martedì 10 novembre 2009

Collegare il cervello prima di parlare

Mi concentro. Penso ai nomi di coloro che ieri alla Zanzara sono stati maggiormente al centro dell'attenzione: Daniela Santanché e Carlo Giovanardi. Ne scrivo i nomi uno in fila all'altro, li leggo, li guardo, li scruto, e poi li rileggo, e li rileggo un'altra volta. E rifletto.

Rifletto sulla levatura di questi personaggi, sulla loro autorevolezza, la statura intellettuale. Penso alla dignità, alla ragione, al raziocinio. E afferro.

Afferro che uno può anche mettercela tutta per guardare al mondo senza pregiudizi, a cercare di comprendere le ragioni di ciascuno, perché anche dalle menti più distanti a volte si può assimilare qualcosa di buono. Ma quando si oltrepassa una certa soglia, quando da certe bocche fiatano senza aver collegato il cervello, non c'è apertura mentale che tenga, e si perde ogni ricettività. E trasecolo.

Trasecolo di fronte a strategie comunicative come quella di Daniela Santanché, che per conquistare qualche quarto d'ora di visibilità mediatica non esita a manganellare il profeta di una religione, l'Islam, professata nel mondo da un miliardo di fedeli. Non che io abbia una grande considerazione dell'Islam, sia chiaro, ma mai mi sognerei di essere, nei suoi confronti, irriguardoso in un modo così sprezzante. Di fronte a questa insensibilità, a questa mancanza di rispetto per un intero universo, provo infinita pena e disagio. E incupisco.

Incupisco perché la superficialità, il cinismo e la sfrontatezza senza limiti mi svuotano, mi privano persino della voglia di obiettare in modo articolato. Che è ciò che succede anche nei confronti della semplificazione con cui il senatore Carlo Giovanardi ha ritenuto di liquidare la morte di Stefano Cucchi come mera conseguenza del suo status di tossicodipendente. Nessuno sa di preciso cosa sia successo nei giorni in cui Cucchi è rimasto in custodia dopo il suo arresto, ma per Giovanardi non è poi così importante scoprirlo. Per lui non esistono dei cattivi in carne ed ossa in questa storia, e la morte del giovane va imputata solo all'uso di stupefacenti. Perché affannanarsi a cercare responsabilità, quando un colpevole, la droga, c'è già? Aaaaah, che invidia! Come dev'essere più semplice il mondo in bianco e nero di chi trova sempre rifugio nelle proprie convinzioni, di chi non si pone dubbi, di chi sa di avere sempre ragione. Vivere di poche inscalfibili idee deve essere, tutto sommato, una gran comodità.

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Il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia è stato ieri brutalmente radiolondrato non solo da Giuseppe Cruciani alla Zanzara, ma anche da Filippo Facci a Mattino 5 e da Augusto Minzolini al TG1. Un fuoco di fila senza precedenti, originato da un pubblico intervento del magistrato, secondo me stupendo, che ha avuto luogo del 7 novembre scorso durante un convegno a Napoli. Riporto in video l'intervento di Ingroia per chi se lo fosse perso.






Farei violenza a me stesso se, prima di chiudere questo post, non esprimessi, dal profondo del mio animo, la mia stima, il mio apprezzamento, la mia ammirazione per Antonio Ingroia, per il suo coraggio, per la sua determinazione, e per il suo ardimento. Grazie di esistere.

lunedì 9 novembre 2009

Un altro mattone nel muro

Se togliamo gli argomenti ormai ritriti dei test antidroga per i politici e della sentenza della Corte europea sul crocifisso, della Zanzara di venerdì 6 novembre non rimane praticamente nulla su cui, nella mia percezione, valga la pena soffermarsi.

Pertanto, in questa giornata, nella quale ricorre il ventesimo anniversario della caduta del muro di Berlino, vi lascio a bocca semi asciutta, in attesa che stasera entrino in gioco nuovi temi. Penso ad esempio alle dotte considerazioni di Daniela Santanché sulle preferenze sessuali del profeta dell'Islam, ma soprattutto credo meritino un opportuno approfondimento le dichiarazioni rilasciate di Gianfranco Fini nel salotto di Fabio Fazio (video integrali disponibili su YouTube: 1a parte, 2a parte, 3a parte), che qualche quotidiano ha interpretato come un'apertura del presidente della Camera verso un'ipotesi di blitz legislativo volto a porre una pietra tombale sui problemi di Berlusconi con la giustizia, ma che invece io, modestamente, ho letto in tutt'altra maniera.

