lunedì 3 gennaio 2011

Sono libero

Non giriamoci intorno. L'ora delle decisioni irrevocabili è scoccata. L'avventura dell'Anti-Zanzara, dopo quasi tre anni e dopo oltre settecento post, finisce qua.

Spero possiate capirmi. Anzi, dovete capirmi, lasciando da parte i "nooooo, non farlo". Io non ho più motivazioni per spendere due ore e passa di cinque serate settimanali su sette dietro una trasmissione radiofonica che, secondo quel che è il mio personalissimo spettro di interesse e di piacere, non mi trasmette più nulla di valido. La Zanzara, da tempo ormai, salvo rare occasioni non mi solletica, non mi stimola, non mi diverte, non mi arricchisce, non mi allieta, non mi emoziona, non mi fa né incazzare né godere. Con tutto il rispetto, non posso più accettare di sprecare quotidianamente così tanto tempo in siffatto modo. Ho altro da fare.

Già le conosco certe obiezioni: “Chissenefotte della Zanzara. Il blog può continuare anche staccandosi dalla trasmissione!”.

No. Per me non è così. Non avendo le risorse, la capacità e le competenze per fare l'editorialista "di mio", la mia produttività di blogger deriva(va) dall'irraggiamento di commenti qualificati, provocazioni, impulsi e istigazioni provenienti dalla trasmissione di Giuseppe Cruciani. Una volta che la sorgente si è inaridita, senza un contraltare fisso di riferimento la mia disposizione a proporre analisi alternative, integrazioni e varianti di pensiero è venuta meno.

Ad accentuare questo senso di mancamento, poi, c'è la pochezza dei personaggi e la miseria dei temi a cui i mezzi di informazione sempre più militarizzati (l'informazione militante pare l'unica via alternativa all'infotainment, e non so cosa sia peggio) sembrano via via voler dedicare la loro attenzione. Io non ne posso più della politica italiana, e dei suoi teatranti principali e secondari. Non ne posso più in primo luogo di Berlusconi, punto d'origine di quello sfacelo che è lo scenario politico italiano (come finalmente riconosce pure uno come Antonio Polito nel suo editoriale di addio al Riformista, vergando parole che io, modestamente, scrivo da quasi tre anni. Magari un giorno ci arriverà pure Cruciani, anche se io non starò certo lì ad aspettare). Ma non ne posso più neppure di tutti gli oppositori del cavaliere, dal primo all'ultimo. Ministri del governo, sottosegretari, onorevoli, membri dell'opposizione, pasdaran e portacandele assortiti: ora come ora mi danno tutti la nausea.

Ho davvero voglia di staccare la spina, di cambiare orizzonti. Desidero essere nuovamente libero. Libero di tornare a vedere film in TV e non solo dibattiti politici, libero di ascoltare musica alla radio e non solo news, libero di leggere libri e non solo articoli ed editoriali. Libero di coltivare nuovi interessi. E libero, soprattutto, di dedicare maggiori energie e maggior concentrazione ai miei bimbi in ambito familiare e alle mie attività in ambito professionale.

Se questo periodo sabbatico, comunque non breve, sia destinato ad essere temporaneo o definitivo non so dirlo. Ma tant'è. Oggi si volta pagina e si chiude un capitolo, senza rimpianti. So che intorno a questo sito si è creata una piccola comunità di persone con la testa sulle spalle che sarebbe un peccato si disperdesse nel vento. Auspico che qualcuno abbia la volontà e la forza di creare altrove un nuovo centro di aggregazione. Non che serva, ma in tal senso, nel caso vi fossero dubbi, c'è comunque la mia assoluta benedizione.

UPDATE: Paolo ha dato vita ad un nuovo fiammeggiante blog, raggiungibile a questo URL: http://acutocomeunapalla.blogspot.com

Insomma, siamo ai saluti finali. A chiunque abbia bazzicato questi lidi in modo più o meno continuativo va la mia riconoscenza, soprattutto per la pazienza e la costanza nel leggere i miei parti. Un ringraziamento speciale va poi a Paolo, per la quantità e la qualità dei suoi contributi a questo blog. Ancora grazie. Davvero.

