martedì 30 novembre 2010

Reazionar-chic

Oggi pubblico volentieri una bella riflessione di Alessandro.

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[Post di Alessandro]

Fa tenerezza, Cruciani, quando si gongola nel prendere per i fondelli Nichi Vendola e il suo linguaggio immaginifico. Ingenuo invece quando si tira fuori dalla categoria di giornalisti "snob" che il Presidente della Regione Puglia indica come incapaci di comprendere il suo linguaggio. Ispira sentimenti benevoli perché non solo è profondamente snob senza saperlo, ma addirittura radical-chic reazionar-chic.

La sua volontà di essere "antropologicamente diverso" da tutti gli altri giornalisti, di essere controtendenza perché la vulgata e lenta mentre lui è rock, altro non sembrano che pessimo esempio di come si possa interpretare l'analisi della società e della politica. Perché tenendosi a distanza dall'etichetta di "snob", Cruciani si vanta di non conoscere il testo di una canzone come "Contessa" di Paolo Pietrangeli, così come si era vantato in passato di non aver visto "Umberto D." di Vittorio De Sica.

Peccato però che per comprendere il presente sia importante, se non fondamentale, conoscere il passato. E non lo afferma il sottoscritto ma la storiografia intera, da prima che esistessero Berlusconi o i comunisti, tanto per fugare qualche dubbio. E non è un valore affermare di non conoscere "Contessa", magari perché canto popolare e politico di una parte "avversa" o peggio ancora perché anacronistico.

Conoscere "Contessa", così come "Bella Ciao" o "Giovinezza" e "Faccetta Nera" è importante per comprendere il proprio passato e la propria storia, quella Storia con la S maiuscola che ha costruito quello che è il nostro presente. E' importante contestualizzare quei canti, conoscere in che periodo storico sono stati "bandiera" di una parte della società, sapere quali sentimenti c'erano nelle voci di chi li ha intonati, a torto o a ragione, credendo in un ideale. E invece no, Cruciani ritiene di dover far vanto della propria ignoranza. Ma che consapevolezza c'è nell'ignoranza? Di che parliamo, esimio Cruciani, se volontariamente ignoriamo il nostro passato, nascondendo la testa sotto la sabbia come struzzi? Che presente possiamo comprendere senza conoscere le storie di Erio Codecà, o quella di Valerio Verbano?

Possiamo sproloquiare, sbraitare, starnazzare, possiamo mandare il traffico, ma per favore, evitiamo di forgiarci dell'etichetta di anti-snob. Perché esaltare la propria ignoranza, in disprezzo di fatti o di storie che si ritengono sbagliati o vetusti, è altrettanto snob e reazionar-chic che andare a votare alle primarie di Milano del PD portandosi dietro la filippina.

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"Contessa", di Paolo Pietrangeli (1968), nella versione dei Modena City Ramblers (1994)




Ma se questo è il prezzo lo abbiamo pagato,
Nessuno più al mondo dev’essere sfruttato!


lunedì 29 novembre 2010

Son tempi duri per i reazionari del terzo millennio

Secondo post del giorno, di Authan. Il primo era di Paolo.

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Giuseppe Cruciani, venerdì 26 novembre: “Le riforme vanno imposte dal governo senza dar retta a nessuno, altrimenti non si combina un cazzo”.

Ora con tutta la buona volontà di questo mondo, con tutto il rispetto che si deve alle opinioni altrui, come si fa a non pensare che chi concepisce in questo modo la conduzione di un paese altro non sia che un reazionario? Un reazionario moderno, un reazionario del terzo millenio, ma pur sempre un reazionario.

Attenzione. Entro certi limiti non c'è nulla di cui vergognarsi nell'essere reazionari. Si può ambire ad una democrazia plebiscitaria nella quale tutti gli strumenti di mediazione (il parlamento, i sindacati, le authority, le istituzioni di garanzia, tutti orpelli che fanno sbuffare il nostro amico conduttore come ben sa lo zoccolo duro dell'audience della Zanzara) perdono rilevanza a vantaggio del governo e della figura del presidentissimo "eletto dal popolo" (e poi rieletto alle elezioni successive se ha lavorato bene, o mandato a casa se ha lavorato male) nelle mani del quale si concentra l'intera catena decisionale. E' una concezione come un'altra. Per me aberrante, ma pur sempre una concezione a cui va riconosciuta piena legittimità visto che affonda comunque le proprie radici sul sacro principio della volontà popolare.

C'è solo un piccolo problema. Chi crede in una democrazia plebiscitaria dovrebbe partire da un assunto di base dal quale non si può in alcun caso prescindere. Per condurre un paese forte di superpoteri e senza necessità di "dar retta a nessuno" serve almeno il 50% più uno dei voti. Maggioranza assoluta. Non relativa. Assoluta. Perché senza la maggioranza assoluta viene meno l'assunto fondamentale della volontà popolare prevalente.

E qui, signori miei, casca l'asino. Lo scenario politico tripolare che è andato delineandosi negli ultimi tempi sbatte contro la visione plebiscitaria. Se i cittadini hanno più di due scelte, non v'è certezza che uno dei poli possa raggiungere la maggioranza assoluta, e l'idea che la coalizione di maggioranza relativa (qualunque colore abbia), anche se con solo, per esempio, il 35% dei voti, possa, in virtù del premio di maggioranza previsto dall'attuale legge elettorale, prendersi il 55% dei seggi parlamentari deve, e sottolineo deve, far inorridire qualunque democratico che si rispetti. Reazionari del terzo millennio compresi, voglio augurarmi. Non c'è mito della "governabilità" che tenga di fronte ad un tale palese e solare sprezzo della volontà popolare.

Che il cosiddetto porcellum sia nel mirino di molti è quindi comprensibile. Far presente, poi, che molti di coloro che vogliono cambiare legge elettorale sono gli stessi che tale legge l'avevano approvata a suo tempo è francamente puerile, visto che fino a non molto tempo fa il sistema bipolare, l'unico che poteva giustificare il porcellum, sembrava inscalfibile. Ma le situazioni cambiano, si evolvono, si modificano. Il giocattolo del bipolarismo nostrano (che, ahinoi, non ha saputo/voluto evolversi nel bipartitismo perfetto in salsa americana) si è rotto e non rimane che prenderne atto.

Andare a votare con questa legge elettorale è, paradossalmente, e indipendentemente dal "vincitore" finale, un attentato alla democrazia. Sembra un ossimoro, ma è la semplice verità. Lo dice la logica, lo dicono i numeri di tutti i sondaggi. Se ciò dovesse accadere, esiste un solo modo per evitare che una minoranza (nel senso di maggioranza non assoluta) si prenda l'intero paese per cinque anni: assicurarsi che una maggioranza assoluta alla fine ci sia. Il polo di centro e quello di sinistra (cioè coloro che oggi sono favorevoli ad una modifica della legge) dovrebbero formare un cartello elettorale spiegandone con chiarezza le ragioni ai cittadini del loro rispettivo elettorato di riferimento. Cittadini che in larga parte, ne sono certo, capirebbero. Poi magari Berlusconi vince lo stesso, ma dovrà farlo ottenendo la maggioranza as-so-lu-ta, se ne è capace.

Solo una volta che il premio di maggioranza fosse eliminato (o assegnato a chi ha comunque ottenuto di suo almeno il 50% dei consensi) potremmo ragionare in termini di "ogni polo gioca per sé, con il proprio leader e il proprio programma, e vinca il migliore” la partita delle elezioni. Salvo poi, presumibilmente, dar comunque vita di volta in volta a governi di coalizione con accordi post-elettorali, non essendoci altra alternativa. Sissignore, accordi post-elettorali. Esattamente come è recentemente successo nella civilissima e da tutti ammirata Gran Bretagna e come succede da sempre nell'altrettanto civile ed ammirata Germania.

Lupi e iene

Qui sotto Paolo, a parte Authan.

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[Paolo]

Buongiorno,

non sto trovando appassionante il caso del giorno, cioè le rivelazioni di wikileaks, le quali mi pare si limitino a confermare cose già note e scontate. E men che meno ho trovato interessante la Zanzara di venerdì decisamente improntata sulla fondamentale figura di Debora Caprioglio.

Mi ha sorpreso invece in questi giorni sentire che, su diversi mezzi d'informazione tra cui Radio 24 (ma non ovviamente il programma di Cruciani sempre più cazzate-oriented) hanno avuto un discreto rilievo le opinioni del Prof. Luigi Zingales circa gli speculatori.

In breve mi pare che Zingales sostenga che in questo momento sparare contro gli speculatori sia sbagliato, in quanto gli speculatori secondo lui non agirebbero "come un branco di lupi" che assalgono una preda, ma piuttosto “come un branco di iene pronte ad avventarsi su animali morti, ma timorose di assalire quelli vivi”. Secondo Zingales la speculazione si sta infatti concentrando su paesi "malati", con le finanze in disordine, e non contro chi ha i conti a posto, quindi meglio lasciar stare gli speculatori.

Il peso ed il taglio dato a queste opinioni mi ha lasciato perplesso: se è vero che la speculazione sta colpendo paesi che, come Grecia ed Irlanda, hanno i conti disastrati, e che quindi bisogna comunque che questi paesi risanino la propria economia, il resto delle affermazioni di Zingales, fatte e sottintese, lascia molto perplessi.

