venerdì 30 ottobre 2009

La virtù meno apparente

Renato Brunetta, come ogni tanto accade, si è preso il centro della scena alla Zanzara di ieri, per via di una provocazione contenuta nel suo ultimo libro, in uscita in questi giorni. Non essendoci bisogno di controprove per riconoscere che il Sud del paese ha bisogno di una nuova classe dirigente, sostiene in sostanza il ministro, servirebbe una nuova "spedizione di Mille", un'invasione di funzionari e dirigenti pubblici esperti provenienti dal Nord che inneschino un meccanismo di rinnovamento totale, con la complicità degli "insorti locali".

Diciamoci la verità… La provocazione ha sì un suo lato intrigante, ma la sua applicabilità a livello concreto, come è stato riconosciuto dallo stesso Giuseppe Cruciani, è zero. Cosa si dovrebbe fare? Licenziare in tronco, tout court, da un giorno all'altro, tutti i dirigenti pubblici del sud? Per rimpiazzarli con chi, di preciso? Insomma, non ci vedo poi una differenza così grande con quelli che tempo fa, quando andava di modo parlare di casta e di anti-politica, chiedevano dimissioni di massa di tutti i parlamentari, suscitando reazioni irritate e sarcastiche da parte di Cruciani.

E' stato pertanto divertente constatare l'indulgenza con cui il conduttore della Zanzara, mettendo da parte per una volta il suo proverbiale spirito iper-pragmatico, ha comunque accolto la trovata di Brunetta, arrivando a dire, in un modo che potrebbe anche prestarsi ad interpretazioni ambigue (che io non farò), che per risolvere la questione meridionale servirebbe una “via rivoluzionaria” come quella che il ministro della funzione pubblica sembra aver prospettato, ammesso e non concesso che la sua fosse una proposta reale. Insomma, c'è stata l'ennesima esaltazione di Brunetta, idolatrato da Cruciani, e percepito come un'inesauribile fucina di idee innovative.

A portare tutti coi piedi sulla terra ci ha pensato Francesco Merlo di Repubblica, intervenuto come ospite, secondo cui Brunetta sbaglia in quanto il problema del Sud è di risorse e di opportunità mancanti più che di intelligenze mancanti. Lo scambio di vedute con Cruciani, però, ad un certo punto ha preso una piega diversa: Merlo prova una accesa e stra-nota avversione per Brunetta che, inevitabilmente, si è palesata quando il giornalista di Repubblica, nel terminare la sua critica alla provocazione del ministro (vista, evidentemente, secondo me peraltro esagerando, come un oltraggio ai meridionali) ha osservato come quest'ultimo ha “una smania di offendere, offende anche quando non vuole. Offende i funzionari, i poliziotti, i professori, gli studenti. Il suo modo di stare al mondo è di offendere perché chiede al mondo un risarcimento che il mondo non gli può dare”.

Lì per lì, Cruciani ha ingoiato tutto senza replicare. Ma poi, in un secondo momento, ci è tornato sopra, quando un ascoltatore, insistendo sul concetto del risarcimento di Brunetta, ha accostato quest'ultimo al "giudice" di una famosa canzone di Fabrizio De André (la quale narra di un uomo che patisce la sua bassa statura ma che trova riscatto negli studi, e, una volta diventato giudice, si ritrova a godere, nel dispensare pene, di un diverso senso di altezza), accostamento che io stesso, modestamente, avevo proposto un annetto fa, trovandolo del tutto naturale e innocuo, in un post incentrato su Brunetta dal titolo "La sindrome del giudice" (incidentalmente proprio in seguito ad una polemica aperta da Francesco Merlo... Ricordate i "fantuttoni", opposti ai fannulloni?).

Per Cruciani, in sostanza, Merlo, nell'esporre quella disamina psicologica, avrebbe offeso Brunetta. Secondo me non è assolutamente cosi. Che il ministro sia animato da una brama di rivalsa è un dato tangibile, che si percepisce un giorno sì e l'altro pure nei suoi atteggiamenti sproporzionati, nelle sue dichiarazioni sopra le righe, nel desiderio di essere sempre al centro dell'attenzione. E' la mera constatazione di un'evidenza, che non cela alcun affronto. Mica Merlo ha detto che Brunetta è una "carogna di sicuro" (sempre De André) essendo "nano", e che in quanto tale farebbe meglio a starsene muto e in disparte.

Tutti abbiamo un debole per qualcuno, ma le proprie predilezioni non devono diventare cieche e ossessive. Percepire intenti ingiuriosi o pseudo-razzisti, come ieri ha lasciato intendere Cruciani, in chi cerca (e, facilmente, trova) spiegazioni alle smanie di protagonismo e agli eccessi dialettici di Brunetta è semplicemente ridicolo. Il punto è un altro: la "virtù meno apparente", a cui molti vorrebbero che il ministro facesse ricorso, non è, in questo caso, quella sottintesa da De André, ma, visti i non apprezzabili risultati raggiunti finora nella modernizzazione della pubblica amministrazione, quella del cianciare meno e fare di più.

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"Il Garibaldi innamorato" è un graziosissimo pezzo di Sergio Caputo, datato 1987.




Cappello a larghe falde, e sotto un poncho marron,
E sotto il poncho, Anita mia, batte un corazon...


giovedì 29 ottobre 2009

Qualcuno era comunista

Darei un braccio per avere un argomento extra-Berlusca decente di cui parlare. Ma, in tal senso, che cosa mi ha offerto la Zanzara di ieri?

- Alessandra Mussolini che disquisisce sugli uomini che vanno con i trans.

- Antonello Venditti che parla del suo rapporto con la Calabria.

- Cesare Lanza che denigra piuttosto pesantemente Gad Lerner, per la gioia di un gongolante Cruciani.

Cosa volete che vi dica… Allargo le braccia e mi indirizzo sul solito Berlusconi, un evergreen buono per tutte le stagioni.

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Era partito col piede giusto, Cruciani, ieri, interrogandosi sul perché un presidente del consiglio debba sentire l'esigenza di irrompere telefonicamente in una trasmissione televisiva per tenere un comizio condito dai suoi soliti sondaggi bulgari, e per litigare con gli ospiti in studio e con il conduttore, come è successo martedì scorso durante Ballarò. E' un comportamento ridicolo. Un premier concentrato sulla sua missione istituzionale (sintetizzo il Crux-pensiero) "se ne dovrebbe altamente fregare di un dibattito televisivo, perché i dibattiti vanno e vengono, e quando finiscono, generalmente, dopo un giorno vengono dimenticati". Sacrosanto.

A quel punto, perché un ascoltatore standard non dovrebbe lecitamente aspettarsi un passo in più? Cruciani ha fatto trenta, faccia trentuno, e s'inventi una nuova sigletta, una rubrichina, un motivetto sciocchino che dia il via ad una sacrosanta stagione canzonatoria per un leader politico che, manco fosse il senatore McCarthy dell'America anni '50, insiste nel vedere comunisti in ogni dove, specie nella magistratura, ma solo quando le sentenze sono a lui sfavorevoli.

E invece niente. Un-minuto-uno, e già siamo al gesto riparatore, alla caramellina, al guanto di velluto. E giù stoccatine a qualche antiberlusconiano pescato qua e là, a fare da contraltare. Perché sia mai, MAI, che il conduttore della Zanzara possa essere scambiato da qualcuno per antiberlusconiano. Non potrebbe sopportarlo. Piuttosto che vedersi un giorno accomunabile a gentaglia della risma di Travaglio (che Cruciani nomina con lo stesso tono spezzante con cui un Casini qualsiasi nominerebbe Luxuria), meglio la morte.

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"Qualcuno era comunista" non è solo il titolo dell'ultimo libro di Luca Telese, ma anche quello di un incantevole e struggente monologo del mai troppo compianto Giorgio Gaber. Buona visione.




mercoledì 28 ottobre 2009

Tolleranza a doppio zero

Disapprovo quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto di dirlo. Questa massima che tutti attribuiscono a Voltaire (sebbene in realtà, giusto per la cronaca, non ci sia alcuna evidenza che lo scrittore francese abbia mai sostenuto o scritto una cosa del genere) è stata la colonna portante della Zanzara di ieri.

Il riferimento era al caso di Giancarlo Gentilini, il sindaco e prosindaco leghista di Treviso che nei giorni scorsi è stato condannato dal tribunale di Venezia per istigazione all'odio razziale, in conseguenza di alcune frasi particolarmente forti pronunciate durante un raduno della Lega nel capoluogo veneto che ebbe luogo nel settembre 2008. La pena stabilita consiste in un'ammenda di 4000 euro e nel divieto per tre anni a partecipare a comizi politici.

E proprio quel divieto a tenere comizi il conduttore della Zanzara non lo ha mandato giù. Precisiamo: da parte di Cruciani non c'è nessuna difesa della persona in sé o dei concetti espressi da Gentilini, che, anzi, “fanno schifo” (testuale). C'è solo la difesa di un principio, del diritto di chiunque di pronunciare qualunque boiata perché la libertà di espressione sta proprio in questo.

Ebbene, io le "buone intenzioni" di Cruciani le colgo, e di certo non mi unisco al coro di quelli che lo hanno coperto di improperi per la sua presunta e inesistente levata di scudi a favore di Gentilini. Però, dall'altro lato, questo mettersi a parlare di diritti, di libertà, di principi, mi sembra una gigantesca contraddizione con tutto il Cruciani-pensiero che si fonda sull'assioma che in Italia le libertà fondamentali sono ampiamente garantite.

