mercoledì 30 giugno 2010

L'opinione espressa col portafoglio

Quel che Filippo Facci, ospite alla Zanzara, ha detto ieri sulla prescrizione (“non è un terzo status giuridico; ci sono solo la colpevolezza e la non colpevolezza”) grida vendetta, perché una tale considerazione avrebbe senso solo in un sistema nel quale i termini di prescrizione decadono con il primo atto giudiziario (la prima udienza del processo di primo grado, per capirsi), che è quel che accade in tutti i paesi del mondo occidentale. L'Italia è l'unico paese civile nel quale un procedimento giudiziario può, una volta cominciato, finire su un binario morto. Altrove, quel che comincia viene portato a termine con una sentenza, che – lì sì – può essere solo di due tipi, non essendo possibile alcuna terza via.

Ma se con uno sforzo titanico riusciamo ad ignorare queste capziosità che Facci tira fuori spesso e volentieri solo per rinverdire la sua immagine dell'antigiustizialista e dell'anti-Travaglio per antonomasia (ricordiamoci sempre che, esattamente come Travaglio, anche Facci vive dell'immagine che si è ritagliato addosso, e quando dico "vive" mi riferisco a soldi, quattrini, denari, din din) bisogna ammettere che su diversi altri punti il lungocrinito collaboratore di Libero ha detto cose condivisibili.

Potrei citare la “il rischio della camicia di forza” che sempre di più diventa associabile alla figura di Berlusconi per via delle “cazzate a raffica” che quest'ultimo continua a sparare in Italia e in giro per il mondo (lo vede, caro Cruciani, che non è difficile? Read my lips: "caz-za-te a raf-fi-ca" non è poi così tremendo da pronunciare in radio, o da scrivere su Panorama…), ma sarebbe troppo facile.

Preferisco invece concentrarmi su un aspetto più serio, messo in luce da Facci, che tutti quanti volenti o nolenti dovremmo metterci bene in testa: l'equivoco verdetto di appello al processo Dell'Utri (colpevole un po' sì e un po' no, che non soddisfa né scontenta pienamente nessuno) emanato ieri, non avrà alcuna conseguenza politica concreta, neppure in termini di consenso. Zero. Nada. Nothing. Piaccia o non piaccia, ciò che eventualmente può incidere sull'esecutivo è solo (ancora Facci) “la questione economica”, “l'opinione espressa col portafoglio”, a seconda che i cittadini percepiscano quest'ultimo come “più magro o più grasso”. Tutto tristemente vero, ma di buono c'è almeno che quando si va su quel piano non ci sono "giudici politicizzati" a cui eventualmente addossare le peggiori colpe.

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Black Sabbath, "Guilty As Hell" (1995)




Deep inside you know
you're guilty as Hell...


martedì 29 giugno 2010

Preliminari inquietanti

Nuova settimana per la Zanzara. E' tornato Giuseppe Cruciani. Peccato che non abbia lasciato in Sudafrica il suo solito cinismo estremo e lo stucchevole bastiancontrarismo a tutti i costi.

Minimizator settato alla massima potenza sulla vicenda Brancher. Disastrosa e totalmente inutile l'intervista alla D'Addario. Buona invece quella al reticente consigliere regionale piemontese (di una lista presentatasi forse con firme false) sul caso Cota. Godibile come sempre il duetto con Telese. Tra la solita masnada di ascoltatori che ha chiamato per accusare Crux di parzialità, uno in particolare gli ha intimato di essere “meno di sinistra”. Testuale. “Mi stupisco del suo intervento” è stata la risposta diplomatica del conduttore.

Insomma, tutto qua. Nulla di nuovo sul fronte occidentale.

Il post sarebbe giunto qui a conclusione, se non fosse per il solito ottimo contributo mandatomi da Paolo. Buona lettura.

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[ Da qui in giù il testo è di Paolo]

In questi giorni si stanno verificando alcuni fatti politici che forse meriterebbero un po' di attenzione e, forse anche un po' di inquietudine.

La maggioranza, tra rifiuti campani, G8 e ricostruzioni, compagnie di bandiera, condoni, scudi, manovre, nuovi ministeri, federalismi e leggi ad personam qualcosa sta cercando di fare, nulla che assomigli al governare seguendo un disegno credibile ed organico (con l'eccezione del taglio rigido ed orizzontale della spesa), sia chiaro. In un “paese normale” (© D'Alema) un governo simile sarebbe stato spazzato via per manifesta incapacità, ma siamo in Italia. Ma in un paese normale ci sarebbe una opposizione, non il duo D'Alema/Bersani di questi mesi.

L'opposizione infatti dorme profondamente, convinta che Belruconi ed i suoi alleati possano infliggersi da soli danni molto più gravi di quelli di cui lei sarebbe capace, (solo Di Pietro, di tanto in tanto, ha un sussulto, brontola un pochino e si riappisola). Con la miopia che da anni contraddistingue la sinistra sono sicuri che tanto basti per effettuare il ribaltone e non si pongono il problema di organizzare una alternativa in termini di candidati e di programma. Che Silvio si sfracelli contro la crisi. A “Chi l'ha visto?” stanno preparando una puntata speciale su Bersani. Persino il fronte sindacale ormai ha rinunciato a farsi sentire se non in frange iper minoritarie (ormai persino la CGIL ha abbandonato la FIOM per riavvicinarsi alle accomodanti posizioni del resto della triade).

In questa situazione di calma piatta adesso sento che il premier alza i toni e scalda i motori: bisognerebbe che i lettori smettessero di leggere il Corriere della Sera, dove scrive Galli della Loggia, reo di lesa maestà; i magistrati vengono apostrofati come metastasi; la costituzione viene dipinta come un rudere catto-comunista; tornano le barzellette grevi ed i comportamenti istituzionalmente inopportuni.

Insomma tutti i clichè del clima d'odio contro la sinistra con il quale Berlusconi ha sempre chiamato a raccolta i suoi quando deve combattere una battaglia politica (a proposito, bentornato Crux: te ne sei accorto dei toni del cavaliere? Oppure ti accorgerai solo di quelli delle eventuali risposte per rispolverare i concetti di odio antiberlusconiano a te tanto cari, preferendo per ora rianimare una D'Addario che non si fila più nessun altro?). E qualcuno nei media gli tiene bordone. Non è Brancher ad essere impresentabile, ma il PM Fusco che dovrebbe lasciarsi prendere per il culo, scherziamo!

Ecco, in questa situazione, non essendoci alcuna elezione alle porte, né alcuna opposizione in qualche modo attiva, mi inquieta sapere che Berlusconi si prepara ad una battaglia. Perché mi chiedo, con un certo timore, quale possa essere, e se, come spesso è successo, sarà ai miei danni.

Saluti

Paolo

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(Authan) A supporto dell'inquietudine di Paolo, è emblematica la conclusione dell'editoriale di Maurizio Belpietro su Libero, che riporto qui di seguito.


Belpietro



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(Authan) U2, "A Sort Of Homecoming" (1984)




Tonight we'll build a bridge
Across the sea and land
I'll be there
I'll be there
Tonight...


lunedì 28 giugno 2010

E ti chiedi dove hai sbagliato

Secondo post del giorno, di Authan. Il primo, a parte, era di Paolo.

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Sul Riformista di venerdì 25 giugno è apparso un interessante editoriale (che trovate integralmente qui sotto) del direttore Antonio Polito. Il pezzo termina con una domanda senza risposta, e per quest'ultima, sommessamente, vorrei provvedere io.


Articolo Polito


Il suo sbaglio, caro Polito, è quello di essere andato troppo oltre nel giocare al gioco del Berlusconi non mi piace, ma neanche tanto così, solo che se lo dico troppo forte poi sembro Travaglio. Alla fine, è tutto lì.

A forza di concentrare le proprie energie di opinion-maker non in un'azione di contrasto intellettuale al berlusconismo, ma in quella di contrasto intellettuale all'antiberlusconismo più intransigente, quel che succede è che si somatizza. Si diventa, senza volerlo, organici al "nemico" (tra virgolette), in una sorta di variante della sindrome di Stoccolma.

Per uscire da questa condizione non serve chissà cosa. E' come smettere di fumare, o iniziare una dieta. Quel che conta è la forza di volontà. Bisogna stamparsi in testa l'idea che anche l'antiberlusconismo è un “fenomeno non criminale ma politico”, i cui rappresentanti “incarnano un'idea e una speranza” pure essi. Tale fenomeno può essere malgiudicato, ma l'attenzione che merita, data la sua importanza trascurabile rispetto al berlusconismo, e al basso impatto sul Paese, deve essere proporzionata, così da non influenzare il giudizio sull'azione politica del Cavaliere, che è il vero oggetto del contendere, il nocciolo della questione. Il peggior presidente del consiglio degli ultimi 150 anni non può diventare tollerabile solo perché ci sono dei detrattori che lo criticano con troppa ferocia. E' un approccio ridicolo.