Zingales dà per scontato che gli speculatori si limiteranno a spolpare gli stati che presentano debolezze finanziarie strutturali. Anche ammesso che questa cosa sia una cosa buona o neutra (non lo pensano né i greci né gli irlandesi, per dirne una), chi ce lo garantisce? Perché qui inizia il problema che Zingales non affronta: chi ci garantisce che gli speculatori, una volta portati in default gli stati più esposti guadagnandoci di volta in volta, non continueranno anche con i paesi che, pur avendo una economia sostanzialmente sana (nei limiti di quanto permette questa crisi), non avranno la forza di resistere alle loro mire? Nessuno, anzi, proprio questi sarebbero i bocconi più prelibati e redditizi. Come hanno spesso dimostrato storie aziendali di fallimenti e smembramenti pilotati dalla speculazione, anche in caso di aziende sane.

A fronte di questo rischio, l'eventuale beneficio economico (?) che il sistema trae dall'esistenza degli speculatori è tale da eccedere il costo della loro esistenza? Personalmente ritengo di no. E resto dell'idea che limitare la speculazione non eliminerebbe il problema di un sistema economico occidentale cresciuto gonfiando il debito pubblico e privato, ma comunque aiuterebbe a galleggiare, eliminando un fattore di rischio ed un ingiustificato peso economico, dando ad alcuni paesi il tempo di risanare le proprie economie.

Se la nave imbarca acqua, buttare a mare le tigri che si aggirano sulla tolda sbranando i marinai può aiutare a restare a galla, sia perché alleggerisce la nave, sia perché permette all'equipaggio di affrontare un problema in meno. E credo che se Zingales fosse su quella nave non direbbe "tanto stiamo affondando", ma "forse così riusciremo almeno a stare a galla più a lungo".

Ciao

Paolo

venerdì 26 novembre 2010

Una nullità reazionaria

Qui sotto il post di Authan. Non dimenticate l'altro post odierno, by Paolo.

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Altro che camomilla. Altro che bromuro. Serviva, ieri sera, un dardo impregnato di sedativo, di quelli che si usano con le belve feroci, per ammansire un Giuseppe Cruciani mai così "indignato speciale" e mai così reazionario, che sul tema della dilagante protesta studentesca ha letteralmente dato in escandescenze, specie nella prima parte della trasmissione. Quella di ieri è stata una conduzione mortificante. Non si può, in una trasmissione radiofonica nazionale affrontare un argomento così complesso con una tale aggressività e veemenza verbale. Non è il modo. La Zanzara non sarà un pranzo di gala, ma neppure può ridursi a cagnara da saloon.

La situazione è questa: c'è una riforma sull'Università in fase di discussione pre votazione alla Camera, che è contestata da una parte degli studenti e dei ricercatori (chi vuole approfondire le ragioni di questi ultimi, consiglio la lettura della lettera inviata a Repubblica da un ricercatore dell'Università di Pisa. Sul Mattino di oggi, invece, trovate un'accurata analisi pro riforma, del docente della Luiss Giovanni Orsina. UPDATE. Una interessante analisi antiriforma è invece apparsa sul Fatto Quoridiano del 27 novembre a firma di Ugo Arrigo, docente alla Bicocca di Milano). Ci sono delle pubbliche manifestazioni di dissenso, alcune molto civili (studenti sui tetti degli atenei, striscioni ovunque), altre borderline (occupazioni di monumenti, a patto che non si impedisca l'accesso ai visitatori), altre odiose (occupazioni di binari, blocchi del traffico), altre semplicemente inqualificabili (tentativi di irruzione in sedi istituzionali).

Non è obbligatorio plaudire alle manifestazioni, ovviamente, ed è più che legittimo deplorare i politici che vanno sui tetti a cavalcare la protesta studentesca è più che legittimo. Ma l'esame di ciò che sta capitando non può ridursi ad una sequela di colpi d'accetta a suon di “cialtroni”, “nullafacenti”, “perditempo”, “vogliono solo fare casino”, e via andare, il tutto sulla base di ragionamenti risibili del tipo “quand'ero studente studiavo tutto il tempo e non avevo tempo di protestare”. Ma per favore. Neanche all'asilo si argomenta in modo così superficiale.

Magari la protesta è sbagliata (forse, o forse no, io non ne so abbastanza per prendere una posizione netta), ma come minimo essa va ascoltata, esaminata, sviscerata. Si tirano fuori i nodi chiave, e, se è il caso, si ribatte punto per punto, con cognizione di causa e non con uno sputar sentenze frutto solo di pregiudizi (vien quasi da pensare, ma lo dico sorridendo, che l'astio del Crux sia da collegare a qualche trauma del passato, ad esempio un due di picche rifilatogli da una bella fanciulla tutta kefiah e pugni chiusi). E' cosi che si affronta un tema e si alimenta un dibattito. E no, amico mio, non sarebbe noioso, né sarebbe un approccio adatto solo per i programmi di Giannino e Barisoni. Già noi, zoccolo duro della trasmissione, dobbiamo sorbirci un cabaret spesso infimo. Ci manca solo che la Zanzara si tramuti in una nullità reazionaria.

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Il 27 marzo 1987 gli U2 scatenarono un piccolo pandemonio esibendosi a sorpresa sul tetto del Republic Liquor Store nella East 7th Street a Los Angeles. La canzone è "Where The Streets Have No Name" (1987).




I wanna run
I want to hide
I wanna tear down the walls
That hold me inside
I wanna reach out
And touch the flame
Where the streets have no name...

Scimmie urlatrici

Qui sotto Paolo, a parte Authan. Oggi si mena.

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[Paolo]

Buongiorno.

Avete presente le scimmie urlatrici? Quegli esseri che si manifestano al mondo emettendo ripetutamente lo stesso verso, variandone unicamente il volume verso l'alto?
Quegli esseri che potete tranquillamente vedere ospiti in televisione ad Annozero o Ballarò (ed ultimamente anche ad Exit) e che riempiono la trasmissione dei loro versi, cose tipo: "Vergogna! Vergogna! Vergogna! Vergogna!" oppure "Capra! Capra! Capra! Capra!" o ancora "Ma va là! Ma va là! Ma va là! Ma va là!" per non parlare di "Servo! Servo! Servo! Servo!" o infine "Fascista! Fascista! Fascista! Fascista!"

Già da anni gli etologi studiano i loro versi per scoprire se nascondano un linguaggio e permettano a questi animali di comunicare, per ora con scarsi risultati: allo stato attuale sembra che il verso della scimmia urlatrice sia riconducibile più alla categoria del rumore che a quella della comunicazione, anche se alcuni etologi ritengono possano servire a due scopi: ritrovarsi (le scimmie urlatrici amano stare in piccoli gruppi, non da sole), oppure disturbare chi occupa il territorio circostante sino a farlo andare via (ed in effetti molti telespettatori –io sono uno di quelli– stanno abbandonando la trasmissioni in cui più assidua è la presenza di questi animali, infastiditi dai loro strepiti e dal fatto di non riuscire a sentire un singolo ragionamento).


Monkey


Ma non è di questo che voglio parlarvi. La notizia è che le scimmie urlatrici stanno dimostrando la validità di quella parte delle teorie evoluzionistiche che prevedono l'adattamento degli esseri all'ambiente.

Sembra infatti che ieri sera, attorno alle ore 18.30 una di queste sguaiate bestiole, probabilmente sfuggita da uno studio televisivo a orientamento calcistico di Mediaset, sia fortuitamente giunta in via Monterosa a Milano, sia entrata negli studi radiofonici di Radio24 e, premuto il tasto "ON AIR" abbia riempito l'etere coi suoi versacci urlati per tutta la prima mezz'ora di trasmissione.

Gli etologi di tutto il mondo si stanno confrontando per capire se si sia trattato di un evento casuale oppure se -udite udite!- il passaggio dallo studio radiotelevisivo a quello radiofonico abbia indotto la scimmia urlatrice in questione ad abbandonare l'usuale ruolo di ospite televisivo per assumere quello di conduttore radiofonico.

All'abituale conduttore della trasmissione sarebbe rimasto solo lo spazio per annunciare seccamente "Il traffico!", "La Borsa!" e "Dobbiamo dare la linea al GR. Restate con noi!". Al co-conduttore probabilmente è stato delegato invece il lancio delle noccioline. Solo dopo il GR è stato possibile risentirlo affermare le solite cose scontate: che Emilio Fede aveva tutto il diritto di incitare a pestare i manifestanti (chi potrà mai sostenere si tratti di istigazione a delinquere?), che tutti i manifestanti sono dei fastidiosi fancazzisti, che è ridicolo che gli studenti stiano occupando i tetti (gru, ciminiere e carceri erano già occupate da precari, cassintegrati e disoccupati, dove dovevano andare?). L'unica cosa originale uscita in trasmissione è stata che quando lui era studente doveva impegnarsi nello studio e non aveva pertanto tempo per queste cose.

Ebbene, permettete anche a me un luogo comune caratteristico degli ingegneri. Impegnarsi a Scienze Politiche? Per portare a casa quel popò di capacità di analisi politica che ci fa sentire in trasmissione? Ma va là…

Ciao

Paolo


giovedì 25 novembre 2010

Il frontman della rock band

Qui sotto un post di Authan. Ma anche oggi c'è, a parte, l'ennesimo bel pezzo by Paolo.

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Si percepisce nell'aria di certi ambienti una notevole inquietudine condita da qualche dose di isteria da panico rispetto alla possibile discesa in campo di Luca Cordero di Montezemolo.

