lunedì 31 agosto 2009

Il padrino

[Il post di oggi, un gioiello di ironia, e lo dico senza ironia, è a firma di Paolo.]

Buongiorno,
nella Zanzara di venerdì ho trovato illuminante l'intervista ad un direttore di giornale che, per ovvi motivi preferisco chiamare solo con il soprannome di "Don Littorio". Ve la riporto per come mi pare di ricordarla.

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L'illustrissimo riposava al ritorno di una faticosa passeggiata alle poste ove aveva riscosso la sudata pensione. S'era assiso al tavolino di un circolo sul lungomare, nel caldo scirocco che incollava gli abiti sudati alla pelle e profumava di sale e zagare, la coppola a fianco del bicchierino di marsala che sorseggiava di quando in quando. Mentre parlava con noi, ogni tanto rispondeva al saluto ed agli omaggi di qualche ossequioso passante.

Carissimo Maurizi, ascolti un pensionato cui l'età ha insegnato qualcosa e cui il tempo ha regalato il rispetto di qualche amico: certe disgrazie non è che succedono così, è che uno se le va a cercare. Miiinchia, se sul tuo giornale scrivi certe brutture, offendi l'onore degli amici dei nostri amici. E l'onore, per un uomo che non è un quaqquaraqquà, importante è.

E' chiaro come il sole, limpido come questo beddissimo mari, che allora qualche amico di don Littorio (chiamiamolo u stalliere, vabbene?) parli a uno che le cose le sa (non voglio fare nomi, chiamiamolo, che so, Betulla, è cchiaro ah?): «Ma guarda quel fituso, quel connutu, ma come si permette di gettare palate di mmerda sui nostri amici», e Betulla arrisponda: «Proprio lui che…».

E magari può capitare che lo senta qualche fimmina -voscenza sa quanto cicalano queste- le voci circolano, si ingigantiscono, il paese è piccolo e certi vizietti che sarebbe bene restassero ben nascosti in casa, oplà, finiscono sulla bocca di tutti…

E' incredibile quanto poco basta per rovinare una professione, una vita, una famiglia, e chi è che non ha un piccolo scheletro nell'armadio, una multa non pagata, una foto con un uomo che sembrava da lontano una femmina discinta che abbisognava d'aiuto, un abuso edilizio non condonato, un qualsiasi peccatuccio di gioventù: se ti metti in mostra, alla gente gli torna in mente e ne parla, così vanno le cose.

Ascolti a mmia, Maurizi, del tempo era meglio che scriveva quello là sul giornale dei preti, del tempo e del calcio.

Adesso mi scusasse ma devo rientrare nei miei modesti appartamenti: la mugliri preparò la pasta con ceci ed alici e m'aspetta per cena. Saluto lei ed auguro la miglior fortuna al suo tentativo di cambiare giornale, ogni bene alla sua famiglia che adesso è in vacanza a Cortina ed alla sua bedda figghia che va a scuola all'istituto "Santa Rosalia" delle Canossiane. Sappiamo bene quanto un uomo debba fare per proteggere i propri affetti in questi tempi travagliati… C'intendiamo ah?

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L'avete trovata illuminante anche voi, vero?

Vaciamo le mani.

Paolo, omo di panza





venerdì 28 agosto 2009

A proposito di Fini

Clamorosa”. Con questo aggettivo Alessio Maurizi, durante la Zanzara di ieri, ha definito l'accoglienza, trionfale, ricevuta da Gianfranco Fini al suo arrivo alla festa nazionale del Partito Democratico a Genova. Applausi scroscianti, richieste di autografi, una platea letteralmente dominata dall'attuale presidente della Camera.

Secondo me di clamoroso c'è ben poco in realtà, e su questo vorrei condividere qualche riflessione.

La mutazione di Fini che gli consente ora di presentarsi quale moderno uomo di stato non è una novità dell'ultima ora. I tempi in cui Fini era considerato il delfino di Almirante prima e di Berlusconi poi, i tempi in cui chiedeva il ripristino della pena di morte, lanciava mazzi di fiori nell'adriatico rivendicando l'italianità dell'Istria, e parlava di Mussolini come del più grande statista del secolo sono un solo un lontano ricordo.

Se la sua nuova visione del mondo sia frutto di un lento processo evolutivo o invece di una botta in testa come per il personaggio interpretato da Harrison Ford nel film “A proposito di Henry” (un cinico avvocato senza scrupoli che, dopo essere uscito da un coma, si ritrova con una nuova personalità), non è dato sapere. Fatto sta che il Fini di oggi è un politico tutto diverso, con idee talmente innovative per la destra italiana da avergli resa possibile una sorta di verginizzazione agli occhi di una parte dell'elettorato.


Henry


Il suo passato da ex fascista è irrilevante, il suo essere stato braccio destro di Berlusconi non conta più. Gianfranco Fini è come se fosse apparso sulla scena politica solo da pochissimo. Con queste premesse, e considerando che la forza mediatica data dal suo ruolo istituzionale prevale su quella data dalla sua appartenenza politica, non risulta poi così sorprendete il suo successo personale alla festa del PD.

A questo punto però, io avrei un altro aggettivo qui in canna. E lo voglio sparare. “Demente”.

Chi? Cosa? Demente è la reazione di certa stampa e di certi opinionisti che hanno ironizzato sul Fini che abbraccebbe la sinistra, sul PD che suona la marcia nuziale. Quante stronzate. Come scrive Filippo Facci nel suo interessantissimo articolo d'esordio su Libero, “molte delle posizioni 'di sinistra' già attribuite a Fini sono patrimonio della destra occidentale ormai da parecchio tempo”.

Solo degli allocchi, a sinistra, possono sperare che Gianfranco Fini possa diventare in futuro il segretario del PD. Non accadrà mai. E solo dei miopi, a destra (uno per tutti Marcello Veneziani, per via del suo molesto articolo sul Giornale di ieri), possono crucciarsi della svolta di Fini, che non è "a sinistra", ma è verso quella destra moderna, liberale, non più populista, non più clericale, e non più chiusa a riccio sui temi etici.

Una destra nuova, agognata dagli elettori molto più di quel che credono un Gasparri e un Quagliariello qualsiasi, due cariatidi con le bende agli occhi che strillano di non voler “accettare lezioni di laicità” non cogliendo come, ad esempio, su un tema come il testamento biologico la stragrande maggioranza degli elettori anche del PDL siano sulle posizioni di Fini e non sulle loro (cito ancora Facci: “I sondaggi - di cui si può fornire ogni particolare - spiegano che il 70,9 per cento degli elettori del Pdl ritiene di dover stabilire