Cos'è, infatti quel finiano “io non firmo nulla” (riferimento all'ipotesi, avanzata dal Giornale di Feltri, che Fini venga messo nella situazione di dover sottoscrivere l'ennesima legge ad personam salva-Berlusconi per non venire accompagnato alla porta), pesante come un macigno, se non, un'ulteriore presa di distanze sempre più grande nei confronti del presidente del consiglio?

Cos'è se non l'ennesima rivendicazione, da parte di presidente della camera, della propria indipendenza intellettuale? Cos'è se non il rifiuto a chinare la testa e ad essere ridotto a niente più di un semplice mattone nel muro?

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Pink Floyd, "Another brick in the wall" (1979)




We don't need no education
We don't need no thought control


venerdì 6 novembre 2009

Chissenefrega un corno!

Per il terzo giorno consecutivo il tema dei test anti-droga per i parlamentari ha preso una buona parte della scena alla Zanzara di ieri. Siccome non ho ancora avuto modo di dire la mia su tale questione, rimedio ora, pur nella consapevolezza che presto tutto finirà nel dimenticatoio e che questo gran parlare sarà risultato, come al solito, totalmente sterile.

Per le ragioni che ha efficacemente spiegato il nostro Paolo nel suo post di mercoledì, sapere se un parlamentare è dedito all'uso di stupefacenti o no importante lo è eccome, e quell'ormai leggendario “chissenefrega se un parlamentare si droga” pronunciato dal conduttore della Zanzara martedì scorso io proprio non glielo faccio passare. Se in qualsivoglia modo vengo a scoprire che un politico fa uso di droga, quel politico perde definitivamente la mia fiducia (posto che l'avesse). Quindi in me l'interesse è alto e forte. Non tanto per il possibile venir meno della lucidità mentale in situazioni delicate (evenienza comunque possibile, alla faccia delle risatine di Cruciani) ma per una questione di integrità, di decoro, di rispetto per il proprio ruolo di rappresentanza che richiede un'assoluta aderenza alla legalità.

La tesi crucianiana che la messa in piedi di un sistema di verifica periodica sarebbe inattuabile è chiaramente priva di fondamento, visto che tali sistemi esistono tranquillamente in molte realtà aziendali come quelle dei trasporti. E neppure ha senso il salto logico che il conduttore della Zanzara compie quando sostiene che se si considera fondamentale monitorare la lucidità mentale allora bisognerebbe operare un continuo controllo anche sul tasso alcolemico, e magari bisognerebbe anche assicurarsi che i parlamentari non rimangano svegli tutte le notti a guardare film porno. Innanzi tutto, perché queste considerazioni non dovebbero allora applicarsi anche ai carrellisti e ai piloti di aereo, cioè coloro che i test antidroga obbligatori li devono subire senza che nessun Cruciani qualsiasi abbia da ridire? Seguendo il Cruciani-pensiero, bisognerebbe eliminare i test antidroga anche per carrellisti e piloti! Tanto possono sempre sballarsi rimanendo svegli tutta la notte a giocare coi videogames! Ma che ragionamento è? Dai…

E' ovvio che non possiamo controllare ogni aspetto privato di una persona, e anzi, sarebbe addirittura aberrante immaginarlo, in un paese libero come il nostro. Ma questo non significa che controllarne una minima parte, quella che presenta un più elevato grado di gravità, per i motivi spiegati sopra, non sia più che sensato. Perché ogni volta bisogna fare questi salti logici assurdi? Ne ho sentiti di incredibili anche sul tema del crocifisso (non da Cruciani, che comunque non stroncava): se li togliamo dalle scuole quale sarà il prossimo passo, toglierli dalle facciate esterne di chiese e campanili, proibire il crocifisso al collo? Ma quando mai, ma di che stiamo parlaaaaando!