Quando uscirà da questo circolo vizioso, caro Polito, mi faccia un fischio, e io le prometto che mi abbono al Riformista vita natural durante. Saluti.


PS: Quanto sopra troverebbe applicazione anche per Giuseppe Cruciani, se non fosse per il fatto che questi, al contrario di Polito, non arriverebbe mai, neanche sotto tortura, a chiedersi pubblicamente dove ha sbagliato.

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Subsonica, "Tutti i miei sbagli" (2000)




Non riesco ad arrendermi
A tutti i miei sbagli
Sei tutti i miei sbagli
Sei tutti i miei sbagli
Sei tutti i miei sbagli...


Brancher, chi era costui?

Doppio post. Qui sotto Paolo, a parte Authan.

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[Il testo è di Paolo]

Brancher, chi era costui? Riflessioni su un mi(ni)stero legittimamente impedito.

Quando nei primi anni ottanta in Veneto nacque il fenomeno leghista, la Liga Veneta aveva un obiettivo assoluto molto chiaro: liberare il Veneto da tasse e meridionali attraverso un percorso secessionista. Gli slogan erano "Veneto libaro", "Fora i teroni dal Veneto", "Roma ladrona".

Il tempo e l'opportunità non portarono i leghisti a cambiare scopo, ma li costrinsero a cambiare il metodo: verificato che un approccio regionale non permetteva di aspirare ad alcun successo, la Liga Veneta, che era stata sorpassata ed assorbita dalla lega Lombarda nella Lega Nord, accettò di ragionare sulla base di un approccio macroregionale (da cui nacque l'idea della Padania) e di un percorso federalista. Gli slogan diventano "Padania libera"

Ma nemmeno questo nuovo approccio permetteva alla Lega di raggiungere i propri scopi da sola, per cui giunse ad una alleanza sempre più solida con il movimento Berlusconiano, basata sull'accordo che preverdeva appoggio politico incondizionato al cavaliere in cambio del federalismo. La Lega divenne la guardia del corpo di Forza Italia nei rapporti con AN e gli ex DC, comunque si chiamassero.

Ma, proprio adesso che il percorso verso il federalismo sembra essere in dirittura d'arrivo, sopravvengono tutti i dubbi legati ad una struttura che per ora ha delegato alla periferia i costi ma non l'autonomia impositiva (anche con il cosiddetto federalismo demaniale: a fronte dei pregiati immobili posti nei centri urbani – per ironia principalmente a Roma, sembra di capire – sono state trasferite alle regioni molte caserme periferiche abbandonate, miniere e strutture fatiscenti che si traducono in meri costi per il mantenimento in sicurezza).

Berlusconi ha quindi ritenuto di rassicurare il popolo leghista e contemporaneamente di sottrarre alla Lega una parte del suo potere di condizionamento sul processo (cui, ricordo, è delegato Bossi in qualità di ministro alle Riforme per il federalismo), istituendo il Ministero al Decentramento e affidandolo ad un personaggio di compromesso: Aldo Brancher, ex Publitalia, ex Forza Italia, gradito alla Lega.

E qui qualcosa non funziona. A Bossi non piace essere esautorato nella sua immagine di propugnatore del federalismo. All'opposizione non piace che ci sia un nuovo ministero. A Brancher non pare vero di poter ostentare il nuovo status symbol derivante dal neo acquisito ruolo (è un vizio diffuso dalle mie parti: ricordo con simpatia la selezione darwiniana effettuata una ventina d'anni fa dagli impatti sui platani del Terraglio -la statale che collega Treviso a Mestre- tra tanti giovani neopatentati che, sulla strada per la disco, ostentavano Golf GTI / GTD, Ray Ban, Rolex, Lacoste, Emporio Armani, Timberland, in gran parte fasulli, proprio come il ministero di Brancher), ed ha quindi chiesto l'applicazione del legittimo impedimento, probabilmente convinto di far cosa grata al cavaliere nel rallentare ulteriormente lo svolgimento di un processo che coinvolge anche lui e le sue aziende. A Napolitano non piace che il primo atto del neo ministro sia proprio utilizzare un privilegio.

Ma avevamo proprio bisogno di tutto ciò?

Saluti

Paolo

P.S. riallacciandomi al filone case e privilegi: oggi pago la rata semestrale del mutuo: so chi paga casa mia, quanto possa valere una casa, cosa sia un appartamento, cosa una reggia, cosa una stamberga, so quando un affitto, un acquisto o un mutuo siano a condizioni di favore, quanto possa costare una ristrutturazione. Molto meglio di tanti politici e giornalisti.

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(Authan) Béla Fleck and the Flecktones, "The Sinister Minister" (1990). Perla del genere jazz fusion, solo per palati fini.



venerdì 25 giugno 2010

Il rito sacro della Partita della Nazionale

Più dell'inno, più della bandiera, più del Presidente della Repubblica, più del 25 aprile e del 2 giugno, più della pizza e della pasta al pomodoro, a unire tutti gli italiani è da sempre la Nazionale, sintesi perfetta tra l'amor patrio e la passione per il calcio dell'italiano medio.

Per questo la penso come Carlo Genta, che ieri in trasmissione ha spiegato come il momento di aggregazione che porta gli italiani a fermarsi e riunirsi per assistere alla Partita sia un valore, non una perdita. Da questo punto di vista, il richiamo di Renato Brunetta ai dipendenti pubblici a non interrompere l'attività al fischio d'inizio di Italia-Slovacchia si è rivelato un inutile esercizio di soverchieria, giusto per rinvigorire l'immagine del castigamatti che il ministro si è dipinto addosso. Un match pomeridiano della Nazionale è un evento eccezionale, non ordinario, e gli uffici pubblici non sarebbero andati in rovina per via di un'isolata chiusura anticipata. Un po' di elasticità in questo specifico caso era consigliabile.

Non è obbligatorio amare il calcio, ci mancherebbe, ma la Nazionale, come detto, è un simbolo, prima ancora che un semplice team di calciatori. E i simboli si ossequiano, anche quando non piacciono o lasciano indifferenti. La Partita della Nazionale ai Mondiali è un rito consacrato. Osteggiarne l'altrui partecipazione fisica e mentale è un sacrilegio.

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Brunetta che nega la partita ai poveri lavoratori pubblici ha fatto venire in mente a tutti (tranne che, incredibilmente, ad Alessandro Milan e alla redazione della Zanzara) l'immortale sequenza del Fantozzi che alle prese con la super partita Italia – Inghilterra, nel tempio di Wembley (“frittatona di cipolle, familiare di Peroni gelata, tifo indiavolato, e rutto libero”), viene costretto dal suo dispotico boss ad andare ad assistere alla proiezione di “un film cecoslovacco con sottotitoli in tedesco”.




Scusi! Chi ha fatto palo?

mercoledì 23 giugno 2010

I due veri estremi della politica

Qui sotto il secondo post del giorno, di Authan. Il primo era di Francesca.

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In politica ci sono due estremi, che al contrario di quel che si crede non sono destra e sinistra. Gli estremi sono il dire sempre e solo quello che è giusto da un lato, e il dire sempre e solo quello che piace dall'altro.

Nel primo caso abbiamo Il Politico Intellettuale, che vola alto come le aquile. Tale figura ragiona su basi concettuali, partendo da una moltitudine di valori, principi, ideali di base, e affronta un problema profondendo ogni sforzo per arrivare alla soluzione più giusta, nel senso di più equilibrata in termini assoluti, tenendo conto di tutte le esigenze di ogni possibile segmento della società civile, ma senza sposarne totalmente alcuna. Il Politico Intellettuale parla alle menti degli elettori cercando il consenso tramite complesse opere di convincimento di quel che si considera buono e giusto.

Nel secondo caso abbiamo invece Il Politico Opportunista, che cammina annusando la terra e l'aria come i maiali. Tale figura ragiona su basi istintive, partendo da pochi semplici concetti concreti, e affronta un problema circoscrivendolo ai riflessi pratici che esso provoca sul proprio bacino elettorale, unico target di cui si tiene conto. Il Politico Opportunista si rivolge alle pance degli elettori, ne solletica gli istinti, lodevoli o deprecabili che siano, e dice ai propri seguaci sempre ciò che essi desiderano sentirsi dire. Il consenso viene cercato non persuadendo i cittadini, ma semplicemente eccitandoli.