Andando nel particolare, mi è del tutto incomprensibile come si possa interpretare la sentenza del tribunale di Venezia come un bavaglio censorio messo intorno alla bocca di Gentilini. Non è così. A Gentilini nessuna vieta di esprimere le sue opinioni, di rilasciare interviste a giornali, radio e tv, di intrattenere gli amici al ristorante, o, al limite, di arringare i passanti salendo sul predellino di un'auto. Quello che non potrà fare, per un periodo di tempo limitato, è partecipare a comizi organizzati, ufficiali, di natura prettamente politica, perché è nell'ambito di un comizio politico che il reato di istigazione all'odio razziale è stato commesso.

Qualcuno dirà: ma allora se la volontà di eliminare i bambini rom l'avesse pronunciata in televisione, che pena gli sarebbe stata inflitta? Il divieto di comparire nei talk show? Questa obiezione non ha senso, perché Gentilini, in televisione, non manifesterebbe mai la sua intolleranza in quel modo, con quei toni, con quelle esatte parole così abiette. Né lo farebbe nell'ambito di un'intervista alla carta stampata o in radio.

L'unico ambito in cui Gentilini, sentendosi in qualche modo protetto e autorizzato dal branco adorante, si prende la libertà di andare pesantemente oltre (sottolineo, pesantemente oltre) la normale dialettica e il normale esercizio del libero pensiero è quello dei comizi, dei raduni delle folle leghiste. Il tipo di punizione stabilito dal tribunale è la semplice conseguenza di tale constatazione. Si è voluto punire Gentilini là dove questi era effettivamente in grado di far particolarmente male con le parole, vietandogli l'unica vetrina in cui il prosindaco ha mostrato incapacità nel "trattenersi".

Non si tratta perciò di un bavaglio o di un cerotto sulla bocca, ma di una semplice punizione, una specie di squalifica, come per i calciatori. Gentilini ha violato le regole del gioco e la giustizia lo ha "squalificato" rendendogli impossibile, almeno per un po', violare le medesime regole nell'unico campo in cui può effettivamente e palesemente violarle, quello dei comizi. A me non sembra difficile da capire. Anzi, mi sembra solare, lampante.

Cosa avrebbe preferitito, Cruciani, in alternativa, pur di mantener fede al suo principio? Che Gentilini venisse sbattuto al fresco per tre anni con il diritto, però, di organizzare comizi nel cortile del carcere?

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Prince, "I would die for you" (1984)





martedì 27 ottobre 2009

Una telefonata ti salva la vita

E tre. E' andato in onda ieri alla Zanzara il terzo round tra Giuseppe Cruciani e Luca Telese che da quando hanno smesso di sp... sviolinarsi a vicenda danno spettacolo. Il tema della discussione era il caso Marrazzo, con le sue possibili similitudini con la vicenda Berlusconi/escort e con il coinvolgimento "laterale" del cavaliere, il quale, come noto, è stato proprio colui che, con una telefonata, ha avvisato per primo il presidente della regione Lazio sull'esistenza del famoso video compromettente.

Proviamo a fare ordine su questi aspetti, partendo dal parallelismo tra i casi Marrazzo e Berlusconi. Ci sono a mio avviso dei chiari punti di contatto, identificabili in una gestione allegra della vita privata che diventa un problema nel momento in cui riguarda uomini delle istituzioni (per una questione di decoro – non di moralità, che è soggettiva – e per la possibile esposizione a ricatti), e in un rapporto non trasparente, condito da bugie piccole e grandi, con gli elettori i quali si aspettano, dai propri rappresentanti, una dedizione assoluta al ruolo.

Tuttavia, le due vicende non sono sovrapponibili in toto. Nel caso Marrazzo ci sono elementi aggravanti, che non sto a citare perche sono noti, che nel caso del premier mancano o non sono comprovati (la consapevolezza dello status di escort della D'Addario, la presenza di ricatti). Pertanto, se il sostenere che le due vicende non sono assolutamente paragonabili, come fa Cruciani, mi sembra assurdo, il trovare degli automatismi tipo "se Marrazzo si è dimesso lo deve fare anche Berlusconi", come in sostanza ha fatto Telese, mi sembra altrettanto una forzatura. Cio non toglie ci ci siano mille valide ragioni per ritenere che, al di là dell'investitura popolare (di cui pure Marrazzo godeva, anche se nessuno ha interesse a ricordarlo), Berlusconi non sia degno del ruolo che ricopre. Ne dico una per tutte: mignottocrazia.

Passiamo ora alla famosa telefonata tra Berlusconi e Marrazzo menzionata poc'anzi. Per Cruciani si tratta di un mero gesto di “cortesia istituzionale”, e la chiude lì. Telese, invece, sottolinea (ricalcando un suo commento sul sito del Fatto) come il consiglio dato dal cavaliere a Marrazzo di tentare di fermare il ricatto comprandosi il video sia grave, perché la mossa più appropriata e rigorosa sarebbe stata invece quella di suggerire di recarsi spontaneamente in procura. In realtà noi non conosciamo i contenuti esatti della conversazione, e quindi non so se vale la pena fare un processo alle intenzioni.

Piuttosto, ad essere interessante è ciò che sta a contorno della telefonata, come ha sottolineato molto bene Antonio Polito, anch'egli ospite alla Zanzara. Berlusconi, non nel ruolo di premier, ma in quello di editore di un diffusissimo settimanale, ha avuto nelle mani informazioni compromettenti, non pubbliche e non ottenute istituzionalmente, riguardo un suo avversario politico, e si è trovato nella condizione di poter decidere cosa farne. Scrive oggi Giuseppe D'Avanzo su Repubblica: “Il premier è padrone del gioco. Pollice giù, e scatta l'aggressione. Pollice su, e il malvisto finisce in uno stato di minorità civile”.

In questo caso, a quanto pare, Berlusconi si è limitato a comunicare l'informazione all'interessato. Ma chi garantisce che in futuro non ci possa essere un uso politico di tipo maligno e aggressivo? Questo è un altra sfaccettatura del sempiterno conflitto di interessi, forse fino ad oggi particolarmente sottovalutata rispetto a quell'altro aspetto legato alla "fabbrica del consenso".

Lo stesso tasto viene premuto da Massimo Gramellini nel suo consigliatissimo "Buongiorno" di oggi, sulla Stampa. Ne cito un frammento: “Non importa che il presidente del Consiglio abbia evitato di infierire. Resta il fatto che, grazie al suo ruolo di tycoon mediatico, gli era stata offerta la possibilità di distruggere un avversario politico. E pensare che molti fingono ancora di non capire quale differenza passa, ai fini delle regole democratiche, fra il possesso di una fabbrica di frigoriferi e il controllo di una che produce rotocalchi e programmi televisivi”. Capito, Cruciani?

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In chiusura volevo levarmi un piccolo sassolino nei confronti di Alfonso Signorini, direttore di Chi, che ieri ha raccontato la sua scelta di non acquisire il video di Marrazzo, al prezzo proposto di ben 200mila euro, dopo averlo visionato. Ho due domande, caro Signorini: prendendo per buona la sua etica professionale, e sapendo a grandi linee quale sarebbe stato il contenuto del video, che bisogno c'era di visionarlo? E se il video fosse costato un tozzo di pane, lo avrebbe acquistato?

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Coraggio, Marrazzo. Hai perso tutto, ma hai trovato un amico.

James Taylor & Carole King, "You've got a friend" (1971)




When you're down and troubled
and you need a helping hand,
and nothing, nothing is going right.
Close your eyes and think of me
and soon I will be there
to brighten up even your darkest nights.

You just call out my name,
and you know wherever I am
I'll come running, oh yeah baby
to see you again


lunedì 26 ottobre 2009

Punto di non ritorno

Gli sviluppi che la vicenda Marrazzo ha avuto durante il weekend rendono un po' superate le considerazioni avanzate sul tema da Giuseppe Cruciani durante la Zanzara di venerdì 23 ottobre. Considerazioni che peraltro erano state piuttosto scarne, vaghe, titubanti, come se il conduttore della trasmissione non sapesse bene da che parte prendere il caso: se da quello ipergarantista, o da quello del confronto con la vicenda Berlusconi/escort, o da quello dell'atteggiamento della stampa destroide, sinistroide, o "terzista". Ma forse tutto si spiega semplicemente con il fatto che i contorni della vicenda, venerdì sera, erano tutt'altro che ben definiti.

E allora per una volta metto un attimo da parte Cruciani e dico la mia sullo scandalo che ha coinvolto il governatore della regione Lazio. Piero Marrazzo ha commesso tre errori imperdonabili:

1) Si è messo nelle condizioni di essere ricattabile. Se, per un comune cittadino, la frequentazione di prostitute è una questione privata della quale l'unica persona ad avere titolo, caso mai, per chiedere giustificazioni è la moglie (posto che esista), per un rappresentante delle istituzioni non è così. Concedersi svaghi che implicano una potenziale esposizione a ricatti non è ammissibile, perché l'esercizio del ruolo pubblico può risultarne gravemente condizionato.

2) Ha subito il ricatto senza denunciarlo. E in questo modo ha peggiorato la situazione, l'ha resa irreparabile, portandola ad un punto di non ritorno. L'atto del cedere ad un ricatto (per quanto vile ed esecrabile, specie tenendo conto che gli autori sono quattro carabinieri) è incompatibile con la politica, e a maggior ragione per chi ricopre un ruolo di responsabilità. Significa essere deboli, non avere polso, non avere capacità di tenere tutto sotto controllo. Il lato umano della vicenda lo capisco: l'imbarazzo, la vergogna, le spiegazioni da fornire alla moglie. Ma l'istituzione, ciò che si rappresenta, deve avere la priorità. Marrazzo doveva rivolgersi di sua iniziativa alle autorità, e non l'ha fatto.