Un'ultima precisazione. L'unica obiezione che io trovo concettualmente ragionevole sui test anti-droga obbligatori è che essi rappresentino una sorta di piccola violenza, di intromissione dello stato nelle libertà personali del cittadino. E' così, lo è. Ma lo è per il parlamentare come lo è per il carrellista, ogni distinzione sarebbe capziosa. Se accettiamo l'intromissione per il carrelista, non c'è motivo di non accettarla per il politico. E in certe circostanze, in nome di un bene comune più alto, lo stato può sentirsi autorizzato a chiedere un sacrificio, consistente nella rinuncia ad un piccolo pezzo di libertà, se ci sono sufficienti motivazioni, com'è nel caso dei parlamentari, dei politici, e di chi ricopre un ruolo istituzionale.


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Tra gli ospiti della Zanzara di ieri c'è stata Fiorella Mannoia, presentata da Cruciani come “elettrice e donna di sinistra”, ennesimo super incasellamento del grande incasellatore che odia gli incasellamenti, ma solo quando riguardano lui medesimo. Che poi la Mannoia sia sinistroide non ci sono dubbi, ma se uno odia gli incasellamenti farebbe meglio a non sottolinearlo, almeno per coerenza, perché etichettare esplicitamente la Mannoia in quel modo equivale a circoscriverne il pensiero, inquadrarla, sottintendere un condizionamento legato ad una presunta militanza. Esattamente i motivi per cui Cruciani s'incazza se gli si dà del berlusconiano. Ma lasciamo perdere questo discorso, ora.

La Mannoia è stata chiamata in causa per via della sua lettera a Gianfranco Fini dove lo esorta ad emanciparsi dall'attuale coalizione di governo e fondare un nuovo partito conservatore, lettera che martedì scorso era stata ridicolizzata con toni piuttosto irriguardosi da Cruciani.

Durante il colloquio, a proposito del quale va detto che la Mannoia ha egregiamente tenuto testa al conduttore della Zanzara, non subendone la dialettica cordiale ma al contempo aggressiva, Cruciani ha fatto una considerazione su cui vorrei soffermarmi. Quando la Mannoia ha ribadito il suo auspicio di vedere nascere una destra nuova, diversa, migliore, e si è detta convinta dell'imbarazzo di tante persone di destra che non si riconoscono in questa coalizione di governo (cosa verissima, basti pensare al think tank Fare Futuro, al quotidiano Secolo d'Italia), Cruciani ha ribattuto che “dai voti non si direbbe”.

A me cascano le braccia di fronte a commenti del genere. Se in questo momento la destra è Berlusconi, coloro che, avendo idee conservatori, partono dal presupposto che votare a sinistra, a prescindere, non sia un'opzione proponibile, non possono che votare per lui. Il fatto che Berlusconi prenda tanti voti non implica un elettorato universalmente entusiasta per lui e non esclude affatto l'ipotesi che l'eventuale fondazione di un nuovo partito conservatore possa rivelarsi un'esperienza di successo.

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Omaggio volentieri Fiorella Mannoia, con questa sua splendida "Fragile" (2001).




Quanto nitido rancore dovrò cancellare
Quale livido silenzio dovrò sopportare


giovedì 5 novembre 2009

Il gioco non vale la candela

Ogni volta che un qualche organismo giuridico nazionale o internazionale si esprime sulla presenza dei crocifissi nelle scuole (due giorni fa è stato il turno delle Corte Europea dei diritti dell'uomo, che ne ha sancito l'inopportunità), la polemica monta subito all'istante tra i "superlaici" e i "crociati" (uso per comodità questa semplificazione), con argomentazioni, spesso, di stampo puramente ideologico.

Avevo già trattato l'argomento tempo fa, ma ci torno su volentieri, giusto per uscire una volta dai temi della politica, nella consapevolezza che si tratta di un chiacchiericcio abbastanza sterile che a breve, come sosteneva giustamente Giuseppe Cruciani ieri in trasmissione, scemerà nel nulla.

Il tema va affrontato su due piani diversi. Quello del principio, e quello del buonsenso, e a seconda del piano su cui si gioco, le conclusioni a cui si arriva, almeno nella mia percezione, sono profondamente diverse.