Ribadisco, quelli citati sono i due estremi dello spettro, come il bianco e il nero in una scala infinita di grigi. Tra i due estremi c'è di tutto e di più. Il prendere tutti gli attuali movimenti politici, i loro leader, i segretari, i presidenti, i vice, gli ideologhi, i colonnelli, i portavoce e i portaborse, e il collocarli ciascuno più spostato verso un versante piuttosto che verso l'altro, è un esercizio che lascio al lettore attento.

Faccio solo notare, in conclusione, che la definizione dei due estremi di cui sopra non sottintendeva una dicotomia Bene/Male, buoni e cattivi, il Meglio su un versante, il Peggio sull'altro. Anzi, per quel che mi riguarda, secondo la mia percezione sia i politici troppo Intellettuali che quelli troppo Opportunisti sono tutti egualmente "cattivi", anche se per diverse ragioni. La suddivisione semmai è un'altra. Se i politici cattivi sono quelli riconducibili ad entrambi i versanti estremi, i bravi sono invece quelli che, trovando la miglior sintesi tra istinto e ragione, nello spettro si posizionano esattamente a metà.

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Doppio contributo multimediale. Uno per le aquile, e uno per i maiali.

- Eagles, "I Can't Tell You Why" (1979)

- Pink Floyd, "Pigs (Three Different Ones)" (1977)




Nothin's wrong as far as I can see
You make it harder than it has to be
And I can't tell you why
No, baby
I can't tell you why...






With your head down in the pig bin
Saying "keep on digging"
Pig stain on your fat chin
What do you hope to find?



Un prato verde per ricominciare

Oggi due post. Qui sotto Francesca, a parte Authan.

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[Il testo che segue è di Francesca]

I numeri del referendum a Pomigliano d'Arco: 4881 aventi titolo per votare, 4642 schede scrutinate.

Un'affluenza, pertanto, del 95%, che con il 63,4% di voti favorevoli accoglie l'intesa siglata tra due dei tre principali sindacati con l'azienda il 15 giugno.Il plebiscito auspicato in misura almeno dell'80% da Marchionne non c'è stato e la realtà dice che un lavoratore su tre è contrario (solo tra i "deportati" allo stabilimento di Nola, 273 operai, i contrari sono stati la maggioranza, 192).

Ma i patti sono patti e dunque la FIAT ora che la maggioranza degli operai di Pomigliano dichiara di essere disposta a farlo "alle sue condizioni" non deve far altro che mantenere la promessa di realizzare l'investimento per riprotare in Italia la produzione della nuova Panda e porre fine allo stillicidio della CIG in vigore da 2 anni per i quasi 5000 di Pomigliano e riavviare l'indotto.

Il ministro del Lavoro Sacconi dichiara che con questo voto storico, paragonabile al referendum sulla scala mobile, siamo diventati un paese ancor piu' moderno.

Io dico di no!

Per citare Adriano Sofri ieri su Repubblica: I 10 minuti in meno di pausa – su 40 – la mezz'ora di mensa spostata a fine turno, e sopprimibile, lo straordinario triplicato – da 40 a 120 ore – e una turnazione che impedisce di programmare la vita, sono già un costo carissimo. Aggiungervi le limitazioni allo sciopero e il ricatto sui primi tre giorni di malattia è una provocazione o un errore, per chi vuole usare Polonia e Cina per insediare un dispotismo asiatico in fabbrica qui, quando la speranza è che l'anelito alla dignità e alla libertà in fabbrica faccia saltare il dispotismo in Cina.

Per tornare invece a Marchionne, anche se i numeri del referendum lo avessero deluso sarebbe incomprensibile che, avendo vinto sull'accordo, si comportasse come se avesse perso, non potendo ricondurre nell'alveo del consenso la FIOM-CGIL che permane contraria e che comunque non firmerà.

Certo, gli operai hanno dato dimostrazione di grande buona volontà, contro la loro nomea di assenteisti e fannulloni assistiti del Sud. Ma qui non è in gioco solo questo stabilimento. Si tratta di realizzare un progetto che prevede una cesura col passato nel mondo delle relazioni industriali e sindacali, come dice l'articolo di Roberto Mania su Repubblica:

Chiudere Pomigliano per rifondare Pomigliano. Perché c'è un “piano C” che sta prendendo corpo nel quartier generale della Fiat. È un'opzione che supererebbe tutte le sacche di resistenza della Fiom e dei Cobas destinate a riapparire comunque, sotto forma di una persistente microconflittualità, al di là delle dimensioni del sì al referendum. Sarebbe lo strappo definitivo di Sergio Marchionne con l'attuale sistema di relazioni industriali.

Nelle sue linee generali il progetto è già stato buttato giù dai tecnici del Lingotto ed è molto semplice: costituire una nuova società, una newco, sempre controllata da Torino, alla quale sarà la Fiat a conferire le attività produttive di Pomigliano, cioè la fabbricazione della Panda. La Nuova Pomigliano, a quel punto, riassumerebbe, uno per uno, gli oltre cinquemila lavoratori con un nuovo contratto, quello scritto con l'ultimo accordo separato, con i turni di notte, di sabato e domenica; con meno pause, più straordinari e assenteismo ricondotto a livelli fisiologici. Ritmi da ciclo continuo. Ma soprattutto la certezza del rispetto delle nuove regole aziendali. Niente più contratto nazionale, niente più iscrizione della Nuova Pomigliano alla Confindustria. Niente più sindacato, forse. Il prato verde per ricominciare. È lo schema già adottato, per altre ragioni, con l'Alitalia: la bad company e la good company. Una cesura con il passato


Allora l'unica speranza è sempre rivolta agli operai: combattere gli abusi per preservare i diritti.

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(Authan) Talk Talk "New Grass" (1991)



martedì 22 giugno 2010

Religione e politica

Oggi non ho tempo e son ben felice che Michele mi abbia fatto pervenire un nuovo articolo (che non fa riferimento alla Zanzara di ieri, ma a questo giro non importa). Qualcun altro vuole seguire l'esempio?

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[Il post di oggi è di Michele]

Una breve premessa è d'obbligo: la religione è la risposta dell'uomo ai suoi interrogativi esistenziali, ovvero attraverso l'essere soprannaturale si cerca una spiegazione degli aspetti della vita che meno si comprendono.

La religione ha poi secondo il clero un ruolo di guida morale delle azioni degli uomini, ma questo ruolo viene sopravvalutato. Quelle regole che per ebrei, cristiani, mussulmani sono state codificate sulle tavole della legge consegnate da Dio a Mosè (non uccidere, non rubare, onora il padre e la madre…), sono comuni con le regole morali ed etiche di altri popoli che mai prima di questi ultimi secoli erano entrati in contatto con le tre grandi religioni monoteiste.

Ci sono quindi delle regole etiche e morali che sono impresse nella coscienza dell'uomo che non hanno bisogno della religione per essere giustificate. Le stesse regole che vengono calpestate in nome degli interessi personali.

Detto questo, se ci guardiamo intorno ciascuno di noi ha un diverso credo o non ne ha nessuno, e persino tra aderenti ad una stessa religione ci sono sfumature diverse: c'è chi si definisce cattolico, protestante, valdese, ebreo, sciita, sunnita, buddista... Allora per quanto detto finora, secondo il mio modesto parere, la religione è e deve restare un fatto che riguarda "l'intimo" di ciascuno di noi, e perciò guardando alle cose di casa nostra mi fa sgomento e rabbia quando i nostri politici (e in particolare quelli del centrodestra) usano la religione per tornaconto personale.

Ecco allora che si corre ad abbracciare il papa all'aeroporto perché averlo dalla propria parte vuol dire mettere voti in cascina. E lo stesso vale per coloro che demonizzano gli immigrati soprattutto se mussulmani perché così fa comodo all'italiano razzista e "cristiano".

Peggio poi quando si cerca di fare delle leggi che cercano di regolare i temi bioetici come la legge di fine vita – che dopo il clamore del caso Englaro è scomparsa dall'agenda politica per fare largo ad altre cose assai più impegnative e significative per la vita dei cittadini come la legge sulle intercettazioni – oppure per la procreazione assistita. Temi che vanno regolati, ma a cui va data al cittadino una libera possibilità di scelta secondo la propria coscienza e religione.

Certo è che gli intrecci tra i nostri politici "più illustri" (di cui vengono svelati i retroscena più scabrosi a dispetto delle loro lezioni di etica), oppure tra uomini dello stato (che ricevono onori e gloria dalle gerarchie ecclesiastiche ma di cui si poi scopre il malaffare), e uomini della Chiesa coinvolti in affari poco limpidi o che coprono scandali sugli abusi sessuali, vien davvero da dubitare dell'autorità morale e etica di cui la Chiesa si vuol ammantare, soprattutto perché da quelle parti il massimo che si ode è un timido balbettio.