Okay, credo sia davvero tutto. E dai, mettete via quei fazzoletti, che non è proprio il caso.

Ci siamo. L'ultimo fotogramma è passato. Dissolvenza in nero, titoli di coda... Fine.

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"I'm free" dei Rolling Stones (1965) nella versione dance dei Soup Dragons (1990)




I'm free to do what I want any old time
I said I'm free to do what I want any old time
I say love me, hold me
Love me, hold me
'Cause I'm free...



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Elvis has left the building.


giovedì 23 dicembre 2010

Che ne sarà di noi

Il blog approfitta delle feste natalizie per prendersi una lunga pausa di riflessione. Ci sono difficoltà logistiche da affrontare, oneri familiari e professionali da soddisfare, stimoli da riesumare, motivazioni da riacquistare, barriere interiori da sormontare, orizzonti da inseguire. Di quel che sarà di noi ad oggi non v'è certezza, ma anche le miglior cose non durano in eterno, e figuriamoci questa pretestuosa accozzaglia di pensieri che è l'Anti-Zanzara.

Passate delle buone feste, in serenità, con le persone che vi sono care. Lasciatevi indietro i cattivi pensieri, e apritevi al domani, qualunque esso sia. Noi ci rivediamo, forse, nell'anno nuovo. O magari ci sentiamo. Sennò, al limite, ci pensiamo.

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Subsonica, "Làsciati" (1999)




Lasciati guardare un po' più a fondo
finché si può
Senti come tremo perchè sento
che tutto finisce qui


mercoledì 22 dicembre 2010

La metamorfosi di Marchionne

Oggi due fill-in di Paolo. Uno qui sotto, un altro a parte.

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[Paolo]

Buongiorno,

negli ultimi tempi mi sono chiesto spesso cosa sia successo a Marchionne, il manager in maglioncino che alcuni anni fa aveva preso le redini di Fiat ed aveva iniziato a risanarla con l'appoggio quasi unanime di tutte le parti sociali italiane (me compreso), e che ora invece si sta inimicando parti sempre più ampie della gente.

E forse mi sono risposto sul perché della perdita di simpatia del manager.

Inizialmente la sua strategia sembrava essere incentrata sulla valorizzazione del know-how interno, tanti saluti a fornitori che si erano sostituiti alla società nella gestione del core business bloccando lo sviluppo di Fiat, rinnovata attenzione al prodotto, pressione sulle vendite…

Poi la crisi spezza qualcosa, creando un problema e due opportunità. Il problema è ovviamente la contrazione del mercato di sbocco del prodotto. Si vendono meno auto, specialmente senza incentivi. Fiat, in un mercato che langue, sceglie di non uscire con nuovi modelli ed attendere tempi migliori, e si ferma.

Paradossalmente le opportunità nascono dalla crisi ed incrinano i rapporti tra Marchionne e l'Italia, sino a quel momento buoni. La crisi infatti permette a Marchionne di imporre la chiusura di stabilimenti poco produttivi come Termini Imerese. La giustificazione è che si vende meno e bisogna tagliare i rami secchi. La scelta non piace ma viene in qualche modo digerita.

Ma una volta ridimensionata Fiat, Marchionne approfitta della svendita di Chrysler per ricreare una struttura aziendale con una produzione eccedente la domanda del mercato. Solo inizialmente interviene sull'organizzazione aziendale (ad esempio chiedendo ai concessionari statunitensi di tenere aperto al sabato per incrementare le vendite). Poi, giocando sulla potenziale sovrapproduzione, impone agli altri stabilimenti (italiani ed esteri) condizioni contrattuali particolarmente pesanti. In Italia inizialmente solo a Pomigliano motivando i cambiamenti con la situazione molto particolare di quello stabilimento, ma poi coinvolgendo anche Mirafiori. Negli USA con condizioni economiche, specie per i neoassunti (magari ha pensato che esportare le pessime abitudini italiane poteva essere una buona idea) operosissime.

