Mi concentro. Penso ai nomi di coloro che ieri alla Zanzara sono stati maggiormente al centro dell'attenzione: Daniela Santanché e Carlo Giovanardi. Ne scrivo i nomi uno in fila all'altro, li leggo, li guardo, li scruto, e poi li rileggo, e li rileggo un'altra volta. E rifletto.
Rifletto sulla levatura di questi personaggi, sulla loro autorevolezza, la statura intellettuale. Penso alla dignità, alla ragione, al raziocinio. E afferro.
Afferro che uno può anche mettercela tutta per guardare al mondo senza pregiudizi, a cercare di comprendere le ragioni di ciascuno, perché anche dalle menti più distanti a volte si può assimilare qualcosa di buono. Ma quando si oltrepassa una certa soglia, quando da certe bocche fiatano senza aver collegato il cervello, non c'è apertura mentale che tenga, e si perde ogni ricettività. E trasecolo.
Trasecolo di fronte a strategie comunicative come quella di Daniela Santanché, che per conquistare qualche quarto d'ora di visibilità mediatica non esita a manganellare il profeta di una religione, l'Islam, professata nel mondo da un miliardo di fedeli. Non che io abbia una grande considerazione dell'Islam, sia chiaro, ma mai mi sognerei di essere, nei suoi confronti, irriguardoso in un modo così sprezzante. Di fronte a questa insensibilità, a questa mancanza di rispetto per un intero universo, provo infinita pena e disagio. E incupisco.
Incupisco perché la superficialità, il cinismo e la sfrontatezza senza limiti mi svuotano, mi privano persino della voglia di obiettare in modo articolato. Che è ciò che succede anche nei confronti della semplificazione con cui il senatore Carlo Giovanardi ha ritenuto di liquidare la morte di Stefano Cucchi come mera conseguenza del suo status di tossicodipendente. Nessuno sa di preciso cosa sia successo nei giorni in cui Cucchi è rimasto in custodia dopo il suo arresto, ma per Giovanardi non è poi così importante scoprirlo. Per lui non esistono dei cattivi in carne ed ossa in questa storia, e la morte del giovane va imputata solo all'uso di stupefacenti. Perché affannanarsi a cercare responsabilità, quando un colpevole, la droga, c'è già? Aaaaah, che invidia! Come dev'essere più semplice il mondo in bianco e nero di chi trova sempre rifugio nelle proprie convinzioni, di chi non si pone dubbi, di chi sa di avere sempre ragione. Vivere di poche inscalfibili idee deve essere, tutto sommato, una gran comodità.
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Il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia è stato ieri brutalmente radiolondrato non solo da Giuseppe Cruciani alla Zanzara, ma anche da Filippo Facci a Mattino 5 e da Augusto Minzolini al TG1. Un fuoco di fila senza precedenti, originato da un pubblico intervento del magistrato, secondo me stupendo, che ha avuto luogo del 7 novembre scorso durante un convegno a Napoli. Riporto in video l'intervento di Ingroia per chi se lo fosse perso.
Farei violenza a me stesso se, prima di chiudere questo post, non esprimessi, dal profondo del mio animo, la mia stima, il mio apprezzamento, la mia ammirazione per Antonio Ingroia, per il suo coraggio, per la sua determinazione, e per il suo ardimento. Grazie di esistere.