Mi viene anche da sorridere, poi, se qualche giornale titola "La chiesa sotto attacco", visto che queste cose non succedano solo da noi – le inchieste sui preti, s'intende - ma anche in altri paesi europei o in America. Che anche all'estero i giudici siano diventati parte di un unico gigantesco complotto planetario?

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(sempre Michele) Ligabue, "Hai un momento, Dio?" (1995)




Hai un momento Dio?
No, perché sono qua, insomma ci sarei anch'io
Hai un momento Dio?
O te o chi per te, avete un attimo per me?


lunedì 21 giugno 2010

Alla fine incrimineranno Dio

Secondo post del giorno, di Authan, qui sotto. Non perdetevi il primo, a parte, di Michele.

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Se la Zanzara di venerdì scorso non ha praticamente lasciato tracce di sé, le prime pagine dei quotidiani di stamattina offrono un paio di chicche niente male.

La prima consiste nel titolo di apertura del Giornale di oggi: La chiesa è sotto attacco. In ben due editoriali, a firma uno di Vittorio Feltri e l'altro di Marcello Veneziani, si mettono insieme vari episodi diversi e scorrelati tra loro (il cardinale di Napoli Crescenzo Sepe messo sotto inchiesta, Don Gelmini rinviato a giudizio per molestie sessuali, i vari scandali sui preti pedofili) concludendo come sia ipotizzabile “una strategia” (espressione testuale usata nell'occhiello).

L'incipit del pezzo di Veneziani, poi, è uno spettacolo di catastrofismo; sembra l'annunciazione di un armageddon giudiziario: Alla fine incrimineranno Dio per corruzione, avendo favorito alcuni suoi figli e sfavorito altri nella vita o sin dalla nascita. L'azione sferrata in questi giorni dalla magistratura non ha precedenti, segna una svolta storica, se non teologica. La magistratura non vuol solo sostituirsi al potere esecutivo e legislativo, ma ormai giudica anche il potere spirituale della Chiesa.

Visto che non mi chiamo Cruciani, non fingerò di prendere alla lettera la figura retorica usata da Veneziani. Ma rimane il concetto che per il Giornale non è da escludere un'azione coordinata delle procure per delegittimare la Chiesa. Ebbene, gente, siamo seri: c'è una parola più adatta di "fantascienza" per definire questa bislacca congettura? Non è tutto ciò un "al lupo al lupo" spaventosamente ridicolo, almeno quanto le urla manzoniane, provenienti dal fronte dell'antiberlusconismo viscerale, per la perdita imminente di ogni tipo di libertà?

Il complottismo di chi vede in Berlusconi la radice di ogni male e quello di chi vede la stessa cosa nella magistratura non sono altro che due facce della stessa medaglia. Solo che di tale medaglia, alla Zanzara, trasmissione che vorrebbe fare dalla messa in ridicolo di ogni forma di esagerazione uno dei suoi ingredienti principali, vediamo sistematicamente sempre e solo il lato A.

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La seconda perla del giorno è l'editoriale di Giuliano Ferrara sulla prima pagina del Foglio, nel quale l'elefantino interpreta a modo suo, in stile Craxi per così dire, le vicende della cricca dei grandi appalti di cui tanto si parla di questi tempi. Scrive Ferrara: Vedo comportamenti gravemente inestetici, illegittimi rispetto all'etica del pubblico funzionario, e vedo dimostrati modi di concepire la funzione amministrativa inaccettabili, sanzionabili, ma non vedo un patto corruttivo organico, non vedo le prove di atti di corruzione propriamente detta, non vedo una catena di palesi illegalità. Wow! Se serviva trovare una nuova definizione alla parola "edulcorazione", eccoci serviti.

Ma a dire il vero non è l'opinabile pensiero di Ferrara che volevo mettere in luce. Il lato divertente è un altro: nel prosieguo dell'articolo, provate ad indovinare cosa fa l'elefantino per accreditare la sua tesi? Cita una sentenza della Cassazione che, a suo dire, gli dà ragione (ci sarebbe moooolto da discutere anche su questo, ma lasciamo perdere). Ripeto: Ferrara ha costruito un suo pezzo sulla sentenza di un giudice. Come un Marco Travaglio qualsiasi.

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U2, "In God's Country" (1987)




Sleep comes like a drug
In God's Country
Sad eyes, crooked crosses
In God's Country...


Sindacati

Ringrazio Michele che ha accolto il mio invito a mandarmi articoli per il blog. Eccovi il suo contributo. Oggi c'è anche un mio post, che pubblico a parte. Ciao, Authan

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Scrivo queste righe per discutere con voi su cosa è il sindacato oggi. Lavoro in Piaggio dal 1994, prima come operaio addetto alle linee di montaggio, e poi dal 2003 come operaio addetto alla manutenzione e conduzione di impianti, e sono inquadrato nel CCNL metalmeccanico. Ho cercato di capire quali sono i termini dell'accordo tra FIAT e sindacati per Pomigliano d'Arco, poiché la cosa potrebbe riguardare anche me un domani se il modello fosse “esportato”.

Per portare la produzione della Panda nello stabilimento campano con la difesa dell'occupazione, sono poste delle condizioni piuttosto pesanti come la rinuncia agli scioperi, l'aumento della velocità delle linee di produzione, la diminuzione delle pause, meno tutele in caso di malattia. La non accettazione dell'accordo implicherebbe, così hanno paventato i vertici aziendali, la chiusura dello stabilimento e che, come ha ben titolato Paolo nel suo post di qualche giorno fa, quello proposto da FIAT ai lavoratori è un coltello alla gola.

Certo che con la fame di lavoro che c'è oggi non c'è molto da scegliere, soprattutto al sud. Quello che mi chiedo è se alcuni passaggi dell'accordo possono o potranno esserci degli aggiustamenti come ad esempio sul diritto allo sciopero, per me sacrosanto, ma di cui si è anche abusato per rivendicazioni stupide da quel che ho potuto vedere nella mia esperienza, oppure sulla malattia in cui nei primi 3 giorni l'azienda potrà decidere di non pagare il trattamento a suo carico (e di questo un ringraziamento va a quei lavoratori che con scarso senso di responsabilità hanno abusato dei certificati di malattia per farsi i propri affari).

Ci sono poi due cose che mi lasciano perplesso. La prima e l'accettazione di un accordo che prevede dei sacrifici da parte dei lavoratori senza avere una remunerazione economica adeguata. Ovvero, io rinuncio a qualcosa ma so che non ho un ritorno in busta paga e mi sta bene così perché l'azienda investe e quindi c'è il mantenimento del posto di lavoro. Nel mondo del lavoro in Italia si finisce di parlare comunemente di diritti ma mai di retribuzione migliore come contropartita alle concessioni che sono fatte alle aziende nel nome della competitività.

Il secondo punto che m lascia perplesso riguarda i sindacati, il nocciolo di questo mio sfogo. Non ha senso avere 3/4 sigle sindacati diverse quando lo scopo unico di un sindacato è la tutela degli interessi dei lavoratori per strappare a CONFINDUSTRIA, CONFARTIGIANATO, CONFCOMMERCIO, CONFAPI, ecc. le migliori condizioni contrattuali possibili. In particolare non approvo l'atteggiamento di CGIL, CISL e UIL che fanno accordi senza averne ricevuto il consenso dai lavoratori iscritti o meno, e quando intavolano una trattativa, ciascuna con una proposta diversa, la controparte ha la possibilità di scegliere tra le proposte quella che sembra a lei più vantaggiosa (e quindi quella più svantaggiosa per i lavoratori), e allora le divisioni non sono certo un fatto positivo per chi dal sindacato deve essere tutelato nei propri interessi.

Un breve discorso sulla CGIL qui va fatto, con Berlusconi premier e con Sacconi come ministro. Ho l'impressione che il governo cerchi di emarginare ed osteggiare il sindacato di Epifani in ogni modo, e non è un mistero che il cavaliere l'abbia sempre visto come fumo negli occhi. Le altre due sigle sindacali credono di "farsi grasse" sulle spalle della CGIL, ma senza ricevere niente in cambio. Un esempio è la legge Biagi, che con tante fanfare fu approvata contro il parere della CGIL (famosa la manifestazione al circo massimo in difesa dell'art. 18 dello statuto dei lavoratori) ma poi per molti versi, come sottolineato spesso anche da CISL e UIL, rimasta lettera morta.