Il meccanismo resta lo stesso: abbiamo una capacità produttiva in eccesso per cui le alternative sono sempre ridurre le retribuzioni / garanzie dei lavoratori o chiudere.

Come ultimo passo si assiste alla prospettiva di vendere alcune parti del gruppo (Alfa Romeo, Magneti Marelli…) che potrebbero rappresentare un buon punto di partenza per la ricostruzione di un forte nucleo di rilancio. Si pensi che al marchio di Arese sono interessati i tedeschi di Volkswagen e che la Magneti Marelli è l'equivalente italiano di Bosch, cui il gruppo Fiat vende da tempo i brevetti (Il common rail per dirne uno )delle principali innovazioni motoristiche che mette a punto. Tanti saluti alla valorizzazione del know-how e del marchio.

Altri marchi mostrano come, malgrado un blasone privo di particolare appeal, sia possibile innovare, uscire con nuovi prodotti e trarne redditività (vedi ad esempio Dr o Dacia con il modello Duster). Mentre in Fiat il problema è stato spostato dal rendere efficiente ed innovativa l'azienda al ridurre il monte stipendi degli operai. Che però sul prodotto finale incide solo per il 6%. Come dire che stiamo lottando con i dipendenti per ridurre il costo di una utilitaria di cento euro. Non credo siano quelle le cifre che spostano i compratori, ma mandano in crisi i lavoratori.

Quando Marchionne ha preso in mano Fiat era un manager di scuola americana, ed ha iniziato a lavorare sull'azienda a tutto campo. Adesso è diventato un manager molto più italiano, limitato ad contenere il costo del lavoro. L'unica originalità e che non chiede contributi, ma, nel nome del mercato, di essere esentato dal rispetto di regole comuni e condivise. Cosa che tedeschi e francesi non fanno. Probabilmente è per questo che era più simpatico prima. E paradossalmente è per questo che otteneva migliori risultati prima.

Ciao

Paolo

Sempre in emergenza

[Articolo di Paolo]

Buongiorno.

Nei giorni scorsi gran parte dell'Italia centro settentrionale è stata colpita da un'ondata di maltempo che ha avuto ripercussioni molto pesanti sul traffico. Città come Firenze sono andate completamente in tilt, la principale autostrada italiana si è bloccata, il traffico ferroviario ha subito pesanti ritardi. E subito è iniziato il palleggiamento delle responsabilità: è stata la Protezione civile a sottovalutare la portata del fenomeno, no, sono stati i camionisti a bloccare i mezzi spargisale intraversando i loro mezzi privi di catene, nonnonnò, sono stati i gestori delle autostrade a non chiudere gli ingressi, ecc. ecc.

Su tutto aleggia lo spettro di un evento epocale di dimensioni enormi: il sindaco di Firenze (dove i disagi sono stati particolarmente pesanti), che pur afferma di volersi assumere le proprie responsabilità, dichiara però di fatto di non averne: “A Firenze eravamo pronti ad affrontare una nevicata che le previsioni che avevamo indicavano in 5 centimetri: avevamo dato il sale, ma poi invece i centimetri di neve sono stati 25. Si sono verificati due eventi eccezionali: una nevicata così intensa non c'era dal 1904 e poi c'è stato il blocco di tutto ciò che sta intorno Firenze, dalla Firenze Pisa Livorno all'autostrada, dalla stazione ferroviaria all'aeroporto. Nemmeno i marines ci avrebbe salvato in questa situazione. Noi siamo parte lesa di queste chiusure.”

25 cm di neve a metà dicembre sono stati sufficienti per mettere in ginocchio un paese. Lo stesso paese che poche settimane fa si è visto allagare tre province in Veneto per una pioggia intensa. E anche lì si ode l'invocazione dell'eccezionalità da parte del presidente della Regione: lo scioglimento delle nevi, 500 mm di pioggia in due giorni (che in realtà secondo l'ARPAV erano meno di metà, tranne che su Bassano), il mare che non riceveva i fiumi (peraltro una intera provincia più in là, rimasta all'asciutto).