Intendiamoci, qui nessuno si illude che LCDM sia un messia con la bacchetta magica in grado di rivoltare l'Italia da cima a fondo riuscendo d'incanto in ciò che il dispensatore di finti miracoli di Arcore ha fallito miseramente in sedici anni. Però è impossibile non osservare come certi commenti piuttosto puerili che ho letto e ascoltato tra ieri e oggi riguardo alcune recentissime uscite del presidente della Ferrari denotino un certo nervosismo, e ciò dà da pensare: chi ha paura di Montezemolo?

LCDM può sparigliare le carte, turbare l'ecosistema, introdurre un elemento di alternativa. Convincente o no è tutto da vedere, ma di fronte ad un governo di pifferai e ad un'opposizione di maldestri, io come minimo ho voglia di stare a sentire cosa ha da offrirci questo outsider. Specie sulla base dei contenuti proposti dal suo think tank di riferimento, Italia Futura. Contenuti che, per merito di elementi qualificati quali, per citarne due tra i migliori, Andrea Romano e Irene Tinagli, sono di spessore.

C'è sicuramente molta retorica quando Montezemolo dice che “è finito il tempo del one-man-show” e che “è ora di fare squadra”. Ma è una retorica che colpisce favorevolmente. Piuttosto che il one-man-show del ghe-pensi-mi, è infinitamente meglio una bella rock band di musicisti eccelsi con un buon frontman. L'identificazione di un governo con chi ne detiene lo scettro non è un concetto sbagliato di per sé, ma lo diventa se raggiunge i livelli morbosi che tristemente conosciamo in Italia. Questo personalismo portato all'eccesso, senza il quale l'attuale crisi di maggioranza si risolverebbe in un battito di ciglia, è uno dei fattori che oggi sta tenendo in stallo l'intero paese. Già solo un cambio di passo, sotto questo punto di vista, sarebbe un salto triplo in avanti.

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Jonas Brothers, "One Man Show" (2008)




I'm a one man show
I don't need no one
I'll be fine alone...


Vedi cose che altri non vedono?

Qui sotto Paolo, a parte Authan.

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[Paolo]

Buongiorno,
un po' di anni fa ho svolto il servizio militare, quando era ancora in vigore la leva obbligatoria. Pertanto sono stato sottoposto al Minnesota Multiphasic Personality Inventory, un test psicologico che, sulla base delle risposte che uno dava a forse un migliaio di affermazioni, permettevano all'esercito di incasellare la tua personalità e di valutare la tua attitudine al rude e virile mondo militare (Perdonate la battuta sessista: no, le femminucce non potevano ancora fare il parà: forse non era ancora in commercio l'assorbente con le ali :-)).

Molte di queste domande erano molto "buffe" per la loro ingenuità e trasparenza: si andava da "Ti piacciono gli uomini?" al "Ti piacciono i fiori?" tesi ad impedire una contaminazione omosessuale del mondo militare ritenuta almeno impropria, e si arrivava alle domande volte a individuare persone psichicamente disturbate tipo "Qualcuno controlla i tuoi pensieri?" o "Senti cose che gli altri non sentono?" In fondo sarebbe antipatico affidare un AR70 – 90 SC carico ad uno psicopatico cui una voce nell'orecchio sussurra che deve estirpare Satana dal mondo seminando proiettili 5,56 Nato a destra e a manca…

La domanda del MMPI “Vedi cose che altri non vedono?” in questi giorni mi sembra di grande attualità.

Abbiamo un Premier che irrompe telefonicamente in trasmissione a Ballarò per smentire che a Napoli in questi giorni esista una emergenza rifiuti. Son tutte mistificazioni. Anche Libero ed il Giornale evidentemente hanno truccato le foto con Photoshop.

Abbiamo un Premier che, con un governo paralizzato dalla defezione di FLI, prevede di raggiungere una “buona maggioranza in entrambe le camere”. E suggerisce all'UDC l'appoggio esterno.

Abbiamo un Premier che, mentre l'emergenza è la gestione della crisi economica, lavora per mantenere in piedi un governo zoppo ed inetto e invita il Presidente della Camera a dimettersi.

Abbiamo un Premier che sostiene ancora che l'Italia uscirà dalla crisi prima e meglio degli altri.

Per di più, ascoltando le garrule interviste effettuate alla Zanzara dalla sede di Strasburgo dell'Europarlamento, o gli interventi della Santanchè su Exit, o leggendo dei vuoti entusiasmi dannunziani del ministro della difesa che bombarda di volantini Bala Murghab, o dei favoritismi che baciano i parenti/amici di un ministro dei beni culturali che non aveva però il tempo di intervenire a tutela di Pompei, mi pare che la sindrome tocchi anche i politici a lui vicini.

Vedono cose che gli altri non vedono. Vivono in un mondo diverso dal nostro. Nell'esercito, che non era esattamente il più ragionevole ed astuto degli enti, questo era motivo sufficiente per escludere da ruoli di responsabilità, perché comportava rischi troppo gravi.

Ciao

Paolo

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Contributo multimediale scelto da Paolo: la scena non facilmente dimenticabile, tratta dal film "Full Metal Jacket", della recluta Palla di Lardo che uccide il crudele sergente istruttore per poi suicidarsi.




mercoledì 24 novembre 2010

Il cielo d'Irlanda

[Super articolo di Paolo]

Buongiorno,

negli ultimi giorni si è tornato a parlare dei problemi dei PIIGS, in quanto l'indebitamento del sistema bancario irlandese sta trascinando l'intera Irlanda stessa verso il default, come è già stato per la Grecia. Ieri alla Zanzara ne ha accennato brevemente anche la Serracchiani (non ci si poteva certo aspettare che lo facessero ospiti come la Zanicchi o Borghezio che ci rappresentano indegnamente in Europa).

L'Irlanda aveva costruito un periodo di crescita economica su agevolazioni fiscali per chi investiva, bolla immobiliare, e sviluppo del settore finanziario. Tutte attività che hanno potuto crescere finché non si è stati costretti a guardare al debito ed al rischio.

Quando si è guardato al debito pubblico, ci si è accorti che un'aliquota al 12,5% attira un sacco di investimenti, ma non al punto di coprire il fabbisogno pubblico di uno stato occidentale. Tutto funziona solo finché la massa degli investimenti continua a crescere. Il che non può avvenire all'infinito. Il debito pubblico è esploso, il disavanzo dell'Irlanda viaggia attorno al 15% del PIL.

Né in questo momento sarebbe pensabile di migliorare le cose aumentando le tasse tout court. Infatti, quando si è guardato all'indebitamento privato ci si è accorti che il valore degli immobili (e dei tanti beni acquistati a credito dagli indebitatissimi irlandesi) non aveva sufficienti garanzie, né conseguentemente una valutazione realistica. La bolla immobiliare è esplosa e con essa quella del credito, svelando che il tenore di vita degli irlandesi stava crescendo molto oltre quello che si potevano realmente permettere: molti irlandesi sono rimasti con debiti molto superiori al valore dei beni che hanno comperato indebitandosi, per di più essendosi velocemente abituati a spendere 100 per comperare quello che valeva 50, ma con uno stipendio che permetteva l'acquisto solo di ciò che costava 25.

Quando infine si è guardato al rischio ci si è accorti che il sistema bancario dell'isola aveva reso moltissimo in passato perché aveva assunto molti rischi. I debiti degli irlandesi, ormai esigibili solo in minima parte, sono solo un piccolo pezzo dell'esposizione di quel sistema finanziario, le cui banche erano state tra le più attive nelle operazioni speculative internazionali, ma non tra le più accorte a defilarsi in occasione del crollo. Infatti sono rimaste col cerino in mano e sono attualmente in condizioni pre fallimentari, con ciò sottraendo ulteriori risorse al bilancio statale. In sintesi quella irlandese si è rivelata in buona parte una falsa crescita economica, in quanto erosa e minata alle radici da un debito colossale.

In questo momento chi nel sistema bancario è esposto in Irlanda (come sembrerebbero essere le banche inglesi e parte di quelle tedesche) cerca di limitare i danni e di tamponare il tracollo delle banche irlandesi, mentre la Germania continua a premere (per la verità poco ascoltata) per ricondurre i governi UE a politiche di bilancio più rigorose, perché il salvataggio da un default formale dell'Irlanda (che sul mercato non troverebbe chi ne finanzi il debito, se non gli stati alleati per ragioni politiche) indebolirà comunque le casse della UE come già avvenuto in occasione dell'altrettanto formale salvataggio dal default della Grecia. Infatti gli stati che comperano il debito pubblico inesigibile di Grecia e Irlanda lo fanno a spese del proprio indebitamento.

E, a furia di indebolirsi, c'è da chiedersi quanto la UE possa pensare di contrastare la speculazione che di queste situazioni si avvantaggia. Diciamo che l'Irlanda verrà salvata. Riusciremo tra quattro/sei mesi a salvare il Portogallo, ipotizzando che sia quella la successiva tessera del domino? E cosa rimane in cassa per Spagna ed eventualmente Italia se la caduta delle tessere dovesse continuare? E se l'Italia finisse nel mirino degli speculatori prima degli altri, visto che ha un governo incapace e debolissimo?

Mi auguro che gli europei siano ancora in tempo per aggiungersi alla Germania nel tentativo di sei mesi fa di spuntare le unghie alla speculazione finanziaria, quando la Merkel proponeva il blocco delle vendite allo scoperto, l'istituzione di un'agenzia di rating europea ed altre iniziative volte a rendere il mercato europeo meno appetibile per gli speculatori e più sicuro per investimenti di lungo periodo, perché mi pare che allo stato attuale non vi siano tante proposte migliori per stabilizzare il vecchio continente, considerando i tanti paesi dalle economie ballerine che ne fanno parte, e perché gli speculatori sono stati lasciati nel frattempo liberi di operare e rinforzarsi.