Partiamo dal piano del principio. Secondo me, su tale piano, le ragioni dei superlaici prevalgono a mani basse su quelle dei crociati, cosa che rende formalmente sacrosanta la sentenza della Corte Europea. Esistono mille ragioni di principio per cui la presenza di un simbolo religioso nei luoghi pubblici di proprietà dello stato o di enti locali sia da giudicare del tutto inopportuna: la laicità dello stato, la formale discriminazione nei confronti degli atei e degli appartenenti a diverse, l'assenza di alcuna legge o norma costituzionale che esiga l'esposizione del crocifisso (come ben spiegato da Michele Ainis, ospite ieri alla Zanzara, che ha ribadito quanto espresso in un suo articolo apparso sulla Stampa di ieri).

Dall'altra parte della barricata, sul piano del principio ci si limita a sostenere che il crocifisso è un simbolo che ha una valenza culturale extra-religiosa, e che rientra nel solco della storia e della tradizione della nostra terra da duemila anni. Un'argomentazione, secondo me, abbastanza debole, perché non si coglie quale sia il nesso con la necessità di dover esporre il crocifisso nelle scuole.

A Cruciani, che argomenta contro la sentenza del corte europea dicendo che, nel concreto, al di là delle ragioni di principio, il crocifisso non può seriamente dare alcun reale fastidio, che non può traviare alcuna mente debole, e non c'è motivo per cui gli atei e gli appartenenti a diverse confessioni debbano sentirsi discriminati nel profondo, io rispondo che ciò tutto sommato è vero. Ma proviamo a ribaltare ancora una volta il cannocchiale, a partire dal punto di vista opposto. Se per ipotesi il crocifisso nelle scuole non ci fosse, se non ci fosse mai stato, si sentirebbe forse oggi un'intensa ed irrefrenabile esigenza ad introdurlo? Senza il crocifisso, gli studenti crescerebbero forse senza valori, diventerebbero tutti dei delinquenti disadattati? Ovviamente no.

Insomma, non appena usciamo dal piano del principio, ci accorgiamo che non esistono motivazioni concrete (cioè non riconducibili a considerazioni ideologiche o concettuali) che suffraghino né la tesi in base alla quale il crocifisso nelle scuole non ci debba assolutamente essere, né quella che, al contrario, ci debba necessariamente essere.

Stante questa situazione, una volta liberatici dalle briglie delle ragioni di principio, non possiamo che metterci a ragionare sul piano del buonsenso. Qual è la situazione oggi? E, pur di cambiare le cose, val la pena portare la questione su livelli giuridici o legislativi?

La situazione, oggi, è che nel 99,9% delle scuole in cui il crocifisso è presente nessuno si lamenta, e che nel 99,9% delle scuole in cui il crocifisso non è presente nessuno pure si lamenta. Il problema, quindi, non appena si esce dal piano ideologico, semplicemente non esiste. Qual è il senso di dar vita ad una battaglia giudiziaria su questo tema che non può che degenerare, in entrambe le fazioni, in un'aberrante deriva ideologica? A che pro? Si rischia solo di radicalizzare ancor di più lo scontro tra cattolici e laici, tanto che per contrastare coloro che vorrebbero togliere tutti i crocifissi con la forza (di una sentenza), c'è gente che ora vorrebbe rendere obbligatoria con la forza (di una legge) l'esposizione dei crocifissi in tutti i luoghi pubblici. Non arriviamo a questo punto. Per favore.

Mi lancio in una similitudine ardita per farmi capire. Supponiamo che io agogni intensamente l'idea che l'Istria torni ad essere territorio italiano (in realtà non me ne frega niente, ma fate finta). Supponiamo che io mi rivolga all'Onu e che un supertribunale mondiale mi dia ragione. Cosa dovrebbe succedere a quel punto? Bisognerebbe armare un esercito al fine di invadere il territorio croato e sloveno, anche a costo di provocare morti e feriti? Sarebbe una follia.