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(Authan) Bruce Springsteen, "Factory" (1978)




Early in the morning factory whistle blows,
Man rises from bed and puts on his clothes,
Man takes his lunch, walks out in the morning light,
It's the working, the working, just the working life...


venerdì 18 giugno 2010

Cittadino Dio lo vuol

Solo la doppia conduzione, ieri, con Oscar Giannino a far da spalla ad Alessandro Milan ha ravvivato una Zanzara nella quale inopinatamente si era scelto di ritornare ancora una volta sul tema stra-ritrito dei costi della politica. In particolare, è stata interessante la tesi proposta dal barbuto ex direttore di Libero Mercato, secondo il quale, idealmente, coloro che coprono cariche elettive (parlamentari, consiglieri regionali, provinciali, e comunali) non dovrebbero ricevere alcuna retribuzione, se non, al limite, piccoli rimborsi spesa e simbolici gettoni di presenza.

Val davvero la pena citare alcuni passi parola per parola (con solo qualche minimo editing per maggior leggibilità) del pensiero gianniniano.

“«In favor del patrio suol, cittadino Dio lo vuol», dice un verso dell'inno nazionale svizzero, nazione in cui è sacra l'idea non dello stato ma del cittadino. Il concetto, messo in pratica nel paese elvetico, che chi fa politica deve essere davvero al servizio del cittadino e quindi non deve avere un'indennità fissa è l'inveramento della più alta realizzazione della democrazia contro le pretese di uno stato che presume di fare gli interessi colettivi mentra fa solo quelli di chi lo amministra pro-tempore.”

“Se noi partiamo dal presupposto che i politici (da intendere "coloro che coprono cariche elettive") facciano politica come unico mestiere, scopo del politico diventa non fare l'interesse pubblico, ma essere rieletto. Qualunque cosa diventa buona se porta ad una rielezione. Quindi nella retribuzione fissa del politico, a maggior ragione se particolarmente elevata, c'è la radice della degenerazione della politica.”

“In Italia si guarda alla logica equitativa per avere un miglioramento allo stipendio. L'ultimo consigliere comunale vuole essere pagato come un parlamentare. Il mio punto di vista è opposto. E' il parlamentare a guadagnare scandalosamente troppo, non il consigliere comunale troppo poco, e la pretesa dei più bassi livelli amministrativi di essere equiparati ai parlamentari si commenta da sola. Questo è l'egualitarismo al contrario, pretendere di più facendo di meno.”

“L'idea che la politica senza retribuzione diventi "roba per ricchi" è completamente sbagliata. Perché bisogna dare per inteso che chi va a far politica possa godere dell'aspettativa e magari anche la retribuzione congelata che gli spetta per il suo mestiere precedente (non è chiarissimo questo passaggio, ma mi sembra che il senso sia che i lavoratori dipendenti devono continuare a ricevere lo stipendio pieno nel periodo di aspettattiva durante il quale sono prestati alla politica). I politici devono campare con quello che facevano prima di farsi eleggere, e che tornino a farlo dopo.”

Qui devo fare un commento non dissimile da quello che avevo proposto nel recente post su Ostellino. Di fronte a ragionamenti così "alti", se ci trovassimo in un consesso di filosofi io mi alzerei ad applaudire fino a spellarmi le mani, e accennerei pure una ola. Sono idee meravigliose quelle di Oscar Giannino, perfette per un mondo utopistico. Ma sappiamo bene che l'Italia è luogo tutt'altro che utopistico.

Una volta spogliati del tono aulico e dei tratti idealistici, temo che i concetti teorici dell'estremismo liberale di Giannino si scontrerebbero con un muro di gomma, nel momento in cui si dovesse provare a trasformarli in provvedimenti concreti. Ad esempio, non riesco nemmeno ad ipotizzare come le imprese private possano accettare di concedere aspettative retribuite per i dipendenti che si ritrovassero a coprire cariche elettive più di quanto accada oggi. Già solo questo scoglio rende pleonastica l'intera discussione.

Alla fine, credo che il miglior compromesso possibile per quel che riguarda la retribuzione dei politici eletti rimanga quello che segue l'approccio alla base dell'ammontare delle indennità di disoccupazione. L'assegno deve servire ad impedire, per il soggetto interessato, la morte per fame, ma, al contempo, non deve essere così alto da far credere che con tale assegno, e solo su quello, ci si possa sul serio campare allegramente.

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Nick Cave and The Bad Seeds, "Easy Money" (2004)




Easy money
Rain it down on the wife and the kids
Rain it down on the house where we live
Rain it down until you got nothing left to give
And rain that ever-loving stuff down on me...

giovedì 17 giugno 2010

Mistificazioni

La parola del giorno, per quel che mi riguarda, è "mistificazione". Per tre motivi.


UNO…

Non che servissero davvero altre prove, ma se proprio qualcuno pretendeva di vedere la pistola fumante per convincersi di quanto Silvio Berlusconi sappia mistificare la realtà (e il bello è che spesso accusa pure i suoi avversari politici di farlo qui è lui il vero maestro di questa arte), piegandola a suo piacimento, ebbene, eccolo servito.

Per il cavaliere gli italiani che direttamente (in quanto indagati) o indirettamente (parlano con un indagato) finiscono nella maglia delle intercettazioni sono stimabili in sette milioni e mezzo. Sette milioni e mezzo. Una cifra totalmente fuori dal mondo, frutto di un ragionamento capzioso e strumentale. Non sto neanche a spiegare i motivi, chi vuole un approfondimento legga il dettagliato pezzo di Piero Colaprico apparso oggi su Repubblica.


…DUE…

Dopo aver preso per i fondelli Roberto Saviano e Repubblica per via del numero di appelli pubblici che lo scrittore campano, per mezzo del quotidiano di Scalfari, ha di recente lanciato, indovinate che fa oggi in prima pagina il Foglio di Giuliano Ferrara? Esatto. Lancia un appello. Strepitoso. Ma ancor più strepitoso è il testo dell'appello stesso. Un anatema contro chi “nel conflitto intorno alla legge sulle intercettazioni offusca o marginalizza il principio liberale e costituzionale della riservatezza”, al grido di “intercettateci tutti”.

Ora, siamo seri. Qualche sciagurato che strepita al grido di "intercettateci tutti" ci sarà pure, ma quel che conta è che nessuna forza politica né alcun movimento d'opinione numericamente significativo vede la prospettiva di intercettazioni di massa in stile Grande Fratello (quello di Orwell s'intende, non quello di Endemol; nell'appello di Ferrara compare l'espressione “deriva Orwelliana”) come uno scenario auspicabile. Il Foglio, dando vita all'appello, vorrebbe farci crede il contrario, ma la sua è una battaglia contro i mulini a vento, contro un pericolo reale o potenziale che semplicemente non esiste.

Insomma, una totale mistificazione, di cui mi sarebbe proprio piaciuto conoscere l'opinione del nostro amico Giuseppe Cruciani, noto detrattore dello strumento del pubblico appello (tranne che per il caso Cesare Battisti, ovviamente, l'unico anticristo per cui uno strappo alla regola non guasta mai). Se molti degli appelli di Repubblica potevano essere sopra le righe o fuori luogo, questo di Ferrara lo è ancor di più.

Ah, dimenticavo. Tra i primi firmatari dell'appello del Foglio chi è che proprio non poteva mancare? E' lui o non lui, è lui o non è lui? Ma cerrrrrto che è lui: Piero Ostellino, dal pianeta Marte.


…E TRE

Il terzo mistificatore di cui voglio occuparmi è il direttore del TG2 Mario Orfeo, che ieri alla Zanzara è stato ospite di Alessandro Milan (un po' troppo condiscendente, quest'ultimo, nel condurre l'intervista) al fine di commentare le polemiche scaturite dalla messa in onda, in un'edizione del telegiornale di Rai2, delle immagini di un imputato dello scandalo dei grandi appalti, Fabio De Santis, che, ammanettato, veniva accompagnato dalla polizia penitenziaria all'interno del tribunale di Firenze.

A suo dire, l'intento di Orfeo era di denunciare la vergogna dell'uso delle manette in un contesto pubblico per un soggetto che non è socialmente pericoloso. Ma anche prendendo per buono tale proposito (secondo me, invece, si è voluto solo fare un scoop a buon mercato), quello che di fatto è successo è che per denunciare una presunta gogna per De Santis, Orfeo ce lo ha messo lui, il De Santis, alla gogna, mostrando a milioni di telespettatori una situazione a cui in pochi avevano avuto modo di assistere direttamente in loco. E lo ha fatto, peraltro, senza chiedere alcun permesso al diretto interessato, tanto che l'avvocato di De Santis si è risentito.