E auspico che gli attuali traccheggiamenti dei politici italiani cessino quanto prima, perché in frangenti come questi abbiamo bisogno di un governo forte, coeso, attento alle esigenze dei cittadini, determinato e competente in campo economico, cosa attualmente impensabile.

Ciao

Paolo

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Fiorella Mannoia, "Il cielo d'Irlanda" (1992)




Dal Donegal alle isole Aran
e da Dublino fino al Connemara
dovunque tu stia viaggiando con zingari o re
il cielo d'Irlanda si muove con te
il cielo d'Irlanda è dentro di te...

martedì 23 novembre 2010

Quelli che benpensano

Secondo post del giorno, qui sotto, di Authan. Il primo era di Paolo.

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Qual era già quel partito di cui si diceva rivendicasse per sé il primato della moralità, dell'integrità assoluta, dell'inscalfibile rettitudine, della probità senza smagliature?

Era il Partito Comunista. Poi, col tempo, sul piedistallo si accomodarono altri movimenti, tra cui l'Italia dei Valori. Oggi, invece, ad ergersi a simbolo di ogni virtù è il turno della Lega. Lo si percepisce dalle parole del ministro Roberto Maroni, che la scorsa settimana a Matrix ha definito il movimento di cui fa parte “partito degli onesti”, e che a Vieni Via Con Me, ieri sera, ha ricordato come le inchieste sulle infilitrazioni delle 'ndrangheta in Lombardia “abbiano portato al coinvolgimento e persino all'arresto di esponenti politici di altri partiti ma non della Lega”.

Ebbene, io dico attenzione, cari leghisti. Quando entra in gioco la pretesa di essere infallibili, di essere duri e puri, quando non si ascoltano le critiche a prescindere da chi sia a formularle, quando l'autostima diventa egocentrismo, succede che si finisce con il perdere le inibizioni. Se si smette di guardare dentro se stessi, se si abbassano le proprie difese, anche i sentimenti e i propositi più nobili possono soccombere all'intrinseca corrompibilità del potere. Nessuno ne è immune. Di presunta immacolatezza si può morire.

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Il contributo multimediale di oggi non è un tocco finale, ma è il cuore del post.

Frankie HI-NRG MC, "Quelli che benpensano" (1997)




Sono intorno a me, ma non parlano con me
Sono come me, ma si sentono meglio...


Miracoli con data di scadenza

Oggi due post. Qui sotto Paolo, a parte Authan.

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[Paolo]

Buongiorno.

Questo governo, sia in campagna elettorale che dopo, ha puntato moltissimo su alcune "bandiere" che avrebbero dovuto qualificarne l'azione. A distanza di poco meno di tre anni dalla sua elezione è possibile cominciare a riassumere quali siano stati i risultati nei vari campi cui si è molto clamorosamente applicato.

Alitalia
L'intervento di SB in campagna elettorale fece saltare la bozza di accordo con Air France, allora disposta a pagare per rilevare la compagnia, perché Alitalia doveva restare il biglietto da Visita nel mondo e bisognava quindi preservarne l'italianità. Oltre a rimetterci i soldi offerti da Air France, gli italiani pagarono centinaia di milioni di euro per spingere la cordata italiana denominata CAI. Alitalia attualmente ha come primo azionista Air France, praticamente non vola all'estero e opera in Italia col vantaggio dei prezzi di monopolio sulle principali rotte. Non mi pare che tutto ciò valesse una spesa attorno al miliardo.

Sicurezza
La scelta di utilizzare indiscriminatamente uno strumento emergenziale quale l'impiego dell'esercito per garantire l'ordine pubblico era nata come ovvia conseguenza di alcuni eventi particolarmente efferati, quali l'omicidio con stupro della Caffarella o quello con l'ombrellata nella metro di Roma. Pochi giorni fa ci raccontavamo degli omicidi del tassista milanese o dell'infermiera nella metro di Roma. Direi che nella pratica la risposta semplicistica ad una reazione emotiva non ha sortito risultati. Forse perché non sono decollate le ronde…

Rifiuti di Napoli
A due anni dal miracolo di aver ripulito Napoli dai rifiuti in pochi giorni si “scopre” che il miracolo aveva il respiro cortissimo. Non è stata attuata alcuna significativa operazione strutturale (con l'eccezione della parziale apertura di una delle tre linee dell'inceneritore di Acerra), ma sono state riaperte, con pregiudizio dell'ambiente circostante, le vecchie discariche già sature. Adesso non più possibile nemmeno nascondere la polvere sotto il tappeto. O mmiracolo è stracco.

Pubblica Amministrazione
Brunetta ha martellato i media con la sua campagna anti fannulloni, vantando risultati mirabolanti sul fronte delle assenze. Gli indicatori di prestazione della PA però (dal fabbisogno pubblico alle liste di attesa –il cui dato è stato pubblicato da Cittadinanzattiva nei giorni scorsi-, per citarne un paio) sono però peggiorati negli ultimi tre anni. Aver ridotto le assenze non ha migliorato le prestazioni della PA.

L'Aquila
Le New Town sono l'equivalente odierno delle baraccopoli del '76. Per fortuna al giorno d'oggi è possibile costruire velocemente dei più confortevoli prefabbricati in luogo dei container di una volta. Ma in Friuli, a due anni dal sisma, la ricostruzione era ben avviata ovunque e le comunità erano rimaste unite. Il centro dell'Aquila invece è sostanzialmente inaccessibile e ancora invaso dai detriti, mentre gli aquilani sono dispersi un po' ovunque in Abruzzo. Nemmeno questo miracolo ha resistito al tempo.

Immigrazione clandestina
Gli accordi con la Libia hanno limitato moltissimo gli sbarchi dei clandestini. Che però erano una frazione minima del flusso (veniva stimata nel 10% degli ingressi). Ciò ha avuto un prezzo politico molto rilevante: la Libia sta esercitando un potere di ricatto molto forte sull'Italia, giungendo a sparare sui pescherecci italiani dalle motovedette fornite dall'Italia stessa e rese operative da militari italiani.

La crisi
L'approccio "negazionista" che voleva che la crisi fosse un fenomeno psicologico e che ne saremmo usciti prima e meglio degli altri, continuando a spendere come privati ed operando poche mosse come stato (social card e tagli orizzontali) viene smentito ormai quotidianamente: l'Italia cresce meno del resto dell'Europa, né le previsioni permettono di sperare in una inversione di tendenza.

La stabilità politica
Si è passati dal partito dell'amore al partito del rancore, passando attraverso il “Che fai, mi cacci?” del ditino di Fini. Il dubbio ormai è sempre più non se si andrà alle elezioni anticipate, ma quando.

La politica per la famiglia
Dopo il Family day il governo si è talmente speso per la famiglia che all'ultimo Forum per la famiglia gli organizzatori hanno dichiarato apertamente il loro imbarazzo all'idea di dover ascoltare il discorso del premier.

La scuola ed i giovani
La disoccupazione giovanile italiana non è mai stata così grave, mentre la tanto sbandierata riforma del "maestro unico" si è tradotta (parlo per esperienza mia e di amici, sarei lieto di avere una smentita da qualcun altro) in una mera riduzione di offerta formativa. Ai giovani si stanno sottraendo lavoro e competenze per trovarlo.


Questa sorta di decalogo del fallimentare governo attuale ha un unico comune denominatore: per ogni problema è stata proposta una soluzione semplicistica, che non ha retto alla prova dei fatti. Questo modo di affrontare i problemi complessi è tipico dei dilettanti. Il mio invito è a far sì che il prossimo governo sia di professionisti. Perché tutti sono capaci di promettere miracoli, ma poi a farli veramente non c'è nessuno.

Ciao

Paolo

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Fabrizio De André, "Il testamento di Tito" (1970)




lunedì 22 novembre 2010

Liberali o libertini?

Secondo post del giorno, qui sotto, a firma di Paolo, così come il primo.

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[Paolo]

Buongiorno,

è da molto tempo che sento tuonare ogni due per tre a favore della difesa delle libertà personali, in particolar modo quando questa difesa serve a preservare il nostro Premier da speculazioni relative alle conseguenze della sua disinibita vita privata. Chi lo fa, di solito fa appello ai principi liberali che tutelano il diritto di ognuno di operare autonome scelte personali nella sfera privata.
Tutto sacrosanto nella teoria ed in gran parte condivisibile anche nella pratica.

Poi capita che i paladini degli ideali liberali decidano di mortificare la richiesta di molte persone di poter disporre della propria vita e della propria morte secondo la propria volontà, diramando circolari volte a togliere ogni validità ai registri comunali nei quali chi lo avesse voluto avrebbe potuto iscrivere la propria volontà sul fine vita. In questo caso il braccio armato dei liberali d'assalto è composto dal dream team di ministri Maroni – Sacconi – Fazio.

E capita ancora che, più o meno negli stessi giorni, in altro campo, il ministro Tremonti decida di tagliare del 75% i fondi del 5 per mille, cifre di cui ogni singolo contribuente aveva scelto la destinazione, avvalendosi di uno strumento che valorizza le scelte personali in materia fiscale e sociale (e, tra parentesi, per utilizzare una frase abusata, mettendo le mani nelle tasche degli italiani, e proprio nella parte cui evidentemente tenevano di più, visto che l'adesione era facoltativa).