3) Ha mentito in modo clamoroso. Quando la storia è deflagrata, lo scorso venerdì, per un intero giorno Marrazzo ha provato a cavarsela biascicando un sacco di balle, autoinfliggendosi, in tal modo, il colpo di grazia, visto che ormai il vaso di pandora era scoperchiato. Regola numero 1 a pagina 1 del manuale del perfetto politico: mai, mai, mai, mai, mai mentire ai cittadini. Mai.

Ciascuno di questi tre errori, preso singolarmente, era sufficiente per suggerire l'abbandono dell'incarico. Messi insieme, diventano una pietra tombale. Non solo per quel che riguarda il mentenimento del ruolo di governatore del Lazio, ma per l'intera carriera politica. Prendere coscienza di ciò, comprendere che un futuro nelle istituzioni non è più concepibile, era importante e la scelta di Marrazzo, molto dignitosa – gli va riconosciuto – di autosospendersi dalle funzioni dichiarando di “voler sparire” merita un applauso. L'ultimo. Perché quel "voglio sparire" io lo prendo molto sul serio. L'uscita di scena dove essere definitiva, senza reentry da porte di servizio alla Cosimo Mele.

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Col senno di poi, c'è, a dire il vero, qualcosa detto da Cruciani venerdì scorso che suona davvero ridicolo. Secondo il conduttore della Zanzara, ispirato presumibilmente da un pezzo anonimo apparso sul sito de l'Occidentale (il quotidiano online dell'amicone di Cruciani, Giancarlo Loquenzi), la stampa avrebbe trattato il caso Marrazzo “con garbo” rispetto agli scandali sessuali di Berlusconi, lasciando intendere un certo doppiopesismo (e di chi se non di Repubblica...).

Chi di voi ha potuto dare un'occhiata ai giornali di sabato e domenica avrà verificato come i toni della stampa siano presto radicalmente cambiati. Giuseppe D'Avanzo, in un suo articolo apparso su Repubblica di sabato (quindi scritto prima che Marrazzo ammettesse tutto) è stato tutt'altro che tenero verso l'ex conduttore di "Mi manda Raitre", invitandolo ad assumersi in pieno le proprie responsabilità e a trarne le conseguenze. I giornali destrorsi, invece, che sul caso D'Addario erano stati super difensivisti nei confronti di Berlusconi, hanno imbracciato revolver, mitragliatori e bazooka, con particolare pruriginosa insistenza sulla parola "trans" (come se andare con un transessuale fosse in qualche modo più spregevole che non andare con una prostituta "standard").

La risposta al quesito su dove stia il doppiopesismo la lascio, come si suol dire, al lettore attento.

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Si è quasi trasformato in un disc jokey, Cruciani, lo scorso venerdì, mandando frammenti di canzoni di Battiato, Bennato, Venditti e De Gregori. E allora, proseguendo sullo stesso solco, ispirato da un articolo di Luca Telese sul Fatto di sabato, vi propongo un pezzo leggendario di Fabrizio De André: “La guerra di Piero” (1964).




Cadesti a terra senza un lamento
E ti accorgesti in un solo momento
Che la tua vita finiva quel giorno
E non ci sarebbe stato ritorno

venerdì 23 ottobre 2009

Più grinta, Cruciani!

Se ci fosse un premio per l'ascoltatore del mese, credo che Antonio da Foggia, l'ultimo ad intervenire ieri in chiusura di trasmissione, quello che ascolta contemporaneamente la Zanzara alla radio e i Pink Floyd col lettore CD, quello che chiama Cruciani perche “gli vuole bene”, quello che vorrebbe che Cruciani tirasse fuori “più grinta”, quello che Mastella bisognerebbe “sbranarlo”, “farlo a pezzi” e “prenderlo a schiaffoni sulla bocca”, vincerebbe a mani basse.

"Sbranare", ovviamente, si fa per dire... Non è che si voglia realmente vedere il sangue. Solo si gradirebbe, da parte del conduttore della Zanzara, un po' più di polso nell'esprimere una nota di biasimo nei confronti della nuova vicenda Mastella. Antonio ha ragione, Cruciani su certi temi semplicemente non ci mette neanche un briciolo di passione, mentre su altri, di importanza non superiore (l'antiberlusconismo, l'appello sulle donne di Repubblica, l'estradizione di Cesare Battisti, ecc), chissà perché diventa un cuor di leone.

Qualcuno ribatterà che è una questione di sensibilità. Ma certo, per carità. Però la medesima questione di sensibilità vale anche per gli ascoltatori, e io come Antonio da Foggia ieri ho trovato incomprensibile la mano leggera con cui Cruciani ha espresso le sue osservazioni sul neo europarlamentare PDL. Non che Mastella sia stato difeso a spada tratta, sia chiaro, ma neppure è stato messo su una graticola paragonabile a quelle dei radiolondrati, per capirsi.

Intendiamoci, io non ne faccio una questione di codice penale. Su quel piano, rimango in attesa degli eventi e delle decisioni della magistratura, e non apro bocca.

Il giudizio da dare qui è tutto politico, ed è un giudizio pesantissimo. Mastella (ma non solo lui) "segnalava" persone da far assumere in un'agenzia regionale campana e di certo non lo faceva sulla base di criteri di merito e di potenziali capacità desunte da una profonda conoscenza di tali persone. Pertanto, non di segnalazioni si trattava, ma di raccomandazioni vere e proprie, nella peggiore accezione del termine.

Mastella si è difeso dicendo che intendeva aiutare persone povere, bisognose, e che lo faceva, in sostanza, per amore di un territorio sofferente. Insomma, egli sarebbe un benefattore, un simil Robin Hood. Peccato che questo Robin Hood in salsa ceppalonese dà ai poveri non rubando ai ricchi ma rubando a tutti indistintamente. Perché gli stipendi ai raccomandati li pagano tutti i cittadini.

Mai preso una lira”, ha poi aggiunto l'ex ministro della Giustizia. E qui si meriterebbe un altro doppio schiaffone andata e ritorno. Perché è evidente che il tornaconto di Mastella nell'elargire posti di lavoro a pioggia non stava in ipotetici proventi economici, ma nel consolidamento di una rete clientelare basata sul voto di scambio. Non si può prendere in giro la gente così, bisogna dirlo chiaro e forte che i fenomeni corruttivi non si fondano esclusivamente sulle mazzette in busta chiusa passate di nascosto da una mano all'altra, e io questo ieri alla Zanzara tanto chiaro e forte non l'ho sentito.

Poi è evidente che Mastella non è l'unico a far "politica sul territorio" in quel modo. Però non ci si può sempre trincerare dietro il craxiano "così fan tutti" per non dare il giusto peso alla vicenda. Quel "così fan tutti" deve diventare un "così non deve fare più nessuno", porcozzìo. Mantenersi a distanza non è più accettabile, bisogna alzare lo spadone e menare fendenti. E se da qualche parte bisogna pur cominciare, tanto vale farlo con colui che di questa mostruosa anti-politica (altro che Beppe Grillo) è l'emblema.

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Mentro scrivevo questo post, ascoltavo i Pink Floyd.
"Wish you were here" (1975)




How I wish, how I wish you were here
We're just two lost souls swimming in a fish bowl
Year after year
Running over the same old ground
What have we found?
The same old fears
Wish you were here


giovedì 22 ottobre 2009

Serve un disegnino?

Anche oggi lascio la parola a Paolo, sempre meno "affiliato" e sempre più "socio" di questo blog, per affrontare la questione delle graduatorie internazionali sulla libertà di stampa. Graduatorie che, pur non essendo da prendere come rivelazioni divine in chiave antiberlusconiana, non sono neppure da vituperare in modo così sfacciato come fa sempre - anche ieri - Giuseppe Cruciani.

Mi concedo solo un cappello iniziale sulla stantia Radio Londra, perché voglio mantenere fede alla mia promessa di tenere traccia di tutti i disgraziati che cadono sotto la scure del conduttore della Zanzara. Ieri sono stati decapitati “l'innocuo” (definizione di Cruciani) Alberto Asor Rosa, vegliardo critico letterario, su cui soprassiedo, e Curzio Maltese, giornalista di Repubblica, che invece omaggio segnalando il suo pezzo sulla nuova Tangentopoli, secondo me molto interessante e sagace, apparso nell'edizione di oggi del quotidiano di Largo Fochetti.

Maltese, nello specifico, è stato radiolondrato per aver rispolverato il parallelo tra Berlusconi e Peron, ricordando come in Argentina, nel dopo Peron, presero il potere i generali. A questo proposito, faccio presente che Lucia Annunziata, giornalista credo non radiolondrizzabile, in un estemporaneo articolo sul Fatto di oggi, si pone dei dubbi simili anche se con toni mooooolto più sfumati. Cito: “Silvio Berlusconi non è forse mai stato vulnerabile come in questo momento. E mai come in questo momento ha poche strade ordinarie da percorrere. Cosa farà dunque? Il luogo più inquietante della nostra vita pubblica è oggi proprio dentro questo interrogativo”. Notare l'aggettivo "ordinarie".

Paolo, a te la linea.

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Buongiorno,
ci sono cose che Cruciani non vuole credere. Una di questa è che in Italia possa esistere una limitazione alla libertà di stampa. Nulla di male, basta avere gli argomenti per poterlo sostenere, ma ieri sera Cruciani ha dimostrato di non averne.

In primo luogo, Crux ha sentenziato che è assurdo affermare che l'Italia goda di meno libertà di stampa di Trinidad eTobago, come invece afferma la graduatoria di Reporter sans Frontieres, che ci posiziona in 49esima posizione.

Da Wikipedia ricavo Trinidad e Tobago è uno stato caraibico, ex colonia britannica, democratico, relativamente ricco di risorse, la cui popolazione gode di un reddito decente, di un ottimo tasso di alfabetizzazione, ecc. ecc.: insomma non una dittatura, né una repubblica delle banane. Nulla che debba far credere che non possa godere di libertà di stampa. Tutte informazioni a portata di mano anche del conduttore, che invece fonda le proprie convinzioni su un pregiudizio da manuale, e ci si possono fare brutte figure. Ma si può condizionare l'informazione non dicendolo in trasmissione.