E' un paragone un po' avventato, lo ammetto, ma spero renda l'idea. A volte, anche se si ha la convinzione di avere totale ragione, in linea di principio, su un certo tema, non vale la pena passare ai fatti, perché gli effetti collaterali sarebbero disastrosi. Il gioco non vale la candela. Anche se si vincesse, sarebbe una vittoria di Pirro, con morti, feriti e macerie lasciate sul campo.

In molte scuole i crocifissi ci sono semplicemente perché ci sono sempre stati. Amen. Pazienza. Facciamocene una ragione, e lasciamo le cose come stanno. Non togliamo crocifissi dove ci sono, non mettiamoli dove non ci sono, e torniamo, per favore, a concentrarci su cose più importanti.

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Tori Amos, "Crucify" (1992)



Why do we crucify ourselves
Every day
I crucify myself


mercoledì 4 novembre 2009

Solo contro tutti

[Il post di oggi è a firma di Paolo]

Buongiorno,
la trasmissione di ieri è stata incentrata sull'opportunità o meno di effettuare dei controlli sulla positività ai test antidroga sui nostri parlamentari, argomento portato all'attenzione dal caso Marrazzo (e solo dal caso Marrazzo, sia chiaro, chi volesse citare Tarantini, peste lo colga!).

E' ovvio (e già dimostrato da analoghe iniziative precedenti –vedi le conseguenze delle segnalazioni delle iene di qualche tempo fa-) che determinate boutade del ministro Ignazio La Russa, che ha preannunciato recentemente l'intenzione di sottoporsi spontaneamente al test del capello, sono per l'appunto delle boutade, dichiarazioni propagandistiche prive di contenuti sostanziali, come è ovvio che iniziative di tipo volontario siano assolutamente prive di senso perché completamente inefficaci.

L'impressione, che mi pare confermata anche degli interventi in diretta di ieri, è che la maggior parte degli italiani non disdegnerebbe che i propri rappresentanti eletti fossero sottoposti a tali controlli. Io sono di questa opinione, per tre motivi:

a) Ritengo che il ruolo del parlamentare sia uno di quelli che richiedono lucidità mentale e capacità di intendere e volere: non comporta forse un immediato pericolo di vita per chi opera nelle immediate vicinanze (come avviene per un carrellista, un conduttore d'autobus, aereo o camion), ma implica responsabilità anche maggiori, anche se indirette. Per fare un esempio, non riterrei opportuno che un maestro tenga lezione ai miei figli sotto stupefacenti, anche se questi non sarebbero per questo a rischio immediato e diretto della vita.

b) I nostri parlamentari hanno legiferato sostenendo che il commercio di droghe è illegale. Senza voler entrare nel merito se questo sia giusto o meno, constato che sono stati loro a deciderlo e che hanno gli strumenti per modificare questa scelta, se la ritengono inopportuna, modificando la legge. Ne traggano le conseguenze facendo in modo che i comportamenti che ritengono opportuno tenere possano restare nella legalità (quindi o si depenalizza o si evita di acquistare droghe) e se ne assumano le responsabilità davanti agli elettori. Mi pare il minimo della coerenza ed una regola minima per garantire il regolare funzionamento della democrazia, perché un sistema politico in cui è ovvio commettere illeciti è marcio.

c) Sino a quando il commercio di stupefacenti resterà illegale, il cliente finale commette un reato acquistando e come tale è ricattabile. Il che, per un parlamentare, è assolutamente inopportuno.

Cruciani ha invece deciso di distinguersi per originalità a tutti i costi, sostenendo il contrario in modo piuttosto isolato (ad un certo punto si è autodefinito “solo contro tutti”), ma fondamentalmente senza motivazioni. O meglio: a chi diceva che il ruolo del parlamentare comporta responsabilità importanti ed incompatibili con uno stato di dipendenza opponeva l'impossibilità dei controlli, mentre a chi dimostrava che i controlli non solo sono possibili, ma già ampiamente praticati nelle aziende (qualsiasi ditta di trasporto pubblico di una media città li effettua in quantità ben superiori a quelle che sarebbero necessarie per monitorare il nostro parlamento), Cruciani rispondeva che il ruolo del parlamentare non comporta responsabilità degne di nota per cui diventi fondamentale venire a conoscenza di un eventuale vizio (“non me ne frega niente se un parlamentare si droga!”).