E non basta: vi è poi chi, in parlamento, ritiene sulla base del rispetto delle idee personali di chiara matrice liberale di dover fotografare una collega di partito impegnata in un colloquio con un avversario politico (avversario forse è forse una parola grossa, visto che sinora sembra intenzionato a garantire le fiducia al governo…) con l'intenzione di provarne il tradimento, come ha fatto la Mussolini con il ministro Carfagna (so che accostare il nome Mussolini alla parola liberale ha un che di grottesco, ma tant'è…).

O ancora chi, come abbiamo visto nel post di qualche giorno fa, ritiene, pur senza essere stato direttamente chiamato in causa, che una osservazione in verità piuttosto banale come quella fatta da Saviano circa la penetrazione della 'ndrangheta al Nord debba prevedere una "riparazione" pubblica, con buona pace della libertà di opinione. E si tratta nuovamente del ministro Maroni.

Dopo questa piccola salva di perle dei liberali de noantri, mi viene un dubbio che credo più che legittimo. Non è che hanno fatto casino e non gli è chiara la differenza tra liberale e libertino? Si spiegherebbero molte cose…

Ciao

Paolo

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(Paolo) Un frammento del "Don Giovanni" di Mozart.




Si stava meglio quando si stava peggio, o viceversa

Oggi due post, entrambi di Paolo. Qui sotto il primo, a parte il secondo.

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[Paolo]

Buongiorno,

solo una piccola nota sullo scambio di battute intercorso in una delle ultime trasmissioni tra Cruciani e Parenzo a commento dell'affermazione di un ascoltatore secondo il quale la condizione di un operaio era migliore trent'anni fa rispetto a oggi.

Dal mio punto di vista il tema posto in quei termini era abbastanza ozioso. Come chiedersi se fosse più forte Pelè oppure Maradona. In trent'anni le cose sono talmente cambiate che ha poco senso porsi il problema di meglio o peggio, perché il percorso è stato di differenziazione a tutto campo, non semplicemente di miglioramento o peggioramento.

Il punto non è quindi che Parenzo fosse abbastanza in sintonia con l'affermazione dell'ascoltatore e Cruciani, ovviamente, no, ma che le analisi portate avanti da entrambi sono state troppo riduttive e superficiali, al punto che nessuno dei due si è nemmeno posto il problema di “quale” operaio di oggi considerare. Da cazzeggio con lo spritz.

Perché, se trent'anni fa gli operai potevano considerarsi una categoria entro certi limiti omogenea (limiti piuttosto ampi: da quanto ricordo la retribuzione di livelli equivalenti di contratto metalmeccanico piuttosto che energia piuttosto che chimico portava a stipendi che stavano grosso modo in rapporto 1 : 1,5 : 2 ), oggi tale omogeneità è definitivamente scomparsa. Un precario non solo prende molti soldi in meno del suo equivalente a tempo indeterminato, indipendentemente dal tipo di contratto, ma perde tutta una serie di benefici (a partire dalla concreta possibilità di accendere un mutuo per la casa o beneficiare di una pensione). Le distanze sono diventate talmente grandi che parlare dell'operaio in termini onnicomprensivi non ha più alcun senso.

Al di là di questo alcune considerazioni che ho sentito mi hanno fatto cadere le braccia: Cruciani, che giustamente insisteva sulla maggior sicurezza degli ambienti di lavoro odierni, aveva sostanzialmente un'unica altra cartuccia: “Oggi vai a New York con 500 €!”. Ad una persona che guadagna 800 € al mese (e con queste deve mangiare e pagare l'affitto) secondo voi la cosa può interessare? Forse per emigrare.

Parenzo da parte su andava un po' meglio, ricordando come le retribuzioni di un tempo permettessero agli operai di acquistare casa ed auto, nonché di andare in ferie e garantire gli studi ai figli. E di avere una prospettiva di un futuro migliore. Ma rovinava tutto insistendo pesantemente sul fatto che allora la classe operaia aveva un peso maggiore nelle rivendicazioni contrattuali (se fosse stato vero probabilmente gli operai di oggi non si chiederebbero se si stava meglio una volta…).

Sarebbe stato invece interessante ragionare un po' meno schematicamente…

Ciao

Paolo

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(Authan) Giorgio Gaber, "Gli operai" (1972)




venerdì 19 novembre 2010

Una questione personale

Da tempo mi domandavo il motivo del repentino cambiamento di atteggiamento Giuseppe Cruciani nell'inquadrare il fenomeno Roberto Saviano, un tempo difeso a spada tratta e successivamente, a partire da un certo momento in poi, trattato come una pezza da piedi.

Da ieri, finalmente, è tutto chiaro. Due minuti di ira funesta crucianesca hanno spiegato tutto. Eccoveli in audio.



Avrei dovuto arrivarci prima in autonomia, visto che gli indizi c'erano tutti. Insomma, per farla breve, è una questione personale. Non "tra i due", ma solo di Cruciani nei confronti di Saviano. Unidirezionale.

Ma al fine di capire meglio di cosa Saviano sia accusato di preciso, val la pena riepilogare per bene tutta la storia partendo dal principio.

Sullo sfondo c'è la vicenda dell'ex terrorista Cesare Battisti, forse la più grande fissazione di Cruciani, culminata in un libro con tanto di dettagliate ricostruzioni giudiziarie alla Travaglio, estratti di sentenze, plauso al lavoro dei giudici sul lavoro dei quali, non essendoci di mezzo Berlusconi, non si eccepisce nulla (non che per il tenutario di questo blog ci sia qualcosa da eccepire, intendiamoci). Tutto legittimo, e anzi pure comprensibile e condivisibile, fatta eccezione per quei tratti di ossessività maniacale del conduttore di cui ad esempio, come stiamo per spiegare, Saviano è stato fatto oggetto.

Ebbene, Saviano è colpevole di non far parte di chi, col coltello tra i denti, è in prima linea per esigere l'estradizione di Battisti in Italia. In altre parole è colpevole di non pensarla come Cruciani. Che per uno che, e mi riferisco al conduttore, si picca di essere un liberale, è il colmo.

Ma facciamo un passo indietro, perché è fondamentale recuperare tutti i tasselli per completare il puzzle. Nel 2004, l'allora sconosciuto venticinquenne Roberto Saviano, che avrebbe pubblicato Gomorra solo due anni dopo, firma un appello pro Battisti predisposto dal sito della fanzine letteraria online Carmilla. Battisti era stato da poco arrestato in Francia, paese nel quale, convertitosi in scrittore di romanzi gialli, viveva liberamente, alla luce del sole e non in clandestinità. Pur sempre latitante, sì, ma solo formalmente in quanto protetto dalla cosiddetta "dottrina Mitterand".

Fu quella di Saviano una firma convinta? O fu invece lasciata con leggerezza, magari solo per sentirsi parte di un "giro che conta" (l'appello fu firmato da moltissimi scrittori di successo, intellettuali, poeti...)? Non si sa. Fatto sta che, quando nel 2009 il caso Battisti, nel frattempo rifugiatosi in Brasile e lì nuovamente arrestato, torna alla ribalta, a Saviano viene chiesto conto di quella dannata adesione al summenzionato appello. Per tagliare la testa al toro, Saviano, con una esplicita comunicazione al sito di Carmilla, ritira la sua firma, della quale peraltro lascia intendere non avesse neppure memoria. “Non so abbastanza di questa vicenda”, scrive inoltre Battisti nel suo messaggio a Carmilla. “Non mi appartiene questa causa [quella pro Battisti]. E' una storia dolorosa, con strascichi infiniti. Chiedo quindi di togliere il mio nome, per rispetto a tutte le vittime”.

Per Cruciani, che sul caso Battisti sta scrivendo un libro finalizzato ad elencare, in una sorta di lista nera buona per una pubblica gogna, tutti gli "amici del terrorista", la vicenda della firma pro Battisti fa sì che Saviano, fino a quel momento tenuto in grandissimo conto nei commenti alla Zanzara per la sua attività di divulgatore anti-camorra, si trasformi in una preda da spolpare. Un nome importante da spendere, un vip che nella black list farebbe un figurone. I libri, in fondo, sono scritti per essere venduti.

Come egli stesso racconta nel suo libro (di cui un passo viene ripreso dal Tempo nel maggio 2010), Cruciani contatta Saviano e cerca di approfondire la questione della famigerata firma. Saviano ribadisce le sue motivazioni già espresse al sito Carmilla, limitandosi ad aggiungere: “il terrorismo di ogni colore mi ripugna. E le mafie che io studio e racconto sono ben altra cosa”. Cruciani non si accontenta, vuole lo scalpo. “Sei favorevole o no all'estradizione di Battisti?”, chiede allo scrittore senza giri di parole. Saviano si limita ad una risposta equivoca: “La vicenda Battisti ha molte contraddizioni processuali e indubbie ambiguità. Va risolta attraverso il diritto”.

Apriti cielo. Cruciani, come si diceva a inizio post, ne fa una questione personale. Da quel momento, Saviano perde il posto nello zanzaresco girone dei giusti, e diventa un bersaglio mobile, un santino degli antiberlusconiani, un firmaiolo qualunque degli sciocchi appelli di Repubblica, uno della banda di Radio Londra.

