mercoledì 14 maggio 2008

Colpirne uno per educarne cento

Supponiamo che vi dicessi: siccome Renato Brunetta ha detto “colpirne uno per educarne cento”, egli è un terrorista. Punto.

Se dicessi quanto sopra seriamente (ovviamente non sono serio, in realtà), cosa pensereste di me? Non oso immaginare.

Ebbene, molti dei commenti preliminari (inclusi quelli di Cruciani alla Zanzara di lunedì 12 maggio) alle parole di Marco Travaglio su Renato Schifani a Che tempo che fa erano esattamente dello stesso tenore di quello mio, volutamente paradossale, su Brunetta: siccome Travaglio accosta Schifani alla mafia, egli è un mistificatore. Punto.

E’ questo il nocciolo della questione, o almeno è questo il mio nocciolo della questione che io sto ponendo. Che non è se Schifani sia o no un mafioso (non lo è), ma è invece: è giusto o no che, grazie a Travaglio, si parli, si discuta, si approfondisca, si chieda chiarimenti su ombre che aleggiano su una persona che non è un cittadino qualunque, ma la seconda carica dello Stato?

Quello messo in piedi da Travaglio è un processo alle intenzioni, come lo ha definito Cruciani? Può darsi, ma io insisto sul fatto che sopra un’alta carica dello Stato (non direi lo stesso per un comune cittadino) non ci devono essere nubi, e pertanto si devono serenamente accettare anche i processi alle intenzioni. Se c’è qualcosa da chiarire, semplicemente lo si chiarisca. Non si insabbi.

A togliere le castagne dal fuoco ai “detrattori di Travaglio a prescindere” ci ha pensato il giornalista di Repubblica (“e dico Repubblica”, Cruciani dixit), Giuseppe D’Avanzo, che, in un suo interessantissimo articolo ha avuto la grazia di entrare nel merito della vicenda, dando una diversa interpretazione dei fatti che lo ha portato a diverse conclusioni, con conseguenti argomentate critiche a Travaglio.

Premesso che non condivido il giudizio che D’Avanzo dà sulla qualità e sugli effetti del giornalismo di Travaglio (definito “agenzia del risentimento”), sapete cosa vi dico? Viva Giuseppe D’Avanzo! Così come vorrei ci fossero mille Travaglio, vorrei ci fossero anche mille D’Avanzo, che nel controbattere una tesi non si limitano al tono liquidatorio, ma analizzano, dettagliano, vanno a fondo delle cose e rispondono punto per punto.

Mi fa davvero sorridere che Cruciani, sia privatamente con me che poi in radio, alla Zanzara di ieri, abbia citato l’articolo di D’Avanzo (dimenticandosi però, in radio, della critichina finale che D’Avanzo comunque rivolge anche a Schifani. Nota: con questo non voglio sottintendere alcuna malafede da parte di Cruciani) usandolo come una clava per dire “ecco, beccati questo, leggi queste sante parole e impara”.

Sono io che uso D’Avanzo come clava (metaforicamente) sulla testa di Cruciani, perché io mi aspettavo che fosse lui stesso, Cruciani, a elaborare una controanalisi approfondita quanto quella di D’Avanzo, anziché galleggiare sull’approccio liquidatorio, gongolando per i “pezzo di merda” che Travaglio si è preso da Sgarbi.

Marco Travaglio, nella sua risposta a D’Avanzo (il quale, per la cronaca, ha contro-risposto), ironizza sulla “lezione di giornalismo” che D’Avanzo gli ha regalato. Secondo me, indirettamente e senza volere, la vera lezione di giornalismo D’Avanzo l’ha in realtà impartita ai tanti commentatori che trattano Marco Travaglio con sufficienza, supponenza e arroganza, rifiutandosi di entrare nel merito delle questioni poste sul tavolo e dando per scontati intenti biecamente diffamatori.