In secondo luogo il conduttore della Zanzara ha contestato la validità della graduatoria sostenendo che dovevano essere resi noti i nomi di chi in Italia aveva concorso alla sua stesura (per una quota del 20%) rispondendo ad un questionario. E' facile spiegare che anche questa è una baggianata, e cercherò di farlo in maniera comprensibile anche a Cruciani (Crux, se serve faccio un disegnino, eh!).

Per fare una graduatoria bisogna che tutti i soggetti in gioco siano misurati allo stesso modo. Altrimenti, mi basta scegliere per ogni candidato un metro diverso ed ottengo il risultato che voglio, così da usarlo per sostenere qualsiasi puttanata escortata, ma non ottengo certo un confronto oggettivo (ne avevo discusso recentemente con un frequentatore del blog che ritiene invece talvolta di doverlo fare).

Quindi, nel momento in cui Reporter sans Frontieres adotta dei questionari, questi dovranno essere in tutti gli stati anonimi oppure in tutti gli stati riconducibili al compilatore, se no si creano disparità.

Lascio che sia il famoso giornalista nord coreano Kim Il Jorn Alin, a spiegare cosa nel suo paese comporta esprimere libere: “Buongiolno, nella Lepubblica Democlatica Popolale della Kolea del Nold potrebbe essele vagamente spiacevole esplimele opinioni che possano illitale il governo facendo appalile in cattiva luce le sue scelte. Vi chiedo scusa, devo liappendele, pelchè due gentili membli del nostlo efficiente selvizio segleto mi stanno calicando su un callo destinato ad un alleglo campo di lavolo nelle risaie del nold del paese pel quanto vi ho appena detto…”.

Dopo queste affermazioni credo che possa essere universalmente accettato che i questionari di Reporter sans Frontieres debbano essere e rimanere anonimi in tutto il mondo.

Ciononostante, voglio fare uno strappo alla regola ed integrare quanto già detto in trasmissione a riguardo dal vicepresidente di Reporter sans Frontieres (e cioè che non sono stati interpellati giornalisti di Repubblica né dell'Unità). Da fonti riservate ho saputo che hanno compilato i questionari in questione i seguenti giornalisti (accidenti, mi sono giocato Ezio Mauro ed Augias): Boffo, Mentana, Santalmassi, Gabanelli, Santoro, Ruotolo, Floris, Travaglio, Montanelli e Biagi (entrambi questi ultimi due contattati in seduta spiritica), tutti professionisti che Cruciani sostiene non abbiano mai subito limitazioni alla possibilità di esprimere liberamente le loro opinioni: mi pare quindi che le fonti siano attendibili e qualificate :-)

Per chiudere, una sola velocissima nota sulla tizia lungamente intervenuta contro i giovani che vorrebbero il posto fisso, a differenza dei loro genitori (che, chissà perché, non lo volevano, ma ce l'hanno e lo difendono con le unghie e con i denti, non lo trovate strano? Per essere flessibili basterebbe licenziarsi...). Se avesse sostenuto con quei toni ed analoghi argomenti la posizione opposta Crux l'avrebbe (giustamente) sbeffeggiata come radical chic. Ma tant'è...

Saluti

Paolo il Reporter Sans Frontieres

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(Authan) Sigla finale: Peter Gabriel, "Games without frontiers" (1980).



In games without frontiers, war without tears
Games without frontiers, war without tears...


mercoledì 21 ottobre 2009

Lento, ma affidabile

Oggi vi propongo - strappo alla regola, ma ne vale la pena - un post fiume, ad opera di Paolo. Leggere, mi raccomando, che poi Paolo vi interroga. E non fate mancare un bel po' di commenti. Ciao, Authan

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[Il post di oggi è a firma di Paolo]

Chi ha vissuto l'inizio dell'epoca dei Personal Computer sa che questa era la formula per rifilare ad un cliente ingenuo un fondo di magazzino di marca. La frase mi è venuta in mente sentendo prima Giulio Tremonti (!), adesso Silvio Berlusconi (!!!) elogiare il posto fisso (e ciò è stato il tema maggiormente dibattuto durante la Zanzara di ieri).

Voglio ipotizzare che i due siano in buona fede (anche se il premier smentisce oggi quello che ha detto ieri, quando dissentiva da Tremonti, ma alle smentite del cavaliere siamo abituati) e quindi anche a loro va un "Ben svegliati!".

Se pensate che tutto quanto segue (con l'eccezione della chiusa) è un torrenziale post preconfezionato sulla crisi che è stato da me inviato ad Authan dieci giorni fa ed è il frutto di mie "meditazioni" estive, vi renderete conto dell'intempestività e della banalità dell'uscita, che arriva per di più solo dopo un anno di conseguenze catastrofiche della scelta di orientare il mercato del lavoro verso la precarietà. Abbiamo un governo lento, ma affidabile. Praticamente un bidone.

* * *

Spesso mi capita di constatare che la scelta di un determinato linguaggio serve a nascondere delle informazioni più che a renderle chiare. Questo comportamento diviene pericoloso quando influisce sulle scelte delle persone, come avviene in politica. In particolare mi sto accorgendo di come la crisi economica stia diventando un campo in cui questa pratica è applicata molto massicciamente, con il risultato spesso di non far capire quali siano state le scelte che hanno portato al disastro, chi ne sia stato responsabile, se la bufera sia ormai passata e se si possa stare tranquilli per il futuro.

Come possiamo tradurre in linguaggio comprensibile l'affermazione che abbiamo importato dagli USA una crisi originata dai sub-prime e dalla speculazione immobiliare? Perché ci dicono che le nostre banche hanno erogato un credito più sano che negli USA? E perché dovremmo uscire dalla crisi meglio degli altri?

Passatemi qualche semplificazione e fate un piccolo sforzo di immaginazione per vedere la cosa nel suo contesto.

Immaginate di essere una banca USA un po' di anni fa, diciamo almeno 10 - 15. Il signor John Smith vi richiede un mutuo prima casa. E' un normale dipendente USA, e come tale un debitore a rischio nella misura in cui può perdere da un giorno all'altro il lavoro o l'assicurazione sanitaria. Il fatto che gli USA siano in crescita economica e che il valore degli immobili cresca nel tempo vi forniscono però delle garanzie sufficienti a pensare che se dovesse rimanere senza lavoro ne troverebbe un altro e resterebbe solvibile, mentre l'accrescersi del valore del suo immobile (che ipotecherete e quindi potrete eventualmente rivendere) vi fornisce garanzie sufficienti in quelle condizioni. Poiché il mercato, di fatto, non vi offre potenziali debitori più affidabili (il mercato del lavoro lì è quello che è), gli erogate il mutuo e finché la situazione rimane così, va tutto bene.

Cosa succede contemporaneamente in Italia? Qui la situazione è diversa, non tanto per quanto riguarda il mercato immobiliare, quanto per quello del lavoro. Infatti, i dipendenti sono per la quasi totalità a tempo indeterminato e difficilmente licenziabili. I primi esempi di lavoratori atipici (equivalenti ai dipendenti USA) non danno garanzie personali sufficienti, non trovano accesso al credito, non possono accendere un mutuo né avere carte di credito. Qualche privilegiato rimedia attraverso "garanti" diversi (ma si tratta per l'appunto di privilegiati), quindi non rimane precario a lungo. Perché una banca dovrebbe esporsi al rischio di finanziare debitori quali i lavoratori precari, quando il mercato ne offre molti di più solvibili? Non a caso la situazione cambia solo circa cinque anni fa: da anni i dipendenti vengono assunti solo con contratti precari e restano precari: il mercato del credito, in mancanza di debitori più solvibili, è costretto ad adeguarsi a questa nuova realtà e comincia ad offrire mutui anche a queste persone. Questa è la fase di preparazione della crisi.

Torniamo negli USA: ad un certo punto la situazione cambia e l'azienda per cui lavora John Smith va in crisi o "delocalizza" e con lei lo fanno molte altre.

Le banche non si sono fatte trovare impreparate. Quando hanno visto che la situazione economica stava cominciando a cambiare si sono rese conto che quei crediti non sono più facilmente esigibili, hanno smesso di erogarli, li hanno etichettati come sub-prime ed hanno scelto la strada più facile: hanno creato dei prodotti finanziari non trasparenti (i derivati) strutturati accorpando a questi crediti esigibili con sempre maggior difficoltà, altre componenti (azionarie, obbligazionarie, assicurative, etc.) e li hanno venduti in modo da liberarsi del problema. A causa della scarsa trasparenza dei prodotti stessi, ogni banca ha potuto vendere i propri derivati, ma ha anche comperato quelli dagli altri, riprendendosi in tutto o in parte i rischi di cui pensava di essersi liberata.

A livello europeo le banche giungono a sottoscrivere gli accordi "Basilea II" per limitare il credito a rischio. Oggi l'UE ipotizza dei limiti al finanziamento ancora più restrittivi.

E le banche italiane? La loro esposizione con i mutui sub-prime è minima (solo da poco esistono prodotti per lavoratori atipici, quindi ne hanno erogati pochi e smettono ai primi accenni di crisi) hanno però acquistato ed in gran parte rivenduto (spesso a pubbliche amministrazioni) derivati di ogni provenienza. La loro esposizione è invece forte sul fronte delle piccole e medie imprese, che non danno garanzie solide e che, a causa degli scarsi investimenti in ricerca e sviluppo stanno soffrendo la concorrenza sia dei paesi produttori a basso costo che di quelli ad alto livello tecnologico.