Se vogliamo trovarci una morale, il comportamento di Orfeo è stato un po' come bombardare in nome della pace o, per citare una vecchia battuta, trombare in nome della verginità. Una mistificazione più grande è davvero difficile concepirla.

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INXS, "Mystify" (1987)




Some silken moment
Goes on forever
And we're leaving broken hearts behind
Mystify
Mystify me...


mercoledì 16 giugno 2010

I processi si fanno in tribunale (difesa compresa)

Qui sotto il secondo post del giorno, di Authan. Non perdetevi il primo, a parte, di Paolo.

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Durante l'ultima udienza al processo di Pescara in cui Ottaviano Del Turco è imputato, il PM ha letto (nell'aula del tribunale, non alle agenzie di stampa) il contenuto di alcuni piccanti dialoghi telefonici intrapresi dall'ex governatore dell'Abruzzo dalle linee in uso alla regione. Del Turco, per via da questa intrusione in situazioni private non correlabili a suo dire con i presunti reati che gli vengono ascritti, si è molto risentito. Ne ha ben donde? A occhio sì, ma siamo su un terreno scivoloso e senza avere la versione del PM nell'interpretazione dei fatti è molto difficile per un osservatore esterno dare un giudizio. E comunque non è di intercettazioni o di strategie accusatorie del PM che io oggi mi voglio occupare.

Ieri alla Zanzara Del Turco è stato ospite di Alessandro Milan per commentare la vicenda di cui sopra, e io di per sé non ho nulla da ridire, visto che il tema è di interesse. E' solo che mi fa un po' specie che dopo che ci si è riempiti la bocca col nobile concetto dei "processi che si devono fare nei tribunali e non in televisione" (o in radio) poi si consideri invece opportuno e normale che un imputato parli del suo caso giudiziario e, in un certo senso, dispieghi la propria linea di difesa non davanti al giudice ma ai mezzi di informazione.

Fatemi capire: che il luogo preposto per i processi sia il tribunale vale solo per l'accusa o anche per la difesa? Secondo me ci deve essere una reciprocità. Intendiamoci, io non discuto il diritto di Del Turco o di altri nella sua medesima situazione a rilasciare interviste, per carità. Pongo solo all'attenzione una contraddizione, che diventa solare nel momento in cui queste persone tirano in ballo con toni apocalittici il famigerato "tritacarne mediatico" per poi fare invece allegramente uso dei mass media, quando fa loro comodo, per denigrare la controparte giudiziaria nell'ambito del processo penale in cui sono coinvolte.

Insomma, per farla breve, i nobili principi sono sempre ben accetti, a patto che non siano propugnati in modo ipocrita.

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Radiohead, "Everything In Its Right Place" (2000)




What was that you tried to say?
Tried to say...
Tried to say...


Col coltello alla gola

Ennesimo doppio post di questo piccolo blog. Ringraziate (san) Paolo che mi manda un sacco di ottimi pezzi tra cui quello qui sotto (a parte invece il mio articolo).

A proposito, approfitto di questa premessa per invitare ancora una volta tutti quanti a proporsi come articolisti (tenendo conto che questo non è un blog di satira; bisogna presentare un argomento, elaborare un'analisi, ed arrivare ad una conclusione). Coraggio, scegliere un tema e scrivere.

La parola a Paolo. Buona lettura.

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[Il testo da qui in giù è di Paolo]

Buongiorno,
questo non vuole essere un post, ma un post-it, una nota sulla situazione che si è creata attorno allo stabilimento Fiat di Pomigliano e sui tanti dubbi che mi solleva.

Fiat, dopo aver confermato l'intenzione di chiudere lo stabilimento di Termini Imerese, sembra aver aperto alla possibilità di riportare in Italia, a Pomigliano, alcune produzioni precedentemente effettuate nello stabilimento polacco di Tichy, investendovi anche grosse cifre nell'ammodernamento degli impianti.

Il tutto viene subordinato dalla ditta all'accettazione da parte dei sindacati di alcune condizioni di garanzia, alcune delle quali particolarmente pesanti, al punto di apparire illegittime. Non sembrano esservi problemi nel riconoscere la necessità di una molto ampia flessibilità nell'orario, ma i problemi emergono in alcune norme / clausole che limiterebbero la possibilità di scioperare o ammalarsi (queste ultime in uso presso la PA).

E la proposta è del tipo prendere o lasciare, o così o la fabbrica torna in Polonia e Pomigliano chiuderà come Termini Imprese.

Ho purtroppo trovato scontato il replicarsi della spaccatura tra CGIL da un lato e CISL e UIL dall'altro, con le ultime due che, pensando alla possibilità di potenziare gli stabilimenti, sottoscrivono l'accordo.

E trovo altrettanto scontate le posizioni di Schifani e della Marcegaglia, che vedono nella CGIL l'unico responsabile del potenziale fallimento della trattativa. Ma, nella mia perplessità sulla situazione, mi rimangono alcune domande nella testa.

Ha senso (beninteso per entrambe le parti) trattare in questo modo, con il coltello alla gola? Ha senso anche solo parlare di trattativa in queste condizioni?

E dove sono finiti gli economisti che (quando l'economia andava sufficientemente bene) tuonavano contro la cogestione delle aziende da parte di imprenditori e sindacati? Contro la concertazione?

Caro Oscar Giannino (che invoco in qualità di recente quasi co-conduttore della Zanzara), non eri tu che sostenevi che gli imprenditori devono fare gli imprenditori e gli operai devono fare gli operai? Sostenendo che, contro l'evidenza di molti modelli tedeschi, la cogestione aziendale è un modello sbagliato? Perché adesso scrivi che Pomigliano sarebbe una svolta storica positiva, perché “oggi anche i sindacati – tranne, finora, la Cgil – condividono con l'azienda la sfida, e accettano di definire insieme nuove regole per innalzare la produttività”?

Mi sono forse perso, Giannino, l'ammissione che quanto pomposamente sostenevi era un enorme mucchio di cazzate? O è un enorme cazzata quanto altrettanto pomposamente sostieni adesso? Cos'è cambiato tra le due posizioni? Il fatto che prima si volevano condividere anche i profitti ed adesso solo le perdite? Oppure la cogestione che piace è solo quella che si pratica con il coltello alla gola della controparte?

Saluti

Paolo

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(Paolo) Paolo Conte, "La Topolino amaranto" (1975)




Se le lascio sciolta un po' la briglia
Mi sembra un'Aprilia
E rivali non ha...

martedì 15 giugno 2010

Alzare la zampa

Oggi lascio la parola a Paolo, ma non prima di aver aggiornato la classifica delle interviste più insulse (più per le domande poste che per il soggetto intervistato) mai proposte alla Zanzara.

Partendo dal gradino più basso del podio, al terzo posto c'è Luca Telese, con la sua intervista ad un Morgan spiaggiaiolo e succhiacannuccie del 19 agosto 2009, molto prima dei suoi guai pubblici con la droga.

Al secondo posto, new entry! Alessandro Milan ieri sera dopo le 20:30 con la modella paraguagia Claudia Galanti. I quattro gatti che l'hanno ascoltata (in quei minuti era già cominciato il match tra Italia e Paraguay ai mondiali sudafricani) capiranno.

Al primo posto, primo inconstratasto e praticamente insuperabile, Giuseppe Cruciani con Benedetta Parodi il 13 maggio 2010 al salone del libro di Torino. Cosa cucineresti per Berlusconi?

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[Il post di oggi è di Paolo]

Buongiorno,

l'ennesima mini polemica sull'inno nazionale (protagonista l'ex ministro Luca Zaia), giunta anche ieri in trasmissione, mi porta a ragionare su alcuni comportamenti dei politici leghisti e sulla reazione che a questi viene opposta.

Ogni Stato ha un insieme di simboli attraverso i quali si dà una immagine (parlando "alto" mi verrebbe da dire una Estetica) e crea uno strumento di compartecipazione emotiva ed epidermica tra i cittadini: si va dalla bandiera, all'inno, alla foto del presidente, ai luoghi simbolo, agli eroi, alle celebrazioni pubbliche, ai campionati sportivi.

Come un cane che marca il territorio pisciando ad ogni angolo, i politici leghisti stanno contestando in maniera metodica e sistematica l'insieme dei simboli dello stato italiano e ne stanno proponendo uno alternativo:

- Sbandierano le loro bandiere verdi ed invitano a mettere il tricolore nel cesso;

- Fanno cantare il Va' Pensiero e mettono la sordina a Mameli;

- Rimuovono la foto del presidente dagli uffici comunali;

- Al Piave, Al Grappa ed a Vittorio Veneto contrappongono Pontida e le sorgenti del Po;

- A Garibaldi, Alberto da Giussano;

- Ostentano disprezzo per le feste nazionali (preferendo in alternativa i propri raduni annuali) e per i successi delle squadre nazionali, inventando tornei alternativi.