Dopo il pensiero forte, dopo il pensiero debole, arriva Cruciani a teorizzare il pensiero insostenibile: quello per il quale le proprie idee vanno difese ad oltranza a prescindere dall'evidenza dell'illogicità del ragionamento e della mancanza di argomenti. Tutto sommato non è la prima volta: spero lo faccia per l'audience, anche se ieri, a questo scopo, avrebbe potuto montare un po' di polemica tra oltranzisti religiosi e atei militanti sulla questione del crocifisso. Ma forse se l'è tenuta buona per stasera…

Saluti

Paolo il tossico

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Sigla finale, facile facile, proposta dallo stesso Paolo: "Cocaine", un pezzo di J.J. Cale del 1975, ma più noto nell'interpretazione che ne diede Eric Clapton due anni dopo. Ed è proprio una bella versione live di "Slowhand" Clapton quella che vi propongo. Ciao da Authan, oggi very very busy.




When your day is done
And you wanna ride on
Cocaine

She don't lie,
She don't lie,
She don't lie,
Cocaine...


martedì 3 novembre 2009

Chi la fa l'aspetti

Oggi ho qualcosa da dire o da ridire su ben tre distinti temi legati alla puntata di ieri della Zanzara, una puntata condotta da un Giuseppe Cruciani particolarmente nervoso e stizzito a cui consiglio caldamente di assumere un po' di sano bromuro.


KU KLUX KLAN

Il sito di Repubblica, ieri, ha lanciato una sorta di allarme Ku Klux Klan, per via della presunta apertura, annunciata in un sito internet, di una sezione italiana del celebre movimento razzista americano caratterizzato dai classici cappucci bianchi a punta.

Devo dirlo? Posto che non sia una clamorosa burla, questa del KKK è comunque una buffonata ridicola, una pagliacciata senza alcun peso che, senza dubbio, coinvolge un numero di persone talmente ridotto da essere irrilevante, e che pertanto non inciderà minimamente sulla realtà quotidiana. Qualcuno prevede che da qui a breve sentiremo notizie di "negri" inchiodati ad una croce e dati alle fiamme? Ecco, appunto.

Fin qui, la mia opinione coincide perfettamente con quella espressa ieri da Cruciani. Però c'è un però. Anzi ce ne sono due.

- Se il KKK all'amatriciana non è una cosa seria neppure lo erano le scritte e i gruppi su Facebook che inneggiavano alla morte violenta di Berlusconi. In quel caso, però, i commenti di Cruciani furono di ben altro tono, denotando uno dei più clamorosi casi di doppiopesismo crucianiano di sempre.

- Il fatto che il la KKK sia una farsa non significa che un problema razzismo in Italia sia sostanzialmente inesistente come sostiene con convinzione Cruciani. E' un tema, questo, che ho già affrontato molte volte e che riassumo qui in poche parole con una mini raccolta di FAQ (Frequently Asked Questions): il razzismo è un sentimento che pervade diffusamente gli italiani? No. E' un fenomeno di nicchia? . E' tale fenomeno direttamente riconducibile alla presenza di un governo PDL/Lega che alimenterebbe l'odio a mani basse? No, anche se certe sparate xenofobe di alcuni leghisti sono nocive. C'è il rischio che il fenomeno si allarghi? . Il governo PDL/Lega combatte il fenomeno? No! Per nulla! Anzi, pericolosamente il problema viene negato alla radice.


SUICIDIO BRIGATISTA

Cruciani ha detto ieri di non provare alcuna pietà o compassione per il suicidio della brigatista Nadia Blefari. Gli rimbombano nella testa le parole della Blefari che mai si è pentita dell'omicidio di Marco Biagi, e che anzi, fosse stato per lei, il giuslavorista andava torturato prima di venire giustiziato. Inoltre, Cruciani è rimasto infastidito dai commenti di chi ha attribuito allo stato qualche responsabilità per questa presunta "morte annunciata".