E questo perché? Perché l'aver svicolato da un tema che evidentemente Saviano non conosce a fondo, che non lo appassiona (non perché non sia meritevole di attenzione, ma banalmente perché egli si occupa d'altro), e sul quale non ha convinzioni radicate è agli occhi di Cruciani una colpa imperdonabile da punire con il marchio dell'infamia. Se non si ha a cuore il caso Battisti, se non si è in prima fila accanto a Cruciani su questo fronte, non si ha titolo per parlare di legalità, di lotta alla criminalità, di rapporti tra mafia e politica. Questo è il crucianesco assioma.

Ha senso tutto ciò? Secondo me no. Ma neanche tanto così. La non-posizione di Saviano su Battisti non significa nulla e non lo sminuisce quale esperto di cose di mafia e di legalità. Lo scrittore non è affatto tenuto ad entrare nel merito della questione Battisti che non c'entra nulla con i temi di cui si occupa e men che mai è tenuto a “dare spiegazioni all'Italia” (incredibile) sulle sue opinioni e sulle sue non-opinioni riguardo l'ex terrorista. L'assioma crucianesco di cui sopra è semplicemente imbarazzante. E avere sprezzo di chi ha idee diverse dalle proprie. E' l'antitesi del pensiero liberale. Che pena. Che tristezza. Che delusione.

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PS. A scanso di equivoci, si precisa che questo blog è stra-stra-stra-favorevole all'estradizione dei Battisti, e che quando ciò dovesse verificarsi una bottiglia di Dom Perignon del 1964 è pronta per essere stappata.

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Vasco Rossi, "Cosa vuoi da me" (2004)




Non ho tempo lo sai
Non ho tempo oramai
Per fare solo dei discorsi
Sono talmente disperato che spero che
Che spero che il cielo tramonti...

giovedì 18 novembre 2010

Mai dar da mangiare agli idioti

Le responsabilità di un ministro, riguardo un evento importante occorso nel dominio di sua competenza, devono essere attribuite con lo stesso metro sia per i fallimenti che per i successi. Chi pensa, e qui lo si pensa, che per Sandro Bondi fosse configurabile il principio della responsabilità oggettiva per il caso Pompei (di un evento di tale gravità quale il crollo della domus dei gladiatori il ministro dei beni culturali è comunque responsabile, anche in assenza di una specifica negligenza o di dolo) deve applicare lo stesso ragionamento, in direzione opposta, anche per lo straordinario risultato ottenuto ieri sul fronte della lotta alla criminalità, con l'arresto del boss della camorra Antonio Iovine.

Non trovo quindi ci sia nulla di scandaloso nel fatto che Roberto Maroni, come del resto avrebbe fatto qualunque ministro dell'interno di qualunque parte politica, abbia messo il cappello sulla cattura di Iovine. E' chiaro che i meriti sono da attribuire in prima istanza ai magistrati che conducono le inchieste e alle forze dell'ordine che agiscono sul campo, ma il ministro ha comunque un ruolo di indirizzo, di supervisione generale, di regia dall'alto che gli va riconosciuto. Insomma, complimenti a tutti, ministro incluso.

Ciò detto, a tutti coloro che scioccamente hanno ritenuto di strumentalizzare questo importante arresto per schernire Roberto Saviano dopo le recenti polemiche, dimostrando così di non avere capito nulla di nulla di quel che Saviano aveva inteso dire (su questo rimando al mio post di ieri), vorrei garbatamente far presente che se c'è uno che ha titolo per salire sul gradino più alto del podio in un momento come questo è proprio lo scrittore napoletano.

Come scrive giustamente oggi il quotidiano Europa, "chi era Antonio Iovane prima di Saviano"? In altre parole, quanta energia veniva profusa dallo Stato contro il clan dei casalesi prima che nelle librerie uscisse Gomorra, ovvero al tempo in cui al di fuori della provincia di Napoli di tale clan nessuno aveva mai neppure sentito parlare? Se un risultato lo si è raggiunto è anche per merito di chi, con coraggio, e accettando di mettere a rischio la propria vita, ha (cito ancora Europa) "acceso un faro sul Sistema". Solo chi è in malafede non può abbracciare e ringraziare Roberto Saviano in un giorno come questo. Guardandolo negli occhi, magari, e non per sfida ma per empatia.

Poi, se vogliamo sul serio spendere il nostro tempo a discettare sull'accostamento tra Maroni e "Sandokan" Schiavone avanzato da Saviano nella sua replica, su Repubblica, all'invettiva ("Vorrei un faccia a faccia con lui per vedere se ha il coraggio di dire quelle cose guardandomi negli occhi") del ministro dell'interno, facciamolo. E' stucchevole, ma facciamolo. In fondo bastano poche parole.

Voleva Saviano intendere che Maroni è pari a un boss della camorra? Ovviamente no, bisogna essere completamente idioti per pensare una cosa del genere. Sarebbe però stato meglio che Saviano si fosse risparmiato quell'accostamento, visto che comunque l'ambiguità prestava il fianco ad interpretazioni maliziose? Probabilmente sì. Mai dar da mangiare agli idioti.

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Death In December, "At Least Look Me In The Eyes When You Kill Me" (2006)




See my life through
Bloodshot eyes
We could be apart of something more
Apart of something more...


mercoledì 17 novembre 2010

Infangare la propria terra

Nel dicembre del 2009, intervistato per Panorama da Pietrangelo Buttafuoco, Roberto Saviano dichiarava, tra le altre cose:

Il Sud vive una situazione difficilissima, e le spinte del Nord a volersi occupare solo di se stesso, per non parlare di quelle più chiaramente razziste, non sono certo d'aiuto. Se passa l'idea che tutto ciò che è buono e produttivo sta a Nord, e che basta allontanare la parte malata perché la parte sana sia salva, è finita. Ed è finita, purtroppo, non solo la lotta per recuperare il Meridione, ma perché il Nord è terra d'investimenti e d'infiltrazioni enormi, che ormai c'entrano pochissimo con le residenze forzate o cose del genere.

Anche se il nome della Lega non veniva fatto, è evidente che lo scrittore si riferiva al partito del Carroccio. Certo, il messaggio è più edulcorato rispetto al monologo che Saviano ha tenuto lunedì sera a Vieni Via Con Me, ma la sostanza è la stessa: la Lega, che in "Padania" politicamente la fa da padrone, non contrasta a sufficienza la penetrazione delle organizzazioni criminali nel nord. Non la mafia sporca che spara e che taglieggia, ma quella in giacca e cravatta che ricicla il denaro sporco.

Notare, Saviano non ha mai detto, né da Fabio Fazio né a Panorama, che la Lega sia pappa e ciccia con la 'ndrangheta. Ha solo rimarcato, citando inchieste in corso, che ci sono stati tentativi della criminalità di cercare dei riferimenti politici coi quali "interloquire" pure al nord e che su questo fronte occorrerebbe tenere gli occhi puntati, anziché gongolarsi od ogni blitz in Campania, Calabria o Sicilia al grottesco sloganle mafie saranno sconfitte entro tre anni” (proprio come il cancro...).

Pertanto, perché Roberto Maroni se la sia presa tanto per un concetto che Saviano aveva già espresso un anno fa senza strascichi lo sa solo il cielo. Proprio quel Maroni, peraltro, che lo stesso Saviano, nella summenzionata intervista a Panorama, lodava quale “uno dei migliori ministri degli Interni di sempre sul fronte antimafia”, frase che non passò inosservata e che anzi sfortunatamente oscurò tutto il resto del ragionamento dello scrittore campano.

Ma un anno fa Saviano era ancora uno da ascoltare, uno che, da esperto della materia, sapeva quel che diceva. Non c'era ancora quell'assurdo vestito da antiberlusconiano che i soliti ebeti sempre alla ricerca di un nemico da additare o di un "santino" da stracciare, gli hanno, suo malgrado, ritagliato addosso.

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Il centrosinistra ha responsabilità enormi nella collusione con le organizzazioni criminali. Le due regioni con più comuni sciolti per mafia sono Campania e Calabria. E chi le ha amministrate negli ultimi 12 anni? Il centrosinistra. Ma io questa cosa l'ho detta e ridetta, l'ho fatta presente in vari articoli e interventi. E per questo mi sono meritato la fama di essere uno che, per interesse personale, infanga la sua terra. (Roberto Saviano su Panorama, dicembre 2009)

Gli uomini che infangano la propria terra, signori miei, sono ben altri.

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Paolo Conte, "Via con me" (1981)




It's wonderful, it's wonderful, it's wonderful
Good luck my babe
It's wonderful, it's wonderful, it's wonderful...


martedì 16 novembre 2010

La selezione della classe dirigente

[Il post di oggi è di Paolo]

Buongiorno,

nei miei post ho spesso stigmatizzato le modalità con le quali viene selezionata la classe dirigente italiana, allineandomi in fondo ai luoghi comuni più diffusi: che si tratti di pubblico, politica o privato familismo, fedeltà e cooptazione nel nostro paese sono criteri ben più utilizzati della meritocrazia.

Non voglio parlare del privato, ma in ambito politico negli anni recenti il fenomeno è risultato parossistico: alla Zanzara di ieri David Parenzo ricordava l'elenco dei "padri nobili" del PDL, elenco che segnava una distanza siderale dalle attuali candidature infarcite di volti noti di sport e spettacolo, di amici personali, di amanti e collaboratori aziendali (e Giorgio Straquadanio, ospite telefonico, rimarcava: “Perché, pensate che Martino o Colletti portassero voti?”).