In questo momento la sostituzione dell'estetica leghista a quella nazionale italiana sta avendo successo, da un lato per la forte coesione e per il grande desiderio identitario dell'elettorato leghista, dall'altro per la scarsa attualità e forza dei simboli dell'Italia (anche confrontati con i simboli nazionali di altri stati: mentre in Italia si festeggiano vittorie militari ormai dimenticate dopo quasi un secolo, in Francia si celebre l'acquisizione di diritti civili il cui valore è percepibile anche dopo più di 2 secoli. Ovvio che la presa della Bastiglia sia un simbolo più resistente nel tempo).

A questo si aggiungano una lunga tradizione internazionalista nella sinistra italiana che, pur aborrendo idee scissioniste, non ha mai coltivato un culto della nazione ed un pesante revisionismo volto a ridimensionare il simbolo identitario italiano più recente: la Resistenza, che già di suo non è mai stato completamento condiviso.

Quello leghista è un successo su più fronti: in primo luogo la Lega ha creato un proprio insieme di simboli di riferimento (proprio come se fosse un stato), in secondo luogo li sta affiancando a quelli dello stato durante le celebrazioni pubbliche (legittimando la pari dignità tra i simboli della Padania e quelli italiani e "quindi" tra la Padania e l'Italia), infine sta ridimensionando il valore dei simboli nazionali, sistematicamente posti a confronto con quelle che, di fatto, sono delle caricature.

E non è un successo da poco, perché proprio per il fatto avere un valore emozionale, i simboli sono uno strumento importante per portare la gente a sentirsi istintivamente parte di un consesso: sta diventando sempre più facile sentirsi padani, sempre più difficile sentirsi italiani.

A questa situazione i politici nazionali non hanno saputo dare una risposta adeguata: come la pisciata di un altro cane nel mio territorio, le lamentele per l'oltraggio ai simboli della nazione non fanno altro che evidenziare la debolezza del potere costituito. Attualmente i leghisti stanno ostentando il fatto di pisciare nel territorio del vecchio padrone.

In assenza di forti valori condivisi (distrutti nel panorama italiano da decenni di politica scadente) persino l'annunciata iniziativa di Ignazio La Russa di regolare per legge la presenza dei simboli nazionali nei contesti pubblici potrebbe non essere sbagliata, specialmente se avrà l'accortezza di evitare l'equiparazione dei simboli nazionali con altri. Di qua c'è lo Stato, di là il circo. Tra i due una separazione netta, e lo Stato è più forte, quindi l'unico che puo' marcare il territorio pisciando negli angoli.

Ovviamente la cosa non potrà bastare, e c'è attualmente poco su cui fondare un forte sentimento nazionale. Persino la nazionale di calcio potrebbe portare acqua al mulino dell'Italia a danno di una potente forza disgregatrice. Da qualche parte bisogna pur ripartire…

PO POPOPO POPOPO
PO POPOPO POPOPO

:-)

Saluti

Paolo

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(Sempre Paolo) Francesco De Gregori, "Quattro cani" (1975)




Se ci fosse la luna,
Se ci fosse la luna si potrebbe cantare
Si potrebbe cantare...


lunedì 14 giugno 2010

Come prima, meno di prima

Dopo tre puntate lo si può dire: la conduzione di Alessandro Milan ricalca quella di Giuseppe Cruciani, ma di meno.

L'approccio è il medesimo: tra le pieghe dei temi del giorno si sottolinea quella dichiarazione o quel commento un po' sopra le righe del politico che vuole i quindici minuti di gloria; si enfatizza la sparata dell'artista che la dice grossa sennò nessuno l'ascolta; anziché puntare al cuore delle notizie si gira intorno ad esse, alla ricerca delle nota di colore; non si argomenta mai, ma si ribatte solo agli argomenti altrui; si dà risalto, nel bene o nel male, chi dice cose forti rispetto a chi dice cose pregevoli; e pur di non finire nel girone dei dannati antiberlusconiani, si ridacchia per i comportamenti poco istituzionali del cavaliere, che si rende ridicolo ovunque e con tutti i leader del mondo, ma in fondo chissenefrega, purché ci sia da far finta di sollazzarsi.

Tutto come prima, dunque, la solita superficialità e frivolezza, ma con in meno la ruvidezza, la personalità e l'aggressività verbale del desaparecido.

Non che Milan scimmiotti Cruciani, come se non fosse capace di fare diversamente. Non è così. E' un eccellente professionista e lo dimostra tutte le mattine in rassegna stampa e a Bianco o Nero dove egli affronta e sviscera con efficacia le vicende in primo piano. E' solo che io ingenuamente mi aspettavo un conduttore che sapesse/volesse adattare la trasmissione alle sue peculiarità e non banalmente adattare se stesso alla trasmissione. Contavo sull'impronta di Milan, ma il biondino non ha saputo far di meglio che mettere pedissequamente il piedino nel solco già tracciato dal vecchio Crux. Lo studente è dotato, ma non si applica.

Se non interviene la seconda voce a dare una mano (Telese, Giannino, whoever), in fondo al rettilineo c'è solo la morte per noia. Meno male che ci sono i mondiali.

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Una delle mie canzoni preferite di sempre.

The Nymphs, "Imitating Angels" (1991)




We're imitating angels
We're imitating angels
We're imitating angels
And we got a long long way to go...


venerdì 11 giugno 2010

Pianeta Terra chiama Ostellino, rispondi Ostellino

Questa mattina a Bianco o Nero (trasmissione che stoicamente Alessandro Milan continua a condurre nonostante il nuovo impegno serale, pro tempore, alla Zanzara), nell'ambito di una discussione sul DDL intercettazioni appena approvata in Senato, abbiamo assistito ad una straordinaria lezione di filosofia teoretica da parte del professor Piero Ostellino, il quale ha illustrato agli ascoltatori la dottrina "liberale" (parola feticcio per l'ex direttore del Corriere, citata quasi in ogni frase) del primato dell'individuo sulla collettività. Non esiste, secondo Ostellino, un bene superiore in nome del quale la collettività possa togliere al singolo cittadino un diritto fondamentale tra cui quello alla riservatezza.

Se mi fossi trovato nell'aula di una qualche università, mi sarei alzato ed avrei applaudito a scena aperta. Dico sul serio. Del resto, quando sento gente che bercia scemenze come "intercettatemi, siiì, godo! Intercettatemi! Anzi intercettateci tutti! Chi segue la retta via non deve temere le intercettazioni!", non posso fare a meno di pensare di trovarmi di fronte a menti bacate o inconsapevoli delle follie che partoriscono. Io non voglio essere intercettato. Ma neanche un po'. Un'intrusione nel mio privato mi darebbe immensamente fastidio.

Però - perché non può mancare il però - nel momento in cui si esce da un discorso teorico, e di principio, e si passa a discutere delle conseguenze pratiche della legge sulle intercettazioni, ho trovato le parole di Ostellino un tantino astratte e facenti a pugni con le necessità pratiche. Lo stato al servizio del cittadino e non viceversa, l'individuo che prevale sul collettività, eccetera eccetera eccetera, sono tutti concetti meravigliosi, che però poi vanno calati in un mondo reale dove bisogna far convivere esigenze in chiaro conflitto tra loro (riservatezza, privacy, sicurezza, repressione dell'illegalità), ma della medesima importanza.

Io, nel mio piccolo, a scendere a patti col mondo reale per lo meno ci provo. Ribadisco che odierei essere intercettato, ma al contempo sono consapevole che, incidentalmente, nell'ambito di chissà quale indagine, esiste una probabilità bassissima, infinitesimale, che una mia conversazione possa essere registrata, e, pur auspicando che ciò non succeda, non mi sembra che ci siano gli estremi, ma neanche alla lontana, per parlare di stato di polizia o “stato etico” (espressione usata da Ostellino). Nel mondo in cui vivo io il compromesso mi pare, tutto sommato, ampiamente nella soglia dell'accettabilità.

Nell'inferno in cui crede di vivere Ostellino, invece, i cittadini sono tutti oppressi. l'Italia, per l'editorialista del Corriere, sarebbe una paese “intimamente fascista” (testuale) non perché i cittadini siano vessati da un regime guidato da un Duce sanguinario, ma perché esiste un moloch diabolico chiamato "collettività", che Ostellino identifica senza mezze misure nella magistratura, che perseguita l'individuo. Ne scruta i gesti, ne origlia le parole, pronto a fulminarlo se dovesse, ad esempio, “andare a puttane” (ha detto proprio cosi, Ostellino, cheper quel suo riferimento al fascismo si meriterebbe un bel Radio-Londra-alla-rovescia).