Sono parole dure su cui però io non ho granché da ridire, se non che l'umana pietà bisognerebbe avere la forza di concederla a chiunque. Ho invece da ridire sulla tesi, offertaieri da Cruciani, in base alla quale il tasso di suicidi in carcere sia tutto sommato “normale”. Questa, in tutta franchezza, mi sembra una bestialità reazionaria che non fa onore a chi la propone.


CURZIO MALTESE

Dicevo a inizio post che Cruciani ieri appariva particolarmente livoroso. Il motivo è presto detto: qualcuno che non fosse un insulso ascoltatore aveva osato parlare male di lui, e ciò, per il suo ego è inammissibile. Il malvagio detrattore ha un nome e un cognome, Curzio Maltese, la cui posizione è oltremodo aggravata dal fatto di lavorare “per Repubblica” (concetto più volte sottolineato da Cruciani, come per sottintendere che chi lavora per Repubblica ha più probabilità di essere un reprobo che denigra chi ha opinioni diverse).

Di quale torto si è macchiato Maltese, di preciso? Nel suo ultimissimo libro ha dedicato un passaggio a Cruciani dicendo, tra le altre cose, che la Zanzara è un programma dal “risoluto contenuto berlusconiano”. Non l'avesse mai fatto... Cruciani "berlusconiano"? Ma quando mai! Per vendetta, il conduttore della Zanzara ha radiolondrato Maltese (per la seconda volta in dieci giorni) per via di un'opinione poco generosa, ma niente affatto "rivoluzionaria", verso il berlusconismo, espressa da quest'ultimo in una recente ospitata da Fabio Fazio a Che tempo che fa.

Mai come in questa occasione viene utile tirare in ballo il concetto di "realtà percepita". Come può essere percepito, secondo voi, al di là delle reali intenzioni, uno che un giorno sì e l'altro pure bacchetta allegramente chiunque osi alzare un po' il tiro contro Berlusconi? Come può lamentarsi uno che si è permesso di radiolondrare a mani basse non solo esponenti dell'estremismo antiberlusconiano come Di Pietro o Barbato, ma anche soggetti più che moderati come Vittorio Zucconi, Umberto Eco e, udite udite, Bruno Tabacci?

Si rassegni, Cruciani. In questa storia il cattivo è lui. Finché farà dell'anti-antiberlusconismo il vero leite motive della sua trasmissione (nonché dei suoi articoli per Panorama, quasi imbarazzanti per quanto sono letteralmente a senso unico), prendersi del berlusconiano sarà solo una fisiologica conseguenza. Dice il saggio: chi la fa l'aspetti. O meglio, in questo caso, chi radiolondra verrà radiolondrato-alla-rovescia.

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Il Maltese di Repubblica, Curzio, per me ormai un piccolo eroe in carne ed ossa, mi fa pensare ad un altro Maltese, Corto, eroe pure lui, ma di carta.

Mau Mau, "Corto Maltese" (1996).




Come eroe di carta sai
che gli spari di inchiostro
non piangono morti ma portano guai...


Corto

lunedì 2 novembre 2009

Quei dettagli che non quadrano

Il "commissario" Giuseppe D'Avanzo, il segugio di Repubblica, da qualche giorno è fatto oggetto di pesante biasimo nel migliore dei casi e di scherno nel peggiore. Ha cominciato Giuseppe Cruciani, alla Zanzara di venerdì 30 ottobre, seguito a ruota da Antonio Polito sul Riformista di domenica e Giuliano Ferrara sul Foglio di oggi (ma potrei citare molti altri detrattori).

Per farla breve, D'Avanzo starebbe svalvolando, incapace di controllare le sue ossessioni, e a dimostrare ciò basterebbe leggere la sua ricostruzione dell'affaire Marrazzo apparsa su Repubblica venerdì scorso, nonché il seguito pubblicato il giorno successivo, dove si sostiene che tutto il caso sarebbe un gigantesco complotto orchestrato da Berlusconi, il quale sarebbe peraltro perseguibile per ricettazione.