Intanto negli USA i John Smith che perdono lavoro ed assicurazione sanitaria sono moltissimi, non trovano lavoro, smettono di pagare le rate del mutuo (e delle carte di credito) ed il mercato immobiliare rallenta o crolla, per cui le garanzie derivanti dalle ipoteche vengono di fatto cancellate: i mutui sub-prime fanno esplodere la crisi, i derivati la propagano sia a livello geografico sia al di fuori del contesto bancario. E' la crisi globale degli ultimi due anni.

Sulla base di quanto sopra facciamoci un po' di domande, per definire responsabilità e prospettive.

Era immaginabile tutto ciò oppure si è trattato di una fatalità?

Il fatto che le banche si fossero attrezzate per scaricare il problema su altri è la chiara dimostrazione che era previsto, oltre che prevedibile.

Le banche italiane si sono comportate meglio delle altre?

No, beneficiavano un mercato migliore, grazie al vecchio modello italiano del mercato del lavoro, per cui hanno generato molti meno sub prime. Hanno invece trattato derivati come tutti gli altri.

Come si è comportata la politica italiana?

Non ha saputo prevedere e normare in modo da evitare la situazione. Ha promosso di fatto lo sviluppo del modello delle PMI (piccole e medie imprese), che offrono minori garanzie di solvibilità, peggiorando la qualità del credito anche su questo fronte. Ha favorito un mercato del lavoro "flessibile e moderno" (scusate il sarcasmo) che ha peggiorato la qualità del credito.

Non ha, poi, ancora capito (sempre la politica italiana) che dovranno essere le PMI ad adeguarsi a Basilea II (cioè diventare debitori affidabili) e non viceversa. Ha fornito garanzie che hanno salvato dal fallimento le banche (è la possibilità di accedere ai Tremonti bond in se stessa la garanzia, e non il fatto che tu vi acceda realmente) senza avere in cambio strumenti che migliorassero l'eticità e la trasparenza del sistema bancario, né un miglioramento delle condizioni di credito per le imprese, favorendo una rendita parassitaria. Non ha fornito difesa dagli effetti della crisi né alle imprese né alle persone (se non molto limitatamente). Ha operato per diffondere ingiustificato ottimismo, ma non per eliminare le radici profonde della crisi.

Siamo fuori dalla crisi?

L'opacità dei derivati rende molto difficile sapere quanti crediti inesigibili vi siano ancora in giro ed in mano a chi. Alcuni settori dove era prevedibile vedere almeno qualche fallimento o comunque grasse difficoltà (carte di credito, assicurazioni, enti pubblici,..) sono rimaste stranamente apparentemente immuni alla situazione, il che, in mancanza di trasparenza si può spiegare in modi opposti dicendo che sono più sani di quanto immaginato, oppure che stanno mascherando i loro problemi. Resta il fatto che rimanendo gli stessi fondamentali economici è molto presto per tirare un sospiro di sollievo.

Ne usciremo meglio degli altri?

Poiché ogni stato ha sostanzialmente fatto da solo, le situazioni sono le più varie: l'Italia è stata coinvolta meno di altri nei crack finanziari, ma ha preferito la tutela del mondo finanziario in luogo di quello imprenditoriale / industriale. Gli USA hanno fatto una scelta opposta, lasciar fallire le banche e provare a promuovere chi produce reddito e capitale (vedi iniziative per la green economy e riforma della sanità). Già sul medio periodo questa seconda scelta dovrebbe riuscire vincente.

E' evidente che le risposte individuano nel tempo e per competenza le responsabilità di alcuni imprenditori, politici e banchieri, che farebbe piacere venissero sottaciute dietro al linguaggio pieno di termini aventi valore "mistico" (cattiva finanza, derivati, sub-prime, crisi importata, etc.) che tanto ama il ministro Tremonti: quanto sta avvenendo è la conseguenza delle scelte dei modelli economici adottati operate da costoro.

Quanto sopra, ovviamente, rispecchia le mie opinioni per quello che sono riuscito a capire leggendo un po' ed ascoltando quando posso il Sebastiano Barisoni su Radio 24: da un premier e da un ministro delle Finanze credo sia legittimo aspettarsi una capacità previsionale ed analitica un po' superiore, e a me sembra non sia stato così…

Saluti

Paolo, l'economista

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(Authan) La mia personale opinione sull'uscita di Tremonti relativamente al posto fisso coincide, tanto per cambiare, con quella del prof. Pietro Ichino, che vi riporto qui sotto. Ciao.




martedì 20 ottobre 2009

Il giochino dei rinfacci

Come un ragazzino che alla fine di una partita di ping pong, insoddisfatto dell'esito, chiede subito la rivincita, Giuseppe Cruciani, alla Zanzara di ieri, ha fatto reintervenire Luca Telese, già protagonista della trasmissione di venerdì, per proseguire con lui il dibattito sulla vicenda del servizio di Mattino 5 sul giudice Raimondo Mesiano.

Stavolta, però, Cruciani, al contrario di venerdì, non ha usato concetti sconclusionati basati sull'improvvisazione più totale, ma ha trovato sostegno e ispirazione nell'articolo, apparso sul Foglio di ieri, a firma di colui che per il conduttore della Zanzara è una sorta di feticcio giornalistico, maestro sapiente e guida spirituale: Giuliano Ferrara.

In sostanza il pensiero profondo di Ferrara è questo: che titolo hanno di inalberarsi a difesa del giudice Mesiano coloro che non dissero nulla di fronte alle monetine lanciate contro Craxi, ai linciaggi mediatici subiti da Previti, Poggiolini, e mille altri imputati in attesa di giudizio? Per Cruciani questo ragionamento è “inattaccabile”.

Non so se avete colto... La stategia dialettica di cambiare discorso, parlare d'altro, fare accostamenti assurdi tra eventi e situazioni che non c'entrano NULLA gli uni con gli altri, deviare dal tema in un modo talmente sfacciato che se a farlo, in qualsiasi altro contesto, fosse un ascoltatore in diretta, si beccherebbe gli strali più feroci da parte di Cruciani, di colpo, siccome lo fa il totem Ferrara, diventa “inattaccabile”. Pazzesco, incredibile, sono letteralmente trasecolato.

Giustamente, Luca Telese ha fatto orecchie da mercante di fronte a questa osservazione inconsistente, e, rimanendo sul pezzo, ha ribadito il vero fulcro della questione, ovvero la meschinità (“gesto ignobile”) del tentativo di insinuare che Mesiano fosse mezzo matto, mettendolo alla gogna.

Questo è il punto, insisto. Non ha senso divagare su Craxi (!) o perdersi nel chiacchiericcio sui calzini turchese. Il problema non sono i calzini, né le immagini in sé, ma la manganellata assestata tramite l'uso privilegiato di uno strumento potente e mortale come la televisione di cui non tutti gli attori in gioco hanno la disponibilità nella medesima misura.

Sulla vicenda Mesiano è poi intervenuto anche Paolo Liguori, il quale, come era lecito aspettarsi, ha minimizzato tutta la vicenda ricorrendo anch'egli alla tecnica del parlare d'altro e del rinfacciare vecchie questioni, tirando in ballo Santoro, D'Avanzo, e pure Travaglio che sarebbe andato in vacanza ospite di un mafioso (senza che Cruciani obiettasse alcunché), mettendo insieme elementi completamente slegati tra loro.

Soprassederei volentieri, ma non resisto alla tentazione di rimarcare, con un controesempio, quanto possa diventare assurdo e risibile questo giochino dei rinfacci. Come può Liguori criticare Santoro-D'Avanzo-Travaglio quando non ha detto una parola a difesa di Dino Boffo in passato o di Corrado Augias ora? Ed è normale che il Giornale di Feltri abbia deciso in questi giorni di tirare fuori presunti "scheletri nell'armadio" dei collaboratori di Repubblica setacciandoli tutti dalla A alla Z? Faccio notare, per capirsi, che si è cominciato da Augias, perché, per esplicita ammissione del Giornale – vedasi l'edizione di domenica scorsa – "Augias" comincia con A. Poi, a breve, si passerà alla B. In fondo all'articolo su Augias c'era la dicitura "continua…". Su questo tipo di giornalismo non c'è nulla di ridire?

Ha un qualche senso, Cruciani, che io ponga questa questione a lei, o a Ferrara o a Liguori? Secondo me non ce l'ha, perché questo gioco dei rinfacci, così come viene messo in piedi, è ridicolo. Se su questo è d'accordo con me, Cruciani, si regoli di conseguenza. Se invece non è d'accordo, aspetto una forte presa di posizione in difesa di Augias e dello sfigato giornalista di Repubblica, il cui cognome inizia con B, che prossimamente verrà preso di mira.

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Chiudo segnando sul taccuino un nuovo radiolondrato eccellente: Vittorio Zucconi. Il direttore di Radio Capital e di Repubblica.it, riferendosi all'enfasi data dal solito quotidiano sempre più buono solo per incartare il pesce alle voci anonime secondo cui il giudice Mesiano avrebbe brindato, tempo fa, in un ristorante, a future dimissioni di Berlusconi, ha commentato che se non stiamo attenti finiamo come l'Unione Sovietica.

Ovviamente, come in mille altre occasioni, si tratta, com'è di tutta evidenza, del mero utilizzo dell'antica figura retorica con cui si esemplifica una tesi mediante un concetto esagerato. Pertanto, la finta interpretazione alla lettera delle parole di Zucconi, da parte di Cruciani, è un insulto all'intelligenza di se medesimo, a quella di Zucconi, e a quella di tutti gli ascoltatori.