In entrambi i casi mi è sembrato mancasse solo l'invocazione delle cavallette, come nel film dei Blues Brothers.

E potremmo continuare. Il centro dell'Aquila due anni fa è stato spazzato via da un terremoto di magnitudo non poi così alta, per di più preceduta da uno sciame prolungato. E anche in questo caso si parla di evento di dimensioni eccezionali.

La dimensione di determinati eventi naturali che stanno sistematicamente cogliendo impreparata l'Italia non sono eccezionali.

Se i Tir si intraversano in autostrada bloccando i mezzi spargisale è perché quei mezzi sono stati fatti muovere in ritardo e non sono stati bloccati gli ingressi a chi non aveva gomme termiche e catene, prima che per 25 cm di neve. Se in quarant'anni, Umbria, Irpinia, Friuli, Belice, sono stati colpiti da terremoti di magnitudo simile o superiore a quello dell'Aquila non si può considerare quel terremoto un fenomeno imponderabile. Se i passeggeri dei treni rimangono bloccati al buio ed al freddo in aperta campagna è anche perché quei treni sono vecchi e mal mantenuti. Se mezzo Veneto va sott'acqua per una pioggia intensa è perché ha colpevolmente abusato del territorio (e sta continuando a farlo). Almeno in primo luogo. Ed affrontare questi aspetti sui quali si poteva (e si può) influire avrebbe verosimilmente ridotto di molto disagi, problemi e morti.

Ma la vera emergenza, quella realmente di dimensioni eccezionali, è quella che pubblicamente nessuno lamenta: l'incapacità gestionale, amministrativa e programmatica di chi deve pervenire queste situazioni, e si dimostra sistematicamente inadeguato.

Ciao

Paolo

martedì 21 dicembre 2010

La vigilia della distruzione

Repetita juvant. Chiunque, per la manifestazione di domani, dovesse uscire di casa portandosi dietro un bastone, chiunque dovesse rendersi irriconoscibile con un casco o in altro modo, chiunque dovesse usare il fuoco per fare qualcosa di diverso dall'accendersi una sigaretta, chiunque dovesse imbrattare un muro, fracassare una vetrina, danneggiare proprietà pubbliche o private, chiunque dovesse lanciare verso un poliziotto anche solo un sassolino, chiunque dovesse rendersi responsabile di qualsiasi atto di violenza è solo un reietto della società che non agisce negli interessi di alcun movimento studentesco, politico o sindacale, ma che al contrario, inconsapevolmente o forse no, per imbecillità o per un malinteso senso di ribellione, altro non farà che il gioco di coloro contro i quali la manifestazione è stata indetta.

C'è una bella fetta di politica e di mezzi di informazione lì, con la bava alla bocca, che si frega le mani in un clima da vigilia di qualcosa di meraviglioso ed inevitabile, e che non è il Natale. Ai primi echi di nuove violenze i tappi delle bottiglie salteranno e lo champagne scorrerà a fiumi. Chi non capisce un concetto così semplice merita di sorbirsi i ghigni obliqui e mefistofelici di Gasparri e di La Russa da qui all'eternità.

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Barry McGuire, "Eve Of Destruction" (1965)




Tell me, over and over and over again my friend,
Ah, you don't believe we're on the Eve of Destruction...


lunedì 20 dicembre 2010

Piccole amichevoli manganellate preventive

Qui sotto un post di Paolo. Oggi ce n'è pure uno di Authan.

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[Paolo]

Buongiorno,

Dopo aver ringraziato Cruciani per l'ottima trasmissione di venerdì e per lo spazio giustamente concesso all'approfondimento delle posizioni politiche di Scilipoti (credo la puntata si intitolasse analizzando il nulla o qualcosa di simile: è indicativo che GC si sia divertito molto in compagnia di cotanto personaggio, è preoccupante invece che cotanto personaggio rivesta un ruolo di responsabilità in uno stato), passerei a qualcosa di più interessante per il commentino di oggi, partendo dalla uscita di Gasparri che invita agli arresti preventivi dei facinorosi per prevenire il rischio di incidenti in occasione delle manifestazioni previste nei prossimi giorni contro la riforma dell'università.

