martedì 14 ottobre 2008

Buongiorno, notte

L'argomento maggiormente dibattuto, alla Zanzara di ieri, è stato quello relativo a Marina Petrella, che tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80 militò attivamente nelle Brigate Rosse, rendendosi corresponsabile di omicidi, ferimenti, apine e sequestri.

Un riassunto flash della vicenda: dopo la condanna in via definitiva all'ergastolo, nel 1992, la Petrella si rifugia in Francia, nazione che garantiva protezione ai cosiddetti rifugiati politici stranieri. Questa protezione è recentemente venuta a mancare, ma, a sorpresa, nei giorni scorsi il presidente francese Sarkozy, tenendo conto del precario stato di salute in cui versa la Petrella, che da mesi rifiuta il cibo, ha negato l'estradizione adducendo motivi umanitari.

Nei suoi commenti, Giuseppe Cruciani ha criticato con forza questa scelta, ricordando in primo luogo che in Italia c'è un sentenza di condanna definitiva sulla quale non si può semplicemente soprassedere, e in secondo luogo che l’Italia prevede, per chi è condannato penalmente, garanzie del tutto analoghe a quelle francesi. La mancata consegna della Petrella rappresenta, secondo Cruciani, “uno schiaffo alla giustizia italiana”. A supporto di questa tesi, Cruciani ha intervistato in diretta la signora Olga D'Antona, tanto lucida quanto pacata.

Da parte mia, su questo tema io mi schiero con Cruciani al 100%. In Italia, non c'è pena di morte, non ci sono torture, e le cure mediche, qualora necessarie, non vengono certo negate. Inoltre, se le condizioni di salute risultano incompatibili con il carcere, possono trovare applicazione regimi di detenzione alternativi, come gli arresti domiciliari.

Se proprio devo fare un appunto a Cruciani, dico che avrei trovato giornalisticamente opportuno anche un intervento qualificato di un opinionista che difendesse la decisione di Sarkozy. Sarebbe stato interessante sentire una diversa campana, e verificare se qualche particolare magari sfuggiva, giacché le convergenze di opinioni troppo bulgare sono sempre da prendere con le molle.

La lettura di stralci dell'intervista a Valeria Bruni Tedeschi sul Corriere, dai contenuti francamente imbarazzanti per pochezza di idee, mi è sembrato insufficiente. Io avrei invitato l'avvocato Giuliano Pisapia, che già trattò il tema in passato e che anche oggi sul Manifesto scrive un articolo dal titolo “Quando la pena è inutile. Una lezione francese” (purtroppo l’articolo non è incluso in alcuna rassegna stampa sul web).

Ad ogni modo, dubito che una diversa campana, per quanto qualificata, avrebbe potuto farmi cambiare idea. Da qualunque parte la si guardi, la decisione di Sarkozy non trova convincenti giustificazioni. Ci fosse almeno stato un esplicito ravvedimento, una richiesta di perdono, ci sarebbe stato lo spazio almeno per aprire una discussione. Invece, la scelta della Petrella è stata di autoinfliggersi dolore, di attuare una specie di sciopero della fame e della sete e di lasciarsi morire. Non per il rimorso, ma per la paura di affrontare la giustizia.

Paura, già. Da intendersi come espressione di viltà, di vigliaccheria, sentimenti che, a quanto pare, non solo hanno accompagnato l'intera esistenza di Marina Petrella, ma che tuttora sono duri a morire.

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Vi lascio con uno frammento tratto da "Buongiorno, notte", meraviglioso film di Marco Bellocchio, sul rapimento Moro. Come hanno potuto, questi giovani, credersi davvero i nuovi partigiani?



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