Zanzara anomala, quella di ieri, con un solo ospite (il filosofo Gianni Vattimo, una volta acerrimo nemico di Cruciani, ma ultimamente trattato con inconsueta cordialità), e con una ritritatura degli argomenti della settimana precedente senza che venisse aggiunto nulla di sostanziale.
Non avendo nulla da commentare sull'ultima trasmissione, desidero tornare un'ulteriore volta sul tema del testamento biologico, facendo riferimento all'intervento del senatore Marcello Pera alla Zanzara di venerdì scorso (ma si veda anche l'interessante intervista rilasciata da Pera all'Unità).
Pera, come Cruciani, pensa che non serva nessuna legge in quantonella stragrande maggioranza delle situazioni i casi possono essere fatti rientrare in due soli scenari, sui quali ci sarebbe nel paese e nel parlamento grande convergenza di vedute.
I due scenari che pur essendo molto diversi tra loro, sono distanziati tra loro solo da una ridottissima terra di nessuno, sono i seguenti:
1) L'eutanasia nei confronti di persone magari molto malate ma vive e coscienti. Non deve essere consentita mai (io avrei da ridire qualcosa, ma non voglio ora aprire un dibattito sull'eutanasia).
2) L'accanimento terapeutico nei confronti di persone cerebralmente morte. Non deve avere luogo mai.
Per questi due scenari, dice Pera, non serve una nuova legge. Essi trovano già applicazione nelle leggi vigenti. O al limite l'ipotetica nuova legge dovrebbe limitarsi a formalizzare il doppio divieto: all'eutanasia e all'accanimento terapeutico.
Ci sono però rari casi, come quelli di Eluana Englaro, che si vanno ad innestare proprio nella terra di nessuno, quella zona grigia che si pone tra l'eutanasia e l'accanimento terapeutico, nella quale vengono a trovarsi persone in stato vegetativo permanente, non coscienti ma con qualche segno vitale, magari spontaneo. Questo casi, dice sempre Pera, con il plauso di Cruciani, vanno gestiti in forma privata dalla comunità di persone che ruota intorno al paziente: i famigliari, gli amici, i medici, al limite anche il sacerdote.
Questo discorso filerebbe liscio se ci fosse l'assoluta certezza che qualunque decisione venisse presa dalla suddetta comunità non comporti in nessun caso delle conseguenze, dei conflitti, delle denunce, dei processi. E' questo il punto. Mi è incomprensibile la sicurezza con cui Cruciani si dice convinto che, senza alcuna modifica legislativa, già oggi, ma anche in futuro, chi prende un certo tipo di decisione non passerà dei guai.
E' per questo motivo che a mio avviso una legge servirebbe eccome (non certo l'obbrobrio approvato in Senato). Come sostiene il giurista Stefano Rodotà (colui a cui Francesco Cossiga ha augurato di fare la fine di Eluana Englaro) in una bella intervista all'Espresso del 6 marzo, «in assenza di una legge, il rischio concreto che si continuino a manifestare conflitti è del tutto evidente. Quindi, per avere garantita la zona di libertà che indica la Costituzione, serve una legge che dice: "Quella è una zona di libertà"»
Lo riscrivo perché sono belle parole: serve una legge che dica “quella è una zona di libertà”. Qualunque cosa succeda nella zona grigia, lo Stato non interferirà. Né prima, né durante, né dopo.