Siccome però penso che se i due si scontrassero dialetticamente il buon Zucconi si sbranerebbe Cruciani in un battibaleno, ho pensato di provare a stimolare tale scontro. Come fossi il peggiore dei delatori nella vecchia Germania Est, ho impacchettato il frammento audio del Radio Londra di ieri in un piccolo mp3 e l'ho mandato via e-mail a Zucconi. Al 99,9% non succederà nulla, ma il pensiero di quel rimanente 0,01% mi renderà allegro per tutto il resto della giornata.

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"Dalla A alla Z" mi ha fatto venire in mente una vecchia canzone di Prince, niente male: "Alphabet Street" (1988).



lunedì 19 ottobre 2009

A la guerre comme à la guerre

Il solo sentire Giuseppe Cruciani e Luca Telese finalmente dibattere serenamente tra loro, anziché fare gli amiconi che chiacchierano all'osteria fingendo di non avere idee divergenti su qualunque cosa (come purtroppo è sempre accaduto in passato nei casi in cui ai due capitava di colloquiare in diretta) è valso, come si suol dire, il prezzo del biglietto, per quel che riguarda la Zanzara di venerdì 16 ottobre, nella quale il neo collaboratore del Fatto è intervenuto come ospite durante l'overture.

Sì, è stato un bel match. Molto sereno, per carità (i due sono super amici, a volte riecheggiano Franco Franchi e Ciccio Ingrassia), giocato con grande fair-play. Ma le profonde differenze nella percezione di come gira il mondo della politica in Italia, differenze che sono evidenti a chiunque, finalmente sono deflagrate anziché venire represse. Su chi abbia prevalso, in questo match, su chi sia stato più convincente, ognuno può pensarla come vuole, naturalmente. Per me, Luca Telese ha sbaragliato il campo, risultando vincitore su tutta la linea.

Ma di cosa hanno parlato i due amigos, di preciso? Essenzialmente di due argomenti. Il primo, la sensatezza della presenza e delle permanenza nel Partito Democratico di Paola Binetti, avrei voglia di saltarlo (ma non lo farò), perchè lo considero abbastanza trito e ritrito. Telese dice che va cacciata, perchè tutte le sue posizioni sui temi etici (coppie di fatto, omofobia, testamento biologico, etc.) sono “incompatibili con quelle del partito democratico”, mentre per Cruciani, invece, in un grande partito il concetto di libertà di coscienza andrebbe salvaguardato.

Il fatto è, caro Cruciani, che anche alla libertà di coscienza, per quanto sacrosanta sia, bisogna mettere dei confini, dei paletti. Come sosteneva con un paradosso il buon Telese, se un esponente del PD diventasse all'improvviso un neonazista che nega l'olocausto non ci si potrebbe esimere dal bandirlo. E' un esempio estremo certo, la Binetti non è una nazista, ma è comunque al di là dei paletti, non c'è niente da fare, così come al di là lo era Beppe Grillo, che per "mister coerenza" Cruciani non doveva essere accolto nel PD quando qualche mese fa voleva proporsi per la segreteria (sì, sì, "non si possono mettere sullo stesso piano, blah, blah, blah"). Se cacciare la Binetti con ignominia appare troppo brutale, che almeno, come minimo, non la si ricandidi più nelle liste del PD. Partito aperto non significa porto di mare.

Ben più ragguardevole è invece stato il secondo tema, il famigerato servizio di Mattino 5 sul giudice Raimondo Mesiano, ripreso a sua insaputa da una telecamera mentre cammina per strada, mentre si accende “l'ennesima sigaretta”, mentre aspetta il suo turno dal barbiere camminando “avanti e indietro, avanti e indietro”, e mentre si rilassa su una panchina rimirandosi i calzini turchese. Comportamenti che, nel servizio, venivano ambiguamente definiti “stravanganti” (???), di una stravaganza a cui “si era abituati” (come se Mesiano fosse un vip noto a qualunque casalinga di Voghera, quando invece è un perfetto sconosciuto).

Telese ha definito tutto questo, senza mezze parole, “una schifezza”, “un'infamia”, “un tentativo di far passare l'idea, senza dirlo esplicitamente, che il giudice sia un po' matto”. Cruciani, invece, pur giudicando incomprensibile la decisione di mettere in onda un servizio dai contenuti “demenziali”, ha preferito non calcare la mano, trincerandosi dietro i suoi “non so”, “non capisco”, e osservando che “in fondo anche Mediaset ha il diritto di picchiare dove vuole. A la guerre comme à la guerre”. Inoltre, prima di iniziare il dialogo con Telese, il servizio di Canale 5 era stato definito da Cruciani “cattivello, ma non troppo” (frase e concetto poi non più ribaditi nel prosieguo della trasmissione, come se se ne fosse pentito).

Avanti, Cruciani, cosa c'è da capire? La mancanza di contenuti giornalisticamente rilevanti nel servizio è essa stessa, paradossalmente, l'elemento rilevante. Questo servizio non è altro che un messaggio di un certo tipo, una testa di cavallo lasciata nel letto, un'offerta di quelle "che non si possono rifiutare".

E' così, caro Cruciani, chiunque lo può vedere, se non si benda volutamente gli occhi. E se non vuol credere a me, Cruciani, creda almeno a un altro suo ottimo amico, uno di quei giornalisti "di sicuro non antiberlusconiani" o, se preferisce, "vicini al centrodestra" (per usare uno degli eufemismi che le sono cari quando vuole incasellare senza farlo vedere troppo) che lei saltuariamente chiama in trasmissione con particolare soddisfazione.

Mi riferisco al bravo e da me apprezzato (non solo da oggi, sia chiaro) Michele Brambilla, anch'egli recente transfuga (come Telese, Facci, e altri) dal Giornale dopo il recente avvicendamento alla direzione, e ora collaboratore della Stampa. Nel suo pezzo pubblicato dal quotidiano torinese sabato 17 ottobre ogni parola è al posto giusto e dice quel che deve dire. Leggendolo, quasi eiaculavo. Ne cito un frammento, che poi è la chiosa finale dell'articolo (così come di questo post).

“Ma la cosa peggiore - quella che mette i brividi - è il pedinamento, lo spionaggio, la violazione della privacy, quindi la messa alla pubblica gogna, il sottinteso avvertimento «guarda che ti controlliamo». Ne avevamo già viste tante, da una parte e dall'altra. Ma che un giudice autore di una sentenza sgradita (e magari sbagliata: non è questo il punto) potesse essere seguito e filmato di nascosto, è una cosa che avevamo visto solo al cinema. Ad esempio ne «Le vite degli altri» di Florian Henckel von Donnersmarck, un capolavoro. Ambientato a Berlino Est. Roba da comunisti.”

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Eccovi la celebre scena della testa di cavallo, nel film "Il Padrino".




venerdì 16 ottobre 2009

C'è il tuo nome su questa pallottola, gringo

In un bosco grande grande c'è una casetta piccola piccola dove vivono una signora grande grande e sette signori piccoli piccoli. Poco lontano, c'è un castello grande grande dove dentro una stanza piccola piccola c'è uno specchio grande grande.

E' così che io mi diverto a dare inizio, non dico ogni sera ma quasi, alla fiaba di Biancaneve che il mio figlio maggiore adora particolarmente ascoltare. Ecco, l'overture della Zanzara di ieri mi ha un po' ricordato questo sistema volutamente esagerato, sproporzionato e ridondante di presentare una storia. Qualcosa del tipo…

In una città piccola piccola, Vignola, nel modenese, c'è la sede di un partito grande grande, il Partito Democratico, all'interno della quale un certo Matteo Mezzadri, un ragazzo giovane giovane, 22 anni, ha un ruolo di responsabilità grande grande, tanto che possiamo chiamarlo dirigente locale del PD. Questo Mezzadri, alcuni giorni fa, ha scritto su Facebook, che è un social network grande grande, una cosa cattiva cattiva.

In sostanza Mezzadri, in uno sciagurato messaggio su Facebook, ha auspicato che qualcuno “ficchi una pallottola in testa a Berlusconi”. Diceva sul serio? E' stata solo una goliardata? Non si sa. Fatto sta che, da questo episodio, gonfiato all'inverosimile, significativo quanto una scritta sul muro di un cavalcavia, Cruciani trova elementi per rispolverare una sua vecchia teoria: esiste una “parte consistente” del paese che odia Berlusconi così tanto da volerlo vedere morto. Magari senza dirlo esplicitamente, ma pensandolo nel proprio intimo.

Ciò, sempre secondo Cruciani, giustifica l'enfasi che i due giornali "vicini al centrodestra", Libero e Il Giornale, hanno dato alla vicenda, sparando titoloni a nove colonne, a suo dire per nulla esagerati, come questi.


Libero


Giornale


Mentre il mio mento sta ancora rimbalzando per la casa, vorrei fare alcune considerazioni. Per miglior leggibilità, vado per punti.

- Vittorio Feltri che si lamenta del clima d'odio è un po' come la Juventus che si lamenta dei torti arbitrali (battuta della settimana, non mia, l'ho rubata).

- Scherzi a parte, questo modo, per quanto legittimo (viva la libertà di stampa), di gonfiare un caso che meriterebbe invece un trafiletto a pagina ventidue, per me non ha nulla che fare con il giornalismo. E' roba da tabloid inglese, informazione trash della specie più infima.

- Che uno come Cruciani, il quale è solito negare o minimizzare la presenza di forme d'odio verso ogni sorta di diversità (i neri, gli immigrati in genere, gli omosessuali), mi venga poi invece ad ingigantire il presunto clima d'odio per Berlusconi è semplicemente ridicolo. RI-DI-CO-LO.

- Io non nego tout court che l'odio per Berlusconi ("odio" nel senso peggiore, una "volontà di vederlo morto", non in un senso più generico e ovattato), purtroppo, esista, ma è marginale rispetto alla stragrande maggioranza di cittadini che si oppongono in modo sano al cavaliere, provando per quest'ultimo un legittimo sentimento di dispregio, di disistima, di sfiducia, basato sulle sue politiche e sui suoi comportamenti.

