“Che fine hanno fatto le primarie? Non dovevano diventare, nell'ambito del Partito Democratico, il simbolo del rinnovamento della politica, del coinvolgimento dei cittadini nella scelta dei candidati? O invece, di fatto, servono solo ad incoronare qualcuno, nelle circostanze in cui l'esito è scontato?”
Più o meno con queste parole, che sottintendevano una nota di scherno non del tutto immotivata, Giuseppe Cruciani ha commentato i tormenti che il centrosinistra sta vivendo nella scelta dei candidati alla presidenza della Regione in Puglia, nel Lazio, e anche altrove.
Ora, possiamo anche dilettarci a prendere per i fondelli il PD, e – come ripeto – ci sono ampi motivi per farlo, ma magari con un piccolo sforzo in più si può anche arrivare a spiegare come ci si è arrivati a questa situazione di stallo decisionale, di primarie che si fanno forse-che-sì-e-forse-che-no.
Tutto nasce dalla svolta veltroniana. Walter Vetroni, da primo segretario del Partito Democratico, ha probabilmente commesso diversi errori, ma il suo sogno originale, quello del partito autosufficiente a vocazione maggioritaria era un sogno bellissimo, nel quale il concetto delle primarie si incastonava perfettamente in un quadro che vedeva il PD non più coinvolto in trattative con chicchessia (leggi altri partiti) per decidere alcunché (le canditure alle varie consultazioni elettorali che via via si affacciano, e la stesura dei programmi).
Nel momento in cui questo sogno è sfumato, vuoi perché era prematuro (lo scenario non era, e tutt'oggi non è, pronto per un sistema bipartitico), o male applicato (l'alleanza con l'IdV contraddiceva lipotizzata autosufficienza), o proprio scorretto alla radice (questione di opinioni, ma secondo me l'idea in sé è tutt'altro che scorretta), e il PD è tornato a prendere a praticare la strategia delle alleanze elettorali, inevitabilmente la meravigliosa ma fragile architettura politica basata sulla primarie e sulla democrazia diretta è caduta come un castello di carte.
Non ci possono essere primarie laddove il PD, per scegliere i candidati, è costretto ad intavolare complesse mediazioni con i potenziali alleati politici (UDC, IdV e sinistra radicale su tutti) che non si sentirebbero vincolati dall'esito delle primarie del PD. Primarie e alleanze sono due approcci in antitesi l'uno con l'altro, come chiunque in buona fede può realizzare.
Pertanto, avendo il PD oggi rinnegato la svolta veltroniana ritornando alla strategia delle alleanze, i vertici del partito farebbero bene a spiegare chiaramente che la conseguenza di tale scelta è l'accantonamento del sistema delle primarie. Capisco che sia imbarazzante, ma di sicuro che gli elettori prediligono di gran lunga la chiarezza all'ambiguità.
Ciò detto, anche nel momento in cui si opta per la strategia delle alleanze, non è detto che obbligatoriamente il PD debba farsi mettere i piedi in testa dai veti incrociati dei potenziali alleati.
Ad esempio, per il Lazio, pur nella consapevolezza che dopo il caso Marrazzo le possibilità che il centrosinistra possa mantenere la regione sono scarse, l'eventuale canditatura di una personalità stimata e apprezzata come Emma Bonino sarebbe comunque forte, coraggiosa, "di spessore", dal notevole valore aggiunto, e significativa quantomeno di una volontà di vendere cara la pelle.
E se la Bonino non piace all'UDC, pazienza. Tanto, la capacità dell'esponente radicale di attrarre un consenso trasversale è comunque indubbia, e con certe sue posizioni molto liberali e in un certo senso "destrorse" potrebbe fare perfettamente da contraltare alla sindacalista Renata Polverini, candidata per il PDL, la quale, al contrario, su alcuni temi ha posizioni "sinistroidi".
Sì, ricalcando uno slogan che nel 1999 venne usato per promuovere la canditatura di Emma Bonino alla presidenza della Repubblica, credo che Emma sia davvero l'uomo giusto su cui puntare per le elezioni regionali nel Lazio. Speriamo che il PD si decida presto, se non altro perché, in termini di contenuti, una campagna elettorale Polverini vs Bonino, come ha osservato questa mattina Alessandro Milan nella sua trasmissione su Radio 24, diventerebbe inaspettatamente interessante.
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In chiusura una piccola nota: durante la conversazione di ieri in trasmissione tra Cruciani e Oliviero Toscani sul tema della canditura di quest'ultimo, da indipendente, alla regione Toscana, il fotografo ha ripetutamente detto che attualmente in Toscana c'è un “regime”, senza che Cruciani obiettasse alcunché. Che l'espressione fosse interpretabile come paradosso, come metafora, mi sta bene. Però mi dà un po' fastidio l'idea che certe parole diventino pietre se dette da qualcuno "nemico" del conduttore, e invece piume se pronunciate da un "amico". Spero non accada più.
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Mi è venuto da canticchiare una simpatica canzoncina, "What took you so long?", di un'altra Emma, l'ex spice girl Emma Bunton (2001).
What took you so long?
What took you all night?
What took you forever to see I'm right?
You know I'll treat you so good
I'll make you feel fine
You know I'll never give it up this time...