A sinistra il problema esiste in termini forse leggermente minori, ed era sicuramente meno visibile sino a quando non è subentrato il meccanismo delle primarie, che ha reso palese come il PD stia operando una serie di scelte politiche al ribasso e talvolta suicide, volte a garantire una rendita ai membri dell'apparato prima ancora che un buon risultato politico ed elettorale.

Stamattina Luca Telese a Prima Pagina, la rassegna stampa mattutina di RadioTre, citava una serie di evidenti errori commessi dal PD nell'interpretare i desideri del proprio elettorato: si va dal candidato sindaco Rutelli che perde prendendo meno voti (nel comune di Roma) del presidente della Provincia del suo stesso partito, a candidati osteggiati alle primarie dal PD come Vendola, Renzi ed adesso Giuliano Pisapia, che però vincono largamente le primarie e, spesso, anche il confronto con l'avversario politico di altra estrazione.

Ieri sera, per la prima volta, mi è sembrato di vedere in questa materia il concretizzarsi del più normale dei comportamenti in queste situazioni: di fronte alla sconfitta del candidato del PD (Stefano Boeri, battuto da Pisapia) alle primarie per il comune di Milano, i dirigenti locali del partito hanno tratto le conseguenze del loro errore e, ammettendo di non essere in grado di interpretare le richieste dell'elettorato di centro sinistra, hanno dato le dimissioni. Che qualcosa cominci a muoversi anche nel PD? Devo forse aspettarmi che il PD voglia svoltare scegliendo i candidati sulla base delle capacità politiche? E magari devo anche aspettarmi che un domani i candidati si presentino, oltre che sulla base di una faccia e di un curriculum, a fronte di un programma politico concreto e realizzabile? Perché se è così, c'è il rischio che io li voti…

Lo so, sono un inguaribile sognatore…

Ciao

Paolo


Primarie


lunedì 15 novembre 2010

La Rai non è un servizio pubblico

Secondo post del giorno, by Authan. Il primo era di Paolo.

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Ogniqualvolta sento l'espressione "servizio pubblico" riferita alla Rai metterei volentieri mano alla pistola, se solo ne avessi una. E' ora di finirla con questa manfrina.

La Rai, al di là delle note interferenze della politica sulle quali ora non voglio soffermarmi, è un'azienda che sta sul mercato radiotelevisivo, in un regime di concorrenza, con l'obiettivo di fare utili. Da questo punto di vista non c'è nessuna differenza tra Rai e Mediaset. Sono, dal punto di vista commerciale, due aziende speculari. Poi capita che la Rai, incidentalmente, per eredità storica, sia di proprietà dello Stato, ma ciò non modifica il fatto che l'azienda ragiona – parlo sempre dal punto di vista economico – da azienda privata, reiterando i programmi di successo e cancellando quelli che fanno flop.

L'obiettivo della Rai non è quello di fornire un servizio di base alla cittadinanza, come fosse una farmacia che fa i turni di notte e nei festivi, ma quello di spingere il maggior numero di telespettatori a sintonizzarsi sui propri canali al fine di vendere al prezzo più alto possibile gli spazi pubblicitari. E' l'audience il faro al centro di tutto, non la fantomatica filosofia del servizio pubblico.

Ecco, questo è il punto in cui qualcuno a caso dovrebbe saltarmi al collo strillando "Come sarebbe a dire che non è un servizio pubblicooooo! Il canoneeeee! La Rai si finanzia in larga parte col canoneeeee!".

Insisto. La Rai non è un servizio pubblico. Non è pensata per esserlo, non ragiona per esserlo, e non intende diventarlo. Quindi non c'è alcun motivo al mondo per cui la Rai sia finanziata con le tasse dei cittadini. L'errore non è il non essere servizio pubblico, l'errore è aspettarsi o pretendere che lo sia o che lo diventi. Per uscire dall'impasse la strada maestra sarebbe privatizzare la Rai (opzione che comporterebbe anche la fine delle interferenze della politica), oppure, in alternativa, ristrutturare la Rai in modo tale che l'azienda sia in grado di autofinanziarsi con la sola pubblicità e/o con veri abbonamenti, liberi e opzionali (stile Sky, Mediaset Premium, etc.), e non obbligatori per legge come avviene con l'attuale canone. La vera anomalia della Rai, quella che andrebbe cancellata domani mattina, è in definitiva l'esistenza stessa del canone.

Tutta la sbrodolata qui sopra serve ad arrivare a questo: le discussioni sulla trasmissione di Fazio e Saviano che stasera ospiterà due brevi interventi di Gianfranco Fini e Gianluigi Bersani sono semplicemente ridicole. Gli autori della trasmissione hanno messo insieme gli ingredienti a loro opinione più funzionali ad ottenere il massimo successo di audience. Questo obiettivo si raggiunge dando al pubblico ciò che il pubblico più gradisce, e di sicuro al pubblico di Fazio e Saviano, il "ceto medio riflessivo" come lo chiama Aldo Grasso, le apparizioni di Bersani e Fini saranno ingredienti che piaceranno. Il concetto di servizio pubblico non c'entra nulla, sia in chi tira in ballo tale concetto da destra parlando di attacco al pluralismo e di propaganda, e sia in chi lo fa da sinistra qualificando come servizio pubblico solo i programmi più impegnati e meno frivoli.

Nota. Il discorso sarebbe diverso se fossimo in prossimità di elezioni e in regime di par condicio (che riguarda tutti i mezzi di informazione, non solo quelli di proprietà dello Stato), ma così non è.

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"La televisione che felicità" è un bella canzone di Edoardo Bennato datata 1987. Non sono riuscito a trovare la versione originale, ma solo un remake del 2005 ad opera dello stesso Bennato in coppia con Max Pezzali. Accontentiamoci.




La televisione che felicità
un programma giusto per ogni età
Nella solitudine di tutta la città
la televisione ci salverà...


Tempi duri per tutti quando Berlusconi non detterà più l'agenda

Oggi due post. Qui sotto Paolo, a parte Authan.

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[Paolo]

Buongiorno,

Pur sapendo che Berlusconi ha sette vite come i gatti, e pur credendo che, in caso di elezioni, il cavaliere oggi porterebbe comunque a casa il maggior numero di consensi, ed un forte potere di condizionamento, sono anch'io convinto che la sua parabola abbia preso una piega discendente.

E non tanto per lo spettacolo ben descritto da Filippo Facci nel suo articolo di ieri, sicuramente e tragicamente veritiero sino in fondo, ma anche reversibile (in caso di affermazione del cavaliere, gli stessi che stanno scappando sono prontissimi a corrergli in soccorso, nella miglior tradizione degli opportunisti italiani - ci sarebbe peraltro da chiedere a Facci come gli sia stato possibile essere anche solo minimamente a favore di una tal masnada di approfittatori, in passato…).

Che fosse o no al governo, Berlusconi negli ultimi sedici anni ha sempre dettato di fatto l'agenda politica, esercitando direttamente o indirettamente un potere di condizionamento enorme sullo scacchiere italiano, riuscendo ad imporre temi imprevisti anche partendo dalle posizioni di opposizione (si pensi alla questione sicurezza prima delle ultime elezioni, ad esempio…).

Vederlo in questi giorni subire le diverse inclinazioni di Fini è uno spettacolo assolutamente insolito, cui non siamo abituati. Anche le risposte e le reazioni alle iniziative del Presidente della Camera, le pretese di elezioni per un solo ramo del parlamento, quelle di imporre lo status quo o nuove elezioni, l'apparire in ritardo e solo dopo pesanti sollecitazioni sulla scena di un disastro (!)… appaiono in qualche modo inadeguati tentativi del cavaliere di puntellare il proprio precario equilibrio politico, e non sono certo i messaggi semplici, definiti ed attenti all'immagine che il presidente del consiglio mandava sino a poco tempo fa e che gli erano valsi un consenso popolare con pochi precedenti.

Per contro la capacità di Fini di mantenere il controllo del boccino ed imporre le tematiche all'attenzione dell'agone politico, gli stanno attribuendo specularmente un peso politico superiore alla rappresentanza. In questo particolare momento Fini sta vincendo alcune battaglie (non certo la guerra) contro l'ex alleato/padrone le sue stesse armi e sul suo stesso campo.

Quali che siano gli sviluppi futuri, credo comunque che questa situazione non sia recuperabile e che, quindi ci si debba preparare ad affrontare un problema nuovo: i politici italiani, oltre a dover imparare a lavorare senza riferirsi alle categorie del berlusconismo e dell'antiberlusconismo, dovranno imparare a definire i propri calendari e le proprie priorità, a differenza di quanto hanno fatto sinora, in quanto tutto era imposto, volenti o nolenti, dal cavaliere. Chissà se lo sapranno fare…

Ciao

Paolo



Giannelli


venerdì 12 novembre 2010

L'inventore di favole

Sia chiaro, quello che Vittorio Feltri ha fatto a Dino Boffo è semplicemente vergognoso dal punto di vista umano innanzi tutto, oltre che deontologicamente inqualificabile. E per quanto militirazzata e guerrigliera sia oggi la stampa cosiddetta "d'opinione", di casi accostabili per gravità e per carenza di etica alla vicenda Boffo, anche solo alla lontana, non ne ricordo neppure mezzo.