In un post passato avevo accennato al fatto che Marco Travaglio, in termini di efficacia e di capacità comunicativa, ha molto da insegnare. Ma, come detto sopra, c'è molto da imparare anche da Giuseppe D'Avanzo. E dei tanti opinionisti che farebbero bene a prendere qualche ripetizione da quest'ultimo, ne voglio menzionare solo uno: Giuseppe Cruciani. Colpirne uno per educarne cento.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Scusa se approfitto dello spazio ma penso sia importante bloccare i diffamatori tipo l'amica di Cruciani, Filippa Facci.

IL CASO Il giornalista di Repubblica ricostruisce un episodio per dimostrare che l’altro può essere vittima del suo stesso metodo. «Le cose non stanno così»
Le accuse di D’Avanzo a Travaglio. La replica: «Lo querelo»

IL CASO Il giornalista di Repubblica ricostruisce un episodio per dimostrare che l’altro può essere vittima del suo stesso metodo. «Le cose non stanno così»
Le accuse di D’Avanzo a Travaglio. La replica: «Lo querelo»

di MARZIO TRISTANO

«Non so dove abbiano preso quella telefonata, ma la mia vita è un libro aperto:
Ciuro era il segretario del pubblico ministero Ingroia,
Aiello non l’avevo mai sentito neanche nominare.
Nel residence vicino Trabia quell’estate ho pagato il doppio
del prezzo che era stato concordato. Con la mia carta
di credito. E io sarei uguale a Schifani? Adesso querelo D’Avanzo».
Al telefono Marco Travaglio appare tranquillo, il tono della
voce è quello di sempre anche se esordisce dicendo:
«Ho passato giorni migliori».
E confessa di essere rimasto «assai sorpreso» dal violento attacco lanciato
da un collega ai vertici del suo stesso gruppo editoriale.
«Non sono il presidente del Senato - prosegue - e mi sarei
potuto fare una risata. Ma qui si tenta di minare la mia
credibilità e adesso voglio andare fino in fondo».
La «guerra» tra i due big del giornalismo giudiziario italiano,
divisi tra due idee diverse della deontologia professionale,
approda in un’aula di Tribunale. Sarà un giudice a stabilire
se le parole del vice-direttore di Repubblica pubblicate nell’edizione
di ieri, sono diffamatorie nei confronti di Travaglio. Per
contestarne il metodo di raccontare i fatti, definito frutto
di un’agenzia del risentimento, D’Avanzo ha sostenuto che
lo stesso Travaglio può rimanere vittima del suo «metodo».
E ha citato come esempio una telefonata intercettata tra lo
stesso Travaglio e Pippo Ciuro, maresciallo della Dia poi condannato
per favoreggiamento a Michele Aiello, poi condannato
permafia a 14 anni. Una telefonata dell’estate del 2002,
durante una vacanza in Sicilia dello stesso Travaglio, compiuta,
secondo D’Avanzo, a spese di Aiello, tramite la mediazione
di Ciuro. Fonte del vice direttore di Repubblica: l’avvocato
di Aiello. «Non homai avuto nulla da nascondere - dice
oggi Travaglio - e le mie estati in Sicilia in cui ho visto Ciuro
sono state due. Il primo anno lui mi ha segnalato unalbergo,
ed alla fine della vacanza mi presentarono un conto che era
il doppio di quanto avevamo concordato. Pagai con la mia
carta di credito e mi lamentai con lui, che mi rispose che ci
avrebbe pensato. Ma non successe nulla. L’anno successivo
affittai un bungalow orribile, il proprietario me lo consegnò
praticamente vuoto, senza gli oggetti necessari per la vita
quotidiana. Lui era tra i vicini di casa, e ci fu chi mi ha portato
un cuscino, chi una moka per il caffè, chi i piatti. Anche
in quell’occasione ho pagato interamente il prezzo dell’affitto.
Aiello non l’ho mai sentito nominare finché non l’hanno arrestato».
Minaccia querele anche il maresciallo
Ciuro, che conferma il racconto di Travaglio. «Ricordo che
segnalai il nome di quel residence a Marco Travaglio
- dice Ciuro - ma Marco pagò interamente il suo conto, che si
era rivelato più alto della cifra concordata. L’anno successivo
venne nel complesso residenziale dove abitavo io, ma anche in quel
caso pagò la cifra alla signora che gli aveva affittato
la casa. In questa storia Michele Aiello non c’entra nulla».
Ciuro annuncia invece una querela nei confronti di
D’Avanzo per essere stato definito
un favoreggiatore di Bernardo Provenzano:
«non so dove abbia preso questa accusa
farneticante - conclude - so solo
che non esiste traccia agli atti del mio processo. Né nel capo
d’imputazione, né in alcun foglio processuale. E difatti le
due sentenze, di primo e secondo grado, affermano che con
la mafia non c’entro nulla.