Ora, è vero che i pezzi di D'Avanzo sono pieni di teoremi non dimostrati e pertanto opinabili, ma da nessuna parte si dice che il grande complottatore, posto che esista, sia Berlusconi. Si dice invece che alcuni aspetti non chiarissimi della vicenda inficiano l'ipotesi in base alla quale il coinvolgimento di Berlusconi nell'affaire sarebbe circoscrivibile alle due brevi telefonate "di cortesia istituzionale" intercorse tra questi e Marrazzo il 19 e il 21 ottobre. E' certo, infatti, che i vertici del gruppo Mondadori (in particolare Marina Berlusconi) erano venuti a conoscenza del famigerato video con Marrazzo in mutande in compagnia di un viado il 5 ottobre, due settimane prima.

Su queste due settimane di buco ognuno può pensarla come vuole. Magari Berlusconi, sommerso da impegni, non ha mai avuto occasione di parlare con la figlia Marina, o magari il cavaliere ha ritenuto di contattare Marrazzo solo nel momento in cui ha avuto percezione che l'ex governatore del Lazio potesse avere una chance di insabbiare lo scandalo in autonomia. Non lo sappiamo.

Ma il punto è un altro. Tentare di andare un po' più a fondo di questa vicenda ha senso, perché di lati oscuri ce ne sono eccome. Se non a Repubblica, almeno si dia retta al Corriere, che domenica ha pubblicato un'interessante e per me molto obiettiva ricostruzione dell'affaire Marrazzo, a firma di Fiorenza Sarzanini, giornalista non certo tacciabile di faziosità.

Assodato ciò, mi chiedo: è giornalisticamente lecito o no ricamare considerazioni e fare dietrologia intorno a questi lati oscuri? Cos'è peggio, porre questioni su quei dettagli che non quadrano e ipotizzare possibili scenari pur in assenza di prove (e magari prendendo colossali cantonate, come non è da escludere sia nel caso di D'Avanzo), o bersi bellamente ogni spiegazione ufficiale, per quanto poco verosimile possa apparire? E' più disdicevole ipotizzare troppo, con il rischio di farsi condizionare da eventuali pregiudizi, o non ipotizzare per nulla, con il rischio di diventare dei semplici megafoni senz'anima? La mia risposta è scontata: viva i segugi, tutta la vita.

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Una frase pronunciata de Cruciani venerdì scorso è di quelle da segnarsi di volata. Riferendosi a Marrazzo, ma più in generale anche a qualunque rappresentante istituzionale, non importa se eletto direttamente dai cittadini, il conduttore della Zanzara ha detto: “Qualche volta uno lascia perché la sua posizione non è più sostenibile. Ci sono ragioni di opportunità”. Cari amici, ricordiamoci di questa frase, quando a voi-sapete-chi dovesse capitare voi-sapete-cosa.

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Una intervista di Marco Travaglio a Franco Battiato, apparsa sul Fatto di venerdì, ha poi mandato su tutte le furie il conduttore della Zanzara per via della parola “bassotto” adoperata dal cantautore siciliano nell'ambito di una critica decisamente feroce nei confronti di Renato Brunetta. Di conseguenza, Battiato è stato preso di mira in trasmissione, ed in particolare è stato definito “una persona inesistente dal punto di vista politico”. Insomma, un signor nessuno, indegno di essere messo sullo stesso piano di un elemento “di una certa caratura” come Brunetta.

Che la parola “bassotto” Battiato se la potesse risparmiare sono d'accordo, ma santo cielo, non esageriamo! In fondo l'artista siciliano mica ha detto che Brunetta vale poco in quanto piccolo da statura, mica ha detto che "è più alto che intelligente"! Battiato ha formulato una legittima critica, personale e opinabile, ma che aveva una natura politica e in quanto tale bisognava prenderne atto (non dico necessariamente condividerla, ci mancherebbe) senza trovarci ingiurie che non esistono. Questo rendersi, da parte di Cruciani, un po' paladino e un po' guardia pretoriana di Brunetta comincia francamente a diventare stancante.

E su chi sia "inesistente" tra Battiato e Brunetta (anche se Cruciani intendeva politicamente), mi riprometto, tra una cinquantina di anni, di dare un'occhiatina ai libri di storia.

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Erano mesi che aspettavo una scusa buona per mettere il video di "La cura", la canzone capolavoro di Franco Battiato (1996).




Perché sei un essere speciale,
ed io avrò cura di te.