Ciò detto, però, se si pensa che l'ordine dei giornalisti non abbia ragione d'esistere, e anche da queste parti lo si pensa, non si può poi inneggiare agli atti che tale ordine produce solo perché magari essi colpiscono un direttore di testata di cui si disapprova l'operato. Non c'è modo di scappare da questo ragionamento. Ecco perché la sospensione di tre mesi per l'ex direttore del Giornale, sancita ieri proprio in conseguenza della vicenda Boffo, non può essere accolta con entusiasmo.

Feltri meriterebbe una punizione, certo. Ma il mestiere del giornalista non è come quello del calciatore, per il quale esiste una commissione disciplinare avente titolo per infliggere tot giornate di squalifica. Qui c'è di mezzo un bene superiore: la libertà di stampa. Anche quella di fare pessima stampa.

In altri lidi, un giornalista che violi così palesemente i principi basilari dell'etica professionale verrebbe allontanato dal proprio editore, tentando così di porre rimedio al danno d'immagine subito dalla testata e alla conseguente perdita di lettori. Una sorta di condanna sociale. So bene che nell'assortimento delle italiche anomalie questo semplice scenario nel caso di Feltri non trova applicazione, ma se la possibile cura risulta peggiore del male, alla fine, forse, è meglio tenersi il male.


Favole



Read between the lines lies


giovedì 11 novembre 2010

Tremonti strikes back!

[Post di Paolo]

Buongiorno,
ho sentito l'urlo di dolore di Authan [che ha l'emicrania. Grazie, Paolo] e quindi, tadadada tadada tadadada ta da da da da (musichetta di Indiana Jones) , provo a porci una piccola pezza, se sono in tempo, con un piccolo post OT.

Ho scoperto in questi giorni che la nuova finanziaria cancella una parte degli incentivi economici al miglioramento dell'efficienza energetica degli edifici. In pratica lo stato sceglie di non incentivare più chi decide di acquistare una stufa a legna (io l'ho fatto) o a pellet, una caldaia a condensazione o dei pannelli solari per la produzione di acqua calda, oppure chi decide di migliorare la coibentazione di casa sua. Rimarranno in misura ridotta gli incentivi al fotovoltaico.

Quali saranno i risultati, dal punto di vista dello Stato? A favore della decisione pesa sicuramente il fatto che, nell'immediato si risparmiano i soldi dei contributi. In tempi appena un po' più lunghi però cosa comporterà la rinuncia all'adozione di misure che rendano gli edifici energeticamente più efficienti? Non parlerò di aspetti ecologici (se no qualcuno penserà che sono il solito talebano rompicoglioni), ma dovremo ragionevolmente aspettarci:

1) Maggiori acquisti di combustibili (= peggioramento bilancia commerciale)
2) Aumento dei costi energetici ( derivante da una maggiore domanda)
3) Aumento delle emissioni di CO2 in atmosfera (= peggioramento delle quote verdi relative)
4) Depressione del settore edilizio (= aumento disoccupazione e riduzione del PIL ed delle entrate tributarie)
5) Aumento del “nero” in edilizia (= minori entrate tributarie)

In sintesi, ancora una volta, si sta scegliendo di ipotecare il futuro a favore dell'immediato presente, senza un disegno strutturale. Gli incentivi di cui si parla erano stati considerati un grosso successo proprio perché, a fronte di un contributo statale sicuramente molto importante, avevano permesso a molti piccoli risparmiatori di investire in beni e servizi utili, privi di rischio, promuovendo la crescita di un settore economico importante e la parziale normalizzazione fiscale di un comparto (quello edilizio) che ha tradizionalmente operato in larghissima parte in regime di evasione fiscale pressoché totale.

Si sta parlando di rinunciare a tutto questo. C'è una unica ipotesi alternativa al fatto che per questi motivi Tremonti debba essere considerato "il solito genio di grande lungimiranza" ed è che l'orizzonte politico del ministro sia di settimane, non di mesi.

Saluti

Paolo

mercoledì 10 novembre 2010

Specchio deformante

Quando ieri ho sentito della votazione alla Camera riguardo i rapporti Italia - Libia e i famosi respingimenti, con la maggioranza battuta su tre emendamenti delle opposizioni, appoggiate (a mo' di avvertimento stile "facciamo sul serio") dai deputati di Futuro e Libertà, ho pensato subito: chi potrà essere così cretino, o così in malafede, o entrambe le cose, al punto da sintetizzare l'accaduto con un titolo del tipo “Fini rivuole i barconi dei clandestini”?

Ebbene, il grande manganello, col cugino manganellino, e con la cerbottana di bambù non ci sono andati poi lontani, mentre ha fatto pieno centro, invece, il blog del pasdaran Daw, la cui virulenza fa impallidire persino il colonnello Feltri e il caporale Sallusti.

E poi certi conduttori radiofonici hanno il coraggio di dire che questo giornalismo - perché anche i titoli sono giornalismo - è speculare a quello di Repubblica. Ma per favore. Si vede che a casa Cruciani ci sono solo specchi deformanti.


Feltri e Sallusti


martedì 9 novembre 2010

Il rinnegato

Ma come! Oliviero Toscani a In Onda, sabato scorso, afferma che “gli elettori di Berlusconi sono degli italioti rincoglioniti dalle sue televisioni” e alla Zanzara si fa finta di niente? Italo Bocchino, poi, sempre nella trasmissione del desaparecido Luca Telese (domenica, stavolta) intima al cavaliere di non “abbarbicarsi dentro Palazzo Chigi come Saddam Hussein” e negli studi milanesi di via Monterosa non si alza neanche un sopracciglio? Si vede che la recente dose da cavallo di Sonia Alfano sta bastando ed avanzando. E comunque, le radiolondrate di una volta sono storia. Non che la cosa dia particolare fastidio, intendiamoci.

[UPDATE 10/11/2010. Entrambi i clip audio, sia di Toscani che di Bocchino, hanno poi fatto capolino alla Zanzara della sera del 9 novembre. Ma sicuramente non c'è relazione causale con le visite quotidiane che questo blog riceve da voi-sapete-chi. Ah, le coincidenze...]

In compenso, sul fronte Gianfranco Fini dopo il discorso di questi a Bastia Umbra, alla Zanzara siamo ancora fermi al palo. Passano i giorni, le settimane, i mesi, e i commenti del conduttore principale, Giuseppe Cruciani, non si schiodano dalla banalità e dalla monotonia del Fini rinnegato che sputa nel piatto dove ha mangiato per sedici anni. Che noia. Pensavo avessimo superato quella fase. E invece no, siam sempre lì ancorati alle fregole della sora Lella. Ops, pardon, di Donna Assunta.

Eppure ne abbiamo parlato fino allo sfinimento e sul tema sono stati scritti articoli in gran quantità. La politica evolve, le persone cambiano, le idee progrediscono. Capita che i vecchi nemici giurati diventino semplici avversari a cui si deve rispetto, o magari addirittura interlocutori. E capita che nei confronti degli amici di una volta, dei soci, dei padrini, dei mentori si perda fiducia e stima. E' successo milioni di volte. Se tutto questo è spontaneo, frutto di riflessioni intime, e non di mero opportunismo da mastelliana banderuola della politica, qual è il problema?

Davvero qualcuno crede che le opinioni maturate da Fini negli ultimi anni (anni, non mesi. Le prime avvisaglie risalgono al 2005 con il sì ai referendum sulla fecondazione assistita) sull'immigrazione, sui temi etici, sui diritti civili, sulla laicità dello stato, sull'omofobia (la famosa frase sugli omosessuali che non possono fare i maestri elementari, risalente al 1998, è stata poi abiurata), sull'eredità del fascismo (stessa sorte, l'abiura, ha subito la definizione di Mussolini quale miglior statista del secolo), sulla giustizia, sull'etica pubblica, eccetera eccetera, siano frutto di un lunghissimo calcolo politico volto unicamente a disarcionare il cavaliere per pura brama di potere e nient'altro che brama di potere?

Ma come ***** si fa a sostenere che dietro Fini non c'è nulla, quando invece c'è, per la prima volta nella storia della Repubblica, un'idea nuova e moderna di destra? E' ridicolo, è avere la segatura al posto del cervello e il prosciutto sugli occhi. Fini vuole detronizzare Berlusconi? Ma certo! Ci sarebbe da stupirsi del contrario! Ciò è la naturale conclusione del processo evolutivo di cui l'attuale presidente della Camera è stato protagonista negli ultimi anni.

Questionare, poi, sulle modalità e sulla tempistica con cui Fini sta giocando la sua partita (perché fa il gioco del cerino?, perché non sfiducia il governo seduta stante?, ecc. ecc.) è addirittura grottesco. Significa ignorare o far finta di ignorare l'abc della politica, la quale, da che mondo è mondo, è fatta di tattiche, di strategie, di riduzione del danno proprio e di massimizzazione di quello altrui. La regola numero uno in politica è sempre la stessa da sempre: quando hai un vantaggio sull'avversario, sfruttalo più che puoi (nei limiti della legge, della costituzione, e dei regolamenti parlamentari, s'intende). E Fini, non provenendo affatto da Marte come qualche buontempone ieri ha cercato di far credere per la gioia del nostro conduttore preferito, è uno che i precetti della politica, nel bene e nel male, li domina con assoluta disciplina.

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Edoardo Bennato, "Rinnegato"
Da un album del 1973 con un bel cerino in copertina. Perfetto :-)




Eugenio dice che io sono rinnegato
perchè ho rotto tutti i ponti col passato
Guardare avanti sì ma ad una condizione
che tieni sempre conto della tradizione

Rinnegato, sei un rinnegato, non ti conosciamo più...