- Paradossalmente, c'è molta più istigazione all'odio (contro la sinistra, fatta passare, di fatto, come terrorista) nella speculazione giornalistica sull'episodio di Mezzadri compiuta da Libero e dal Giornale, due quotidiani che vendono rispettivamente decine e centinaia di migliaia di copie, che non nell'episodio stesso. E sono enormemente dispiaciuto che il conduttore di un programma radiofonico come La Zanzara, che richiama ogni sera circa duecentomila persone all'ascolto, si sia in un certo senso reso complice di una simile operazione di propaganda da bassa lega, non prendendone le distanze ma addirittura appoggiandola. Tutto ciò è imbarazzante.

- Se una “parte consistente” del tessuto sociale del paese fosse davvero così impregnato di odio per Berlusconi (nel senso spiegato prima, cioè "volontà di vederlo morto"), il cavaliere sarebbe già due metri sotto terra. Invece, in quindici anni di attività politica, la cosa più mortale che ha raggiunto il suo pregiato cranio non è stato un proiettile, ma un treppiede.

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Il tema del giorno mi ha ricordato un bel spaghetti-western del 1970, "Vamos a matar, compañeros" ("Andiamo ad ammazzare, compagni"), caratterizzato da una bella colonna sonora, con musiche di Ennio Morricone.





Levantando en aire los sombreros
Vamos a matar, vamos a matar, compañeros


giovedì 15 ottobre 2009

Careless whisper

Da: Authan (antizanzara [at] gmail punto com)
A: Alessandro Cecchi Paone (acp [at] alessandrocecchipaone punto it)
Inviato: Mercoledì, 15 Ottobre 2009, ore 11:21
Oggetto: Richiesta piccolo chiarimento su legge omofobia


Caro Alessandro,

da sempre seguo e apprezzo le tue dissertazioni sulle problematiche omosessuali, e pertanto ho letto con interesse la tua lettera al Corriere della Sera di ieri così come, con altrettanto interesse, ho ascoltato il tuo intervento, sempre ieri, alla "Zanzara", il talk show serale di Radio 24, condotto da Giuseppe Cruciani. Sento però il bisogno di chiederti brevemente un chiarimento.

Ho trovato intrigante la tua provocazione sulle "ronde gay", da intendersi, per come l'ho afferrata io (correggimi se sbaglio), come una sorta di servizio d'ordine nei luoghi di ritrovo della comunità omosessuale e non come un insieme di bande di vigilanti in pattugliamento nei quartieri degradati. Il movimento gay, affermi (secondo me giustamente), deve darsi di fare di propria iniziativa per proteggersi e farsi valere, senza piangersi addosso.

Ciò premesso, però, volevo provare a comprendere meglio la tua posizione sulla recente mancata approvazione, alla Camera dei Deputati, sulla cosiddetta "legge sull'omofobia", designazione non del tutto appropriata di quella che in realtà era una semplice proposta di modifica al codice penale volta a instaurare, come forma deterrente (secondo me im-pre-scin-di-bi-le), un principio aggravante per chi commette atti di violenza direttamente riconducibili a pregiudizio sull'orientamento sessuale. Un principio aggravante del tutto analogo a quello per il pregiudizio razziale che già è contemplato e che nessuno si sogna di cancellare.

Quando Giuseppe Cruciani, durante l'intervista con te, ha sostenuto che la legge sull'omofobia era “una cosa ridicola che non interessa agli italiani” tu, sorprendendomi, non hai ribattuto, e inoltre, quando ti è stato chiesto se la suddetta legge serviva davvero, tu hai risposto in un modo un po' vago, affermando che “questa è l'ennesima prova che il movimento gay italiano sbaglia regolarmente obiettivi, linguaggi e tempi”.

Poi, però, successivamente, da altre tue parole ho inteso che la tua provocazione delle ronde nasceva in risposta al fatto che nessuno (ti riferivi, credo, a governo, parlamento, istituzioni, partiti), “politicamente e culturalmente”, ha a cuore la sicurezza dei gay. Da cui se ne ricava che se l'interesse delle istituzioni e della politica, invece, ci fosse, sarebbe meglio, perché non ci sarebbe bisogno di ronde.

Mi sembra che ci sia pertanto una piccola contraddizione, che vorrei tu risolvessi rispondendo semplicemente, senza perifrasi, a questa domanda: se la cosiddetta legge sull'omofobia fosse stata approvata, tu ne saresti stato contento, oppure davvero, a prescindere dal fatto che sia stata affossata, la consideri una iniziativa totalmente inutile che non serve né interessa ad alcuno?

Nell'attesa di un tuo cortese riscontro, che sono certo non vorrai farmi mancare, ti saluto con grande affetto, e rinnovo il mio incitamento "continua così" che già ti avevo formulato in una mia precedente e-mail.

Un abbraccio. Ciao.


***


Se il buon Cecchi Paone mi risponde, avrò cura di darvene conto.

Per il resto, sulla Zanzara di ieri, al di là del tema dell'omofobia, non ho rilievi particolari da fare. Mi limito ad aggiornare il body count di Radio Londra, segnando sul taccuino il nome di Eugenio Scalfari, il quale, ospite nel programma di Serena Dandini, ha parlato, riferendosi a Berlusconi, di “vivacità eversiva”.

Il nome di Scalfari però mi suggerisce un quiz che, prima di far calare il sipario, per farvi passare allegramente il resto della giornata, voglio proporvi.

QUIZ! Ricordando quanto Cruciani odi il concetto di giornalisti-servi-leccapiedi, chi tra i suoi super-idoli ha pronunciato recentemente le seguenti testuali parole (apparse virgolettate su un quotidiano): “Capisco che Ezio Mauro avverta tutto l'onore che gli è spettato nell'essere il cagnolino di tanto padrone”? (Il padrone in questione è Eugenio Scalfari).

Update con la SOLUZIONE: Francesco Cossiga, in un'intervista apparsa su Libero mercoledì 14 ottobre.

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Quale miglior occasione per riascoltare un vecchio successo di una delle più grandi icone gay di sempre?

George Michael, "Careless whisper" (1984).




Time can never mend,
The careless whisper of a good friend.
To the heart and mind,
Ignorance is kind
There's no comfort in the truth,
Pain is the all you'll find.


mercoledì 14 ottobre 2009

A stupirmi

Zanzara molto eterogenea quella di ieri, sulla quale butto giù qualche nota sparsa, sorvolando sui due radiolondrati del giorno, gli habitué Antonio Di Pietro e José Saramago.


PANSA

A stupirmi non è tanto quel che ho sentito dire ieri in diretta da Giampaolo Pansa (ricalcando quanto già espresso in una sua intervista al Corriere), e cioè che sente aria di anni '70, stimolata da “cattivi maestri” (scusi, quali?), che basta un incidente anche casuale per creare una reazione a catena culminante in un'esplosione di violenza nelle strade tra sostenitori di destra e di sinistra, una sorta di guerra civile tra fanatici di una e dell'altra parte.

A stupirmi, invece, è stato il silenzio di Cruciani, che ha steso tappeti rossi alle parole dei Pansa, senza mai alzare un sopracciglio, senza pronunciare un "mah", un "beh" o un "bah", senza un "caro Pansa, ma non starà un tantino esagerando?". Perché dai, signori, guardiamoci nelle palle degli occhi, l'imminenza di un ritorno al clima da anni '70 non sta né in cielo né in terra. Come mai una tale escalation dovrebbe innescarsi solo adesso, quando la contrapposizione frontale pro e contro Berlusconi esiste ormai da 15 anni? Pansa ormai è prigioniero del suo fortino intellettuale nel quale egli stesso si è autorinchiuso. Non che egli non abbia diritto a dire la sua, ci mancherebbe, ma anch'io ho diritto di ribattere, per una volta un po' brutalmente, "levateje er vino".


DE BORTOLI vs SCALFARI

A stupirmi non è tanto il fatto che Cruciani, nella querelle tra Ferruccio De Bortoli e Eugenio Scalfari, abbia preso posizione a favore del primo. Era scontato, e io stesso credo che nelle ragioni del direttore del Corriere ci sia molta sostanza, sebbene la polemica con Scalfari sembri un dialogo tra due sordi che parlano dello stesso argomento da due punti di osservazione diversi e opposti (questo per dire che anche in Scalfari c'è sostanza).

A stupirmi, invece, è che un signore come Ferruccio De Bortoli, del quale ho la massima stima, andando oltre la legittima perorazione della sua tesi, si lasci andare, come fa nel suo pezzo di oggi, ad attacchi personali contro Scalfari rivangando vecchi episodi che con la contesa di questi giorni non hanno nulla a che fare.


OMOFOBIA

A stupirmi non è tanto l'esito della votazione alla Camera sulla pregiudiziale di costituzionalità a proposito della legge sull'omofobia, che di fatto è stata affossata. Da questo parlamento, con questa maggioranza, in tema di lotta all'omofobia non ci si può aspettare nulla. Ho letto le ragioni che hanno spinto la maggioranza dei deputati al voto negativo, ma mi suonano tanto di pretesto. La realtà è che manca la volontà politica di affrontare il problema. Manca addirittura la volontà politica di riconoscere l'esistenza stessa del problema, figuriamoci.

A stupirmi, invece, è stato il commento liquidatorio di Cruciani. “Questione ridicola, che non interessa agli italiani”. Io, di fronte a tanta insensibilità, rimango senza parole. Fermate il mondo, per favore, io scendo qua.