Le polemiche che stanno nascendo sull'argomento sono secondo me in buona parte giustificate: una iniziativa di questo genere, gestita con criteri analoghi a quelli che impediscono ad un certo numero di tifosi riconosciuti come violenti di accedere agli stadi (i DASPO) , potrebbe dare qualche buon risultato tenendo lontano dalle manifestazioni i teppisti di professione, e, in fondo, è sempre meglio di quanto avviene in sua assenza quando scoppiano i disordini: le manganellate e le molotov sono tutt'altro che preventive...

Per questo tipo di gestione però mancano i tempi tecnici necessari per il passaggio attraverso la struttura giudiziaria prima delle prossime manifestazioni, sempre che qualcuno non sia invece più interessato ad utilizzare le violenze dei manifestanti per oscurare il contenuto delle manifestazioni.

Di conseguenza è facile ritenere che questa sia una gasparrata qualsiasi, ipotesi che viene rafforzata dalla caratteristica sobrietà del personaggio (che parla di ARRESTI preventivi, cosa che i daspo non sono), da alcune affermazioni fatte a corredo quale quella che afferma che si sa benissimo chi sono i violenti (e allora perché non li beccano quasi mai?), dalla pacatezza degli inviti ai genitori dei manifestanti a tenerli a casa invece di lasciarli andare insieme a potenziali assassini, ed alle risposte del Viminale (che lo invita a non soffiare sul fuoco).

E nella gasparrata c'è effettivamente però una cosa che è interessante andare a vedere, e cioè il livello di faciloneria di Gasparri stesso, nonchè, leggendo in trasparenza i contenuti della proposta, quale sia per lui l'idea di garantismo.

Non mi meraviglia quindi che per molti la reazione alle sue uscite sia stata quella di evocare lo spettro del fascismo, né credo che abbiano preso in questo modo un granchio particolarmente grande: la mentalità che ha partorito questa proposta si è dimostrata rozza, forcaiola, incline all'abuso della forza, irrispettosa delle opinioni e delle scelte altrui, portata ad alimentare un clima d'odio e di contrapposizione frontale. Quindi giustamente una mentalità almeno parafascista, anche se fortunatamente non pericolosa per la piccolezza del suo latore, piccolo balilla aspirante federale in ritardo sui tempi.

Ciao

Paolo

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Proviamo a dimenticare, con Neri Marcorè.




Il mio nome è Gasparri. Svuoto cantine.

C'è una Zanzara che fa un po' troppo beeeee

Tra i vari aspetti della Zanzara che nel tempo sono peggiorati c'è il livello medio della qualità degli interventi degli ascoltatori. Non che esso sia mai stato particolarmente brillante, intendiamoci, ma negli ultimi tempi, complice anche il diradarsi dello spazio concesso agli ascoltatori medesimi, siamo scesi su livelli francamente imbarazzanti. Sentire dei ragionamenti compiuti, dei costrutti di pensiero poggianti sui mattoni basilari Introduzione-Tesi-Conclusione, è evento più unico che raro.

Il più delle volte assistiamo a sfoghi insistiti contro il conduttore o banali arringhe da tifoso filo o anti Berlusconi. Nulla che sia neanche vagamente stimolante, nulla che sia ascrivibile alla categoria del confronto dialettico di livello. Perché alla Zanzara, banalmente, non ci si confronta. Alla Zanzara si litiga, si sbraita, si baruffa, si sproloquia, si sfotte, si deride, si tifa, si farnetica, si pontifica, si sentenzia.