Ora, io mi guardo intorno, leggo, parlo con le persone, vivo la mia vita, e in tutta sincerità, per quel che mi riguarda, così come non credo di vivere in un terribile regime dittatoriale berlusconiano, neppure mi sento oppresso dal grande fratello della congrega dei PM malvagi. Siamo seri. Non è così. Nella mia percezione la magistratura fa il mestiere per cui è preposta: in presenza di un'ipotesi di reato, indaga, e, quando ritiene, usa le intercettazioni, se esse possono contribuire all'accertamento dei fatti. E l'ipotesi della cosiddetta "pesca a strascico" non è mai stata dimostrata con prove inoppugnabili da nessuno. Non è un fatto, ma una teoria complottista degna di nerd visionari usciti da un episodio di X-Files.

Sia chiaro, io non ho un'immagine idilliaca di giudici e PM. So che si parla non di robot onniscenti ma di uomini che possono sbagliare, ma rifiuto categoricamente il concetto della magistratura moloch. E' semplicemente una follia da b-movie. Non è il mondo reale che viviamo tutti i giorni.

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Ci credete se vi dico che la filosofia di Ostellino mi ha fatto venire in mente Star Trek? Principalmente per una frase che pronuncia Spock nel secondo film ("L'ira di Khan"), e cioè: "The needs of the many outweigh the need of the few. Or the one" (Le necessità dei molti prevalgono su quelle dei pochi. O di uno).






E non basta. Nel telefilm Star Trek: The Next Generation (qui sotto il video con la sigla) compaiono i Borg, violenta razza tecno-organica (famosa per sbaragliare ogni nemico all'urlo di "ogni resistenza è inutile, sarete assimilati!") i cui individui non sono in realtà dotati di libero arbitrio in quanto collegati mentalmente ad un'unica entità collettiva. Chissà cosa ne penserebbe il professor Ostellino :-)




Spazio, ultima frontiera


giovedì 10 giugno 2010

Inferno

Non è solo un brutto film, ma anche un film con una trama già vista un milione di volte. Silvio Berlusconi che trovandosi nella posizione di non poter rivendicare un'azione governativa particolarmente brillante, "la butta in calcio d'angolo" (per citare un'azzeccata espressione che ho sentito pronunciare stamattina da Andrea Romano su RadioTre) menando la solita solfa del "non mi fanno lavorare", "non ho abbastanza libertà d'azione", "la costituzione non mi dà sufficiente potere". L'ultima perla del cavaliere è “governare è un inferno”.


Inferno


Sono tutte stronzate, e scusate il francese. Non se ne può più di questo metter le mani avanti, di questo cercar alibi per mascherare la pochezza dei risultati governativi in termini di mantenimento delle promesse elettorali. Sono passati due anni, ma in termini di abbassamento della pressione fiscale, semplificazione burocratica, taglio delle province, riforma della giustizia, riduzione del numero dei parlamentari, avvio delle grandi opere, adeguamento del sistema previdenziale e dei contratti di lavoro, siamo praticamente al palo, o poco più. In compenso abbiamo dibattuto fino allo sfinimento dell'ennesima sfilza di leggi ad personam nonché di un tema non pressante come quello delle intercettazioni che, al contrario di quanto sostiene il premier, interessa ad una quantità infinitesimale di persone.

Tirare in ballo la Costituzione per giustificare gli scarsi risultati semplicemente non ha senso. Il premier ha il mandato degli elettori, una maggioranza bulgara in parlamento, e dispone sulla carta di tutti i poteri che servono per raggiungere gli obiettivi. Se non ci riesce è perché non ne è capace, in conseguenza di problematiche che sono tutte interne alla sua maggioranza (tre pezzi grossi quali Fini, Bossi, e Tremonti, per ragioni diverse, giocano su più tavoli e non seguono il condottiero senza fiatare, ma semmai lo sopravanzano) e che non hanno nulla a che vedere né con la presunta “sovranità dei PM” (questa è proprio una caaa... una vera ca-zzaaa...) né con la Costituzione che “frammenta troppo i poteri”.

Di fronte allo spettacolo indecoroso di questo premier che se la prende con l'architettura costituzionale per giustificare il semi-immobilismo dell'esecutivo non serve andare a tirare in ballo il fascismo, la dittatura, la democrazia soppressa, il voto non consapevole, ecc, come inopinatamente ho sentito fare, ieri alla Zanzara, pure da un pregevole opinionista quale Oliviero Beha. Farlo significa regalare al cavaliere l'argomento ridicolo del "mi insultano, mi odiano, mi diffamano".

Qui non c'è da additare un tiranno in pectore, ma un cattivo primo ministro, inadeguato e inefficiente, che come un bambino incolpa le regole del gioco nel momento in cui si accorge di disputare una pessima partita. L'inferno, signori miei, non è governare con questa Costituzione, ma essere governati da chi non si assume in pieno le proprie responsabilità.

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Dopo la prima puntata diciamo che Alessandro Milan è rimandato. Se mi leggi, caro Alessandro… Animo! Su, su, un po' più di verve, di personalità, di temperamento. Come dici? Al mattino ti alzi alle 5 e mezzo per andare a fare la rassegna stampa in radio? Dai, su, non cercare scuse alla Berlusconi! :-)

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Il tema musicale, firmato da Keith Emerson, da "Inferno", il film di Dario Argento (1980)




mercoledì 9 giugno 2010

Luca Telese ci scrive

Il nostro amico Luca Telese ha inserito un commento al post del 7 giugno, quello intitolato "Fedeli alla linea". Per dar maggior visibilità al contributo del nostro "Bud Spencer", ho pensato di trasformare il suo testo in un post, con un pizzico di editing per miglior leggibilità (i corsivi e il link che trovate sono stati inseriti da me, così come il contributo multimediale). Authan

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TELESE E' CAMBIATO?

Carissimi,
visto che si parla (anche) di me, mi piacerebbe dire la mia.

E' curioso che qualcuno si chieda: Telese è cambiato? Nel senso che pochi si fanno la domanda giusta: ma abbiamo mai visto una cosa infame come quella di Scajola? Ecco, bisogna partire da qui. Quando ai tempi del caso Biagi diede del "rompicoglioni" ad una vittima del terrorismo pensavo e dicevo le stesse cose. Ho persino scritto, sul giornale, un articolo che ha contribuito (spero) alle sue prime dimissioni.

Quindi vi invito a questa operazione: non chiedetevi se uno si estremizza, ma domandatevi se non c'è il rischio che tutta l'Italia (sopratutto l'opposizione) si stia assuefacendo all'indecenza.

Ma vi voglio fare un controesempio: sono personalmente orgoglioso di tutti gli articoli che ho scritto sul giornale per documentare l'insipienza di Fassino. Allora qualcuno, anche nei blog, mi diceva "sì, ma tu non puoi pensare di essere credibile, anche si ci racconti delle notizie vere, perché tu lavori a Il Giornale, e quindi sei oggettivamente utile a Berlusconi". E se a Omnibus (ci sono intere registrazioni) parlavo male di Berlusconi e del Pd mi dicevano: "Ma tu critichi Berlusconi solo per renderti credibile, in realtà sei funzionale alla critica del Pd".

Bene, vi invito, per esercizio, non dico a leggere il mio libro sulla fine del Pci (una summa teologica di quello che dico da anni), ma almeno l'articoletto che ho scritto sull'assoluta inefficacia di Bersani in televisione. Ebbene, molti tendono a pesare quello che dici a seconda del clichè che hanno in testa. Evidentemente qualcuno penserà: "Telese prova a dimostrare che Bersani è un pirla perché sta in un giornale radicale, e a gridare a Scajola perché sta in un giornale radicale". In realtà io sono perfettamente lineare con quello che dicevo alla Zanzara di un anno fa (quando ero a Il Giornale) e che dico da dieci anni. Ovvero, in estrema sintesi: il bipolarismo all'italiana è una truffa. Berlusconi vince perché l'opposizione a Berlusconi è una tragedia. Meno male che ci sono i Pm che in questi anni hanno messo dentro qualche ladro. Capisco che possa non essere condivisibile, ma lo dico da mani pulite in poi, quasi da un ventennio.

Luca

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Luca Telese come Bud Spencer. Scena tratta dal mitico "Lo chiamavano Trinità".




Picchialo!