I temi scelti da Giuseppe Cruciani per la Zanzara di ieri (la scarsa credibilità di un elemento come Daniela Santanché, e, a margine del caso Di Girolamo, l'assurdità dell'attuale legge sul voto degli italiani all'estero; personalmente condivido in entrambi i casi le posizioni del conduttore) passano decisamente in secondo piano di fronte alla vera notizia del giorno: il sipario calato sul processo Mills, conclusosi con una non-sentenza di prescrizione da parte della Corte di Cassazione.
Mills, in sostanza, anche se responsabile del reato a lui contestato, non può essere punito. Ma al di là dei formalismi giuridici, che pure sono importanti, viene da chiedersi: quale aspetto conta di più, l'impossibilità di comminare una sanzione penale, o il timbro definitivo e indelebile sul fatto che la corruzione di Mills ha avuto effettivamente luogo?
Per me la risposta è ovvia. Che l'esatto momento nel quale collocare l'effettiva corruzione in atti giudiziari abbia un'oggettiva rilevanza da un punto di vista dell'effetto penale, in termini di punibilità o non punibilità, è chiaro, ma la medesima rilevanza non dovrebbe sussistere quando si passa a ragionare su un diverso piano, quello del giudizio politico. Che importa se la corruzione ha avuto luogo tre mesi prima o tre mesi dopo? Sempre di corruzione di tratta.
Si dà il caso, però, che le leggi della politica non godono di quell'universalità propria di quelle della fisica, le quali vigono certe e invariabili in ogni angolo del globo terracqueo. Nel Belpaese le leggi della politica sono malleabili e manipolabili a piacimento, e nulla può scalfire quelle montagne di cinismo, di faziosità e di indifferenza che ormai sovrastano le sparute isole di assennatezza.
Per oggi mi fermo qui, perché di sproloquiare ulteriormente su questa vicenda io non ne ho più voglia. A beneficio di chi volesse approfondire il tema della conclusione della vicenda Mills ascoltando le diverse campane, qui di seguito vi riporto i link agli articoli dei vari caporali degli eserciti del bene e del male. A cominciare dall'editoriale d'apertura di Libero, il cui titolo, per usare un eufemismo, grida vendetta.
Maurizio Belpietro su Libero
Giuseppe D'Avanzo su Repubblica
Vittorio Feltri sul Giornale
Peter Gomez sul Fatto
Giuliano Ferrara sul Foglio
Concita De Gregorio sull'Unità
PS. Se dopo aver letto tutto vi viene il mal di pancia, mandate giù un sano bicchiere di Ferrarella, che per la digestione fa sempre bene.
Luigi Ferrarella sul Corriere
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Pink Floyd, "Stop" e "The trial" (1974)
I wanna go home
Take off this uniform
And leave the show
But I'm waiting in this cell
Because I have to know
Have I been guilty all this time?