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Sento anch'io aria da anni '70, ma è di diverso tipo.



martedì 13 ottobre 2009

Homo homini lupus

Che sarebbe stata una Zanzara fiacca, quella di ieri, lo si è capito fin da subito, con, in apertura di trasmissione, la radiolondrizzazione di… Milva! Come "Milva chi?", Milva! La cantante rossa, di capelli e non solo, in voga negli anni '60 e '70. Come "Ah…"! Parliamo di Milva, santo cielo, esponente di spicco della cultura italiana! L'intera Italia pende dalle sue labbra e si emoziona trepidante per le sue dichiarazioni, soprattutto quelle contro Berlusconi.

Ma va là, Cruciani, ma va laaaaaà. Come dobbiamo chiamarlo questo, se non "raschiare il fondo del barile?" Sorvoliamo e proseguiamo, sebbene la debolezza della puntata complichi parecchio la stesura di un commento organico...

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L'ampio spazio dedicato all'esegesi della parola “ominicchio”, usata domenica scorsa da Dario Franceschini e riferita a Berlusconi, è stato quasi grottesco. Che vorrà mai dire "ominicchio", si è chiesto a lungo Cruciani. Quale ne sarà l'etimologia? E' un epiteto legato all'altezza di Berlusconi? Il fatto che la parola fu usata da Leonardo Sciascia ne "Il giorno della civetta" deve far pensare a contesti mafiosi?

Cruciani, ma di che sta parlando… Non complichiamo quel che è semplice. Franceschini commentava l'offesa rivolta dal premier a Rosy Bindi, e a tal proposito il segretario del PD ha affermato che chi offende le donne è un ominicchio, cioè un piccolo uomo, di bassa statura, non fisica, ma morale, in termini di buona educazione. Questo, Cruciani, è uno di quei casi in cui due più due, banalmente, fa quattro.

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Poi, grandi riflettori si sono accesi sul cabarettista Checco Zalone… Il fatto che il suo show di domenica scorsa, con la sua canzonetta su Berlusconi e la D'Addario (divertentissima), piena di allusioni sessuali, sia andato in onda “in prima serata su Canale 5” (particolare sottolineato decine di volte da Cruciani, fino alla nausea) contrasterebbe, secondo il conduttore della Zanzara, la tesi del regime mediatico.

A me la metafora della foglia di fico non piace, e non la proporrò nemmeno stavolta. Il punto è un altro. L'esistenza, da anni (se fossi Cruciani ripeterei "da anni" almeno dieci volte) di un programma come Zelig, con tutti i suoi sketch spesso irridenti verso il cavaliere (si pensi ad esempio al personaggio, in auge qualche anno fa, del piagnucolone superfan di Berlusconi interpretato da Antonio Cornacchione), dimostra come l'attuale premier non si sia mai fatto spaventatare dalla satira, la quale, evidentemente, anche quando feroce, viene percepita amichevolmente, in quanto, anziché danneggiarlo, lo rende tutto sommato più simpatico.

Pertanto, sotto questi presupposti, lo show di Checco Zalone dimostra poco o nulla. Ci conferma che Berlusconi non teme la satira (ricordo distintamente il cavaliere elogiare, anni fa, l'imitazione che ne faceva Sabina Guzzanti, notoriamente sua acerrima nemica), ma non aggiunge o toglie nulla sui dubbi che riguardano l'atteggiamento di Berlusconi verso l'informazione "seria".

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Due parole bisogna infine spenderle per la filosofa Michela Marzano, intervistata ieri da Cruciani, coautrice con Barbara Spinelli e Nadia Urbinati (nota: tutte e tre queste intellettuali vivono da diversi anni all'estero) dell'appello di Repubblica a difesa delle donne, nato sull'onda delle offese rivolte da Berlusconi a Rosy Bindi.

Se proprio si voleva organizzare una raccolta firme (come ho già detto, per me non era il caso), bastava scrivere "Care donne italiane, Berlusconi è stato maleducato, e offendendo Rosy Bindi ha offeso tutte le donne. Firmate in tante questo appello affinché si convinca a chiedere scusa". Punto.

Invece, come dimostrano le parole della Marzano ascoltate ieri in diretta, si è letteralmente partiti per la tangente andando a parare su un'ipotetica situazione drammatica e tragica della donna in Italia (trattata come un soprammobile, azzittita nei talk show, soverchiata dal predominio maschile, etc., solo simboleggiata, più che provocata, da Berlusconi e dal suo discutibile atteggiamento verso l'altro sesso) nei confronti della quale francamente io, come Cruciani, non vedo riscontri effettivi nella realtà.

Ci sono sicuramente aspetti da migliorare, ma questo clima infernale per le donne, secondo la mia percezione, non esiste, e mi domando se il dare un'interpretazione così incommensurabilmente esagerata della realtà non posso a medio termine rivelarsi addirittura controproducente.

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"It's a Man's Man's Man's World", datata 1966, è una delle più belle canzoni di James Brown.




This is a man's world, this is a man's world
But it wouldn't be nothing
Without a woman or a girl

You see, man made the cars to take us over the roads
Man made the trains to carry heavy loads
Man made electric light to take us out of the dark
Man made the boat for the water, like Noah made the ark

This is a man's world
But it wouldn't be nothing
Without a woman or a girl


lunedì 12 ottobre 2009

Call to action

Non sarò io ad inneggiare all'assegnazione del Nobel per la pace a Barack Obama come se fosse un pronunciamento divino. Si tratta, com'è di tutta evidenza, di un premio dato "sulla fiducia", e non in conseguenza a risultati concreti che ancora non ci sono. Più che alla pace, lo definirei un premio Nobel alla speranza. Oppure, volendo vederla come Vittorio Zucconi, un "premio al futuro".

Ciò premesso, però, certi toni che, sul tema, mi è capitato di sentire alla Zanzara di venerdì 9 ottore, ad opera, oltre che di Giuseppe Cruciani, anche degli ospiti Christian Rocca e Piero Ostellino, mi sono sembrati un po' troppo drastici e in alcuni casi volgenti alla derisione. Questo trio delle meraviglie, in sostanza, ha manifestato la propria disapprovazione ricordando che l'America di Obama sta beatamente partecipando a due guerre (manco le avesse iniziate lui) e che per ora, in termini di distensione internazionale, da parte dell'attuale presidente USA ci sono state solo parole (peraltro, se posso permettermi, molto belle, come testimonia lo straordinario discorso tenuto da Obama al Cairo lo scorso 4 giugno).

A sottofondo di questo gran ridacchiare c'è la malcelata goduria, che poi in realtà, sotto sotto, è un rodere sordo, di alcuni commentatori che si sono sempre rifiutati di riconoscere nell'elezione di Obama un punto di svolta nella storia mondiale, e che nell'assegnazione di questo premio, non suffragata da motivazioni tangibili, hanno trovato l'occasione di sfogare la propria frustrazione, con commenti tra il sarcastico e il canzonatorio.

Il fatto è che da certi ambienti destrorsi non è mai venuta meno un'autentica gara a presentare Barack Obama per quel che non è. Gli stessi neocon che in campagna elettorale americana, tifando accanitamente per John McCain come se fosse in palio il destino del mondo libero, si dicevano preoccupati dalle tendenze "socialiste" (!) di Obama, ora, invece, rimarcano il fatto che l'attuale presidente non ha interrotto le presenze e le iniziative militari in Iraq e Afghanistan, traendo da questo la conclusione che Obama poi non è così diverso da Bush, e che la sue politiche siano in perfetta continuità con quelle del suo predecessore.

Ovviamente, questo genere di discorsi non è altro che un piegare i fatti a conforto delle proprie opinioni. La realtà è diversa, e parla di un presidente che mai si è sognato di offrirsi al mondo come un messia latore di messaggi da pacifismo oltranzista, e che al contempo, però, ha preso le distanze dalla strada della crociata permanente intrapresa dal suo predecessore, George W. Bush, il teorico e fautore delle guerre preventive e dell'uso delle armi come prima e non come ultima risorsa.

Di questo Nobel per la pace, insomma, si è parlato molto a sproposito. In fondo non è altro che una scelta fatta da un'oscura giuria di intellettuali norvegesi, autorevole quanto una qualsiasi compagnia di amici che si ritrovano al bar. Più che lagnarsi della scelta fatta (a proposito della quale vorrei chiedere al trio delle meraviglie Cruciani/Rocca/Ostellino: di grazia, se non Obama, chi?), io avrei concentrato l'attenzione sull'assoluta sobrietà con cui il presidente USA (provate solo ad immaginarvi Berlusconi al suo posto...) ha reagito, senza cadute di stile autocelebrative, all'assegnazione del premio, interpretato non come un riconoscimento, ma come una “call to action”, un'esortazione ad agire. Wow

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Cambiando argomento, riscontro che Cruciani ha iniziato una collaborazione fissa col settimanale Panorama, edito da Mondadori, dove il Nostro, dall'inizio di ottobre, tiene una breve rubrica dal titolo molto originale, "La zanzara".

Ho avuto modo di leggere i due pezzi inaugurali. Il primo è una presa in giro di Antonio Di Pietro che straparla di regime quando invece, in termini di sua visibilità sui media, dovrebbe considerarlo “una pacchia”. Il secondo è un attacco allo scrittore portoghese José Saramago, a cui, per le sue sparate contro il cavaliere, ma non solo, dovrebbe essere ritirato il Nobel alla letteratura.

Insomma, due su due, anti-antiberlusconismo distribuito a piene mani. Niente di nuovo sotto il sole.

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Se serve una "canzone del giorno" per la Zanzara di stasera, caro Cruciani, eccola! Cochi e Renato, "Lo sputtanamento" (1978). Il riferimento è alle dichiarazioni di Berlusconi, ieri in un comizio a Benevento, contro la stampa estera, colpevole di “sputtanare” l'Italia.