giovedì 13 marzo 2008

La gabbia mentale di Fini

Alcuni giorni fa, Gianfranco Fini ha rilasciato la seguente dichiarazione sulla possibilità che Barack Obama diventi presidente degli Stati Uniti: «Non credo che gli Usa siano pronti a una presidenza di Obama, non fosse altro perché è un nero, un afro-americano».

Se ho compreso bene, quella di del leader di AN voleva essere solo una soggettiva constatazione per la quale non si sottintendeva alcun compiacimento.

Se le cose stanno effettivamente così, come voglio sperare, allora non posso che dichiararmi d'accordo con Cruciani, il quale in un breve cenno durante la Zanzara di ieri, ha osservato come le polemiche sul razzismo sollevate nei confronti di Fini sono “ridicole”. Il razzismo è ben altra cosa, e non va citato a sproposito.

Tuttavia, non sono riuscito a capire (e per mia curiosità mi piacerebbe capirlo) se Cruciani condivide pienamente la constatazione di Fini o se semplicemente ha voluto stigmatizzare le accuse di razzismo che ne sono scaturite. Perché una volta stabilito che il razzismo non c'entra nulla, da qui a dire che Fini ha ragione ce ne corre!

Anzi, se proprio vogliamo dirla tutta, a mio avviso la dichiarazione di Fini è un’emerita cazzata (scusate il francese), che riflette una visione miope, semplicistica e un po’ retrograda della politica. Ed è irrilevante che Fini abbia riportato (cito Cruciani) “un’opinione diffusa tra i commentatori politici americani”. Anche in America ci sono commentatori miopi e retrogradi, non è che un’opinione assume maggiore valenza solo perché viene espressa anche da commentatori americani.

Secondo me Fini (e quelli che la pensano come lui) sta clamorosamente sottovalutando gli americani e la loro capacità di stare al passo coi tempi (molto superiore a quella di noi italiani). Sono convinto infatti che il numero di elettori che rifiuterebbe di votare Obama solo perché nero sia marginale e che comunque non sia superiore al numero di elettori che rifiuterebbe di votare McCain solo perché vecchio o Hillary solo perché donna.

Ma poi, cosa dovrebbe mai significare l’espressione “essere pronti”? Quali requisiti, quali premesse, quali condizioni preliminari dovrebbero verificarsi per poter qualificare l’America come pronta ad avere un presidente di colore? Se non si chiarisce ora questo punto, fornendo dei parametri precisi, non si uscirà mai da questa autentica gabbia mentale.

E in futuro ci ritroveremo sempre l’aquila di turno che sminuirà un personaggio in fase di crescita nei consensi non contestando le sue proposte, ma mettendo sul piatto la “profondissima” argomentazione che “il Paese non è pronto per lui”. Troppo comodo. Troppo facile. Ma soprattutto poco serio e per nulla dignitoso.

1 commento:

Anonimo ha detto...

tanto fra poco avranno il primo nero, la prima donna o il primo ultrasettantenne. l'elettorato sara' pronto alla novita'...per forza