fa. Dopodiché chi vuole vomitare, vomita. E chi vuole sorridere sorride.


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Sapevate che Sandro Bondi ebbe una particina nel bellissimo film "Il nome della rosa", del 1986? Interpretò il monaco Berengario. Eccolo in un fotogramma.


Bondi


Incidentalmente, dato che io non riesco a trattenere le risa quando vedo Fede, ho l'occasione di pubblicare un breve estratto dallo stesso film appena citato proprio sul tema del rapporto tra riso e fede. Ah, in un paio di momenti compare Bondi. Se fate attenzione lo vedete.




Il riso uccide la paura, e senza la paura non ci può essere la fede.
Il riso è lo sfogo dell'uomo volgare. Cosa succederebbe se gli uomini saggi
andassero affermando che si può ridere di tutto?
Possiamo ridere di Dio? Il mondo precipiterebbe nel caos.


lunedì 10 maggio 2010

Cittadino del mondo

Non trovando francamente interessante disquisire se, come ha sostenuto Guido Bertolaso (dichiarazione che ha fatto da filo conduttore dell'ultima Zanzara), un lettino per massaggi non si presti bene al mettere in atto gioiose fornicazioni, oggi vi beccate un fill-in, che spero possiate comunque trovare intrigante.

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Nei giorni scorsi, tra i temi i auge c'era la freddezza di vari esponenti leghisti riguardo le celebrazione per il centocinquantennale dell'unità d'Italia. Ebbene, pur non disapprovando l'idea che l'anniversario vada commemorato, meglio se con una certa sobrietà, anche io devo confessare che non vibro dall'emozione per tali festeggiamenti, per quanto con motivazioni non riconducibili ai localismi esasperati di Calderoli e company. Fatemi spiegare.

Capita spesso che in trasmissione Giuseppe Cruciani riprenda quegli ascoltatori che esprimono parole di eccessivo dispregio verso l'Italia. Il classico "mi vergogno di essere italiano" è visto dal conduttore, autodefinitosi nei giorni scorsi “patriota”, come fumo negli occhi. E la cosa mi sembra ragionevole, tanto che su questo non ho granché da ridire.

Però a me dà altrettanto fastidio la frase retorica speculare, l'altrettanto abusato "sono fiero/orgoglioso di essere italiano", come se essere italiani fosse in sé un valore, rispetto all'essere francesi, spagnoli, giapponesi, cileni, o che altro. Dal mio modesto punto di vista, si nasce per caso in un universo governato dal caso e l'essere incidentalmente venuto alla luce in Italia non rende una persona speciale, privilegiata (non nel senso economico, ma in quello interiore, morale) o, al contrario, disgraziata. L'italianità, almeno per me, è una peculiarità prettamente geografica, che non reca con sé un particolare profondo significato.

Forse posso chiarire il concetto con un esempio. Ci son persone che nel scegliere i propri acquisti privilegiano i prodotti italiani, a prescindere da altri aspetti (costo, qualità, ecc). Per me questo semplicemente non ha senso. L'essere italiani, nella mia percezione, non è un vincolo, non comporta obblighi (non mi riferisco agli obblighi di legge come pagare le tasse, ma a presunti obblighi morali), non implica l'essere marchiati in alcun modo, né nel bene, né nel male, e non sottintentende l'esistenza di un rapporto identitario simbiotico con il territorio.

E a proposito di legami identitari con la terra d'origine, spesso i giovani talenti che, in assenza di prospettive, vanno a cercare gloria fuori dall'Italia, o quelli che, come il professor Pier Luigi Celli, spronano i ragazzi ad emigrare vengono definiti quasi con sdegno "anti-italiani" e "disfattisti". Ecco, questo mi fa molto incazzare, perché non è accettabile che il legame con il territorio di origine debba trasformarsi in una catena. Se per realizzarsi una persona deve cambiare paese, lo cambia. E l'errore non sta nella voglia di migliorarsi dell'emigrante, ma nel cuore del paese d'origine, nella sua classe dirigente.

Insomma, va bene l'affetto per la propria terra, purché non ci sia morbosità. Per capirsi, a mio avviso i sentimenti nazionalistici in genere dovrebbero essere circoscritti alle manifestazioni sportive. Io, ad esempio, pur con quello che ho scritto qui sopra, sono tifosissimo della nostra nazionale di calcio e trepido per gli atleti azzurri impegnati alle Olimpiadi o in altre comepetizioni internazionali. Ciò può suonare contradditorio con il discorso che sto facendo, ma non lo è perché le competizioni sportive sono il dominio perfetto nel quale confinare i propri peggiori sentimenti sciovinisti. Se volete, possiamo chiamarla "valvola di sfogo".

Dunque no, amici, io non sono un patriota perché tutto il mio patriottismo inizia e finisce con il tifo sportivo. Non che io consideri "Italia" solo una scritta su una cartina geografica (non esageriamo), ma la retorica sul Belpaese e sull'essere italiano a me, personalmente, fa alzare al occhi al cielo.

Ciò detto, a scanso di equivioci, ci tengo a segnalare che per me la bandiera italiana è bellissima, e mai mi sognerei di usarla in bagno come vorrebbe Bossi. Ma l'apprezzamento non nasce da motivazioni identitarie. È' che a me piacciono tutte le bandiere, in quanto opere d'arte, così come, allo stesso modo, e per lo stesso motivo, mi piacciono tutti gli inni nazionali, inclusa, naturalmente, la marcetta poropò-poropò-poropoppoppoppoppò di Mameli.

Insomma, per riassumere, non è perché mi senta "padano" che non vado in fibrillazione per la patria e per il suo centocinquantesimo anniversario, e non è perché io non abbia rispetto e affetto per la nazione in cui sono nato e vivo. Il fatto è che, se vogiamo parlare di appartenenza, io prima che italiano, mi sento – passatemi la retorica, e non sbadigliate – abitante di questo pianeta. Non apolide, ma al contrario cosmopolita, universale, cittadino del mondo, e membro di un unico immenso villagio globale, senza confini né nazionalismi.

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Alanis Morisette "Citizen Of The Planet" (2008)




I am a citizen of the planet
From simple roots through high vision
I am guarded by the angels
My body guides the direction I go in...