Anonimo ha detto...

Altri commenti oggi da Zucconi:

Sono 14 anni che sappiamo tutto e di più a proposito di Berlusconi & Co. Non le viene il dubbio che la "via giudiziaria" al potere, il dipietrismo, il "partito degli onesti", la "questione morale", i cavalli di battaglia dell'anti berlscunoismo in questi anni non siano la strada politicamente giusta per la sinistra?

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Una delle tragedie storiche della nostra nazione e della nostra arretratezza civica è quella che io chiamo nelle mie lezioni rischiando la denuncia dalle studentesse americane per l'allusione sessuale, la "revolutio interrupta". E' la tendenza a brevi, effimeri furiosi orgasmi movimentisti di invettive scambiate per grandi idee. E' il rovescio del "latin lover", il "latin hater", che vediamo oggi trionfare. Sfuriate, vaffa qui vaffa là, indignazioni onanistiche, file per firmare pezzi di carta qualsiasi e avere così il momentaneo brivido di avere fatto qualcosa, accuse sanguinose, digrignar di denti, volumi di denunce, grida di basta non se ne può più e chi governerà per cinque anni? Sempre i soliti, ma noi mastichiamo la cotica Schifani e ci sentiamo ganzi, mica come quei farabutti là che ci trombano alle elezioni.

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Penso che Schifani sia degno della carica che gli è stata conferita soltanto in forza del potere assoluto del suo Caligola? Assolutamente no. Penso che sia civile andare in tv e creare l'impressione, senza fornire elementi inediti o importanti di sospetto, che lui sia complice o addirittura parte della Mafia? No. Il risultato netto della colossale antipatia che personaggi come i denunciatori di professione producono è che mentre noi del "partito degli onesti ci crogioliamo nella nostra indignazione morale loro vincono le elezioni, muovendosi sul piano politico. Se non capiamo questo, non so lei, ma io che non sono un giovanotto, morirò schifanamente schifato.

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La conclusione dell'ovvio sillogismo "Se Schifani ha frequentato mafiosi, Schifani è mafioso" è stata invece, vigliaccamente, lasciata al pubblico che l'ha puntualmente tratta

Anonimo ha detto...

Piuttosto che copiaincolla di articoli di stampa (bastano i link, o i frammenti piu' rilevanti accompagnati da considerazioni personali) preferirei che i miei lettori scrivessero i commenti di loro pugno.

Se vi sembro una maestrina che dice allo scolaro "dillo con parole tue", ebbene, avete indovinato.

Rispondo a maurizio: La domanda NON e': Schifani e' mafioso e deve andare in galera si o no? (NO) La domanda e': era schifani il miglior candidato possibile per la presidenza del senato? NO!

Altro esempio.
Mancini, allenatore dell'inter, intercettato con personaggi loschi, deve andare in galera? Naturalmente NO, ma e' la domanda sbagliata (lo dico pure a Cruciani che ha citato la questione oggi, giovedi 5 maggio). La domanda giusta e': ammesso che gli eventi di cui si parla siano verificati, sebbene non ci sia nulla di penalmente rilavante, e' Mancini la persona "moralmente ideale" alla guida dell'Inter?

Non si chiedono ghigliottine, si fanno osservazioni. Ognuno di tali osservazioni ne faccia l'uso che vuole. Gli italiani non si fanno manipolare da Travaglio piu' di quanto non si facciano manipolare da Emilio Fede. Perche' di travaglio si ha cosi paura? Perche'?