Possibile che l'italiano medio abbia delle tali deficienze strutturali nell'articolare un pensiero? Ma certo che no. E infatti altre trasmissioni, come la fortunatissima Prima Pagina al mattino su Radio Tre, dimostrano il contrario. La spiegazione è un'altra: la risposta dei radioascoltatori della Zanzara è qualitativamente scarsa perché lo stimolo che viene proposto loro dall'anfitrione, composto in gran parte da provocazioni, approssimazioni, dileggi, doppiopesismi, fatuità, superficialità, volgarità, caciare, per non parlare dell'imbarazzante selezione degli argomenti da trattare e degli ospiti con cui trattarli, è qualitativamente scarso. Causa ed effetto. Azione e reazione.

Occhio, qui si comprende benissimo che la cifra della Zanzara intenzionalmente non vuole essere quella dell'ingessata piattezza senza sussulti di RadioTre, né quella della ferrea disciplina autoritaria del mozzaorecchi di Zapping su RadioUno. Però prima o poi bisognerà prendere atto di come, in nome di una distorta concezione dell'anticonformismo e del politicamente scorretto, ci si sia spinti oltre un punto di non ritorno. L'interattività con gli ascoltatori nell'ambito del cosiddetto Zanzara Party non è più un ingrediente che arricchisce la trasmissione, ma è semmai solo più un fastidio, una noia, un fardello sopportabile solo a stento, dal conduttore innanzi tutto. Sapete, per dirne una, quanti ascoltatori sono intervenuti in diretta alla Zanzara di venerdì 17 dicembre, durante l'intero arco della trasmissione? Io li ho contati: sono stati quattro. Quattro.

Se la Zanzara vuole trasformarsi nella copia carbone serale di Un giorno da pecora, perché è di questo che stiamo parlando, ebbene, che lo faccia, specie se i dati d'ascolto supportano questa bizzarra metamorfosi da insetto a ovino. Nulla quaestio. Solo, smettiamola una volta per tutte con la presa in giro del talk show che, sui fatti del giorno, vuole sentire il polso del paese reale, quello che passa al bar la sera prima di tornare a casa, quando l'evidenza dice che per il programma gli ascoltatori sono invece vieppiù diventati, in sostanza, banali ricettori di un prodotto d'intrattenimento, elementi passivi, degni, al massimo, di suggerire via sms (sempre che conoscano il numero, da settimane non più comunicato in diretta) la musichetta più appropriata a far da accompagnamento alla puntata.

Insomma, se il solco su cui cammina lo Zanzara Party dovesse rimanere l'attuale, forse sarebbe il caso che si cominciasse a ragionare su un'ipotesi di sdoppiamento della trasmissione. Ci sono due ore e mezza in ballo e c'è un chiaro deficit da ricoprire, perché un canale di radio parlata come Radio 24 non può non avere un talk show interattivo serale. Ebbene, che i primi novanta minuti di frizzi e lazzi se li faccia pure Cruciani, con una spalla fissa adeguata (non certo il mediocre Parenzo), con tutti gli ospiti della tipologia a lui gradita (Lory Del Santo, Califano, Siffredi, Sgarbi, ecc. ecc.), ma senza interventi di radioascoltatori.

Poi, per la restante ora il nostro amico maratoneta se ne va a farsi una corsetta e lascia poltrona e microfono ad un collega che magari ha ancora voglia di provare l'ebbrezza del sano e sereno dialogo con gli ascoltatori, e che abbia piacere di dedicarsi ancora, con il contributo di ospiti di spessore, all'analisi, all'approfondimento, alla dialettica, all'uso del buon italiano, al dibattito, e al fare informazione sui benedetti temi del giorno. Quelli veri, quelli di cui si parla sul serio nei bar, e non le sciocchezzuole da trafiletto in trentanovesima pagina a cui Cruciani dedica talvolta puntate intere.

Ecco, signori, questo è il regalo di Natale che vorrei da Radio 24. Un gesto di rispetto per uno zoccolo duro di audience che nonostante tutto non vuole ancora mollare. Solo questo, e niente più. La Zanzara è morta, viva la Zanzara.

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Pink Floyd, "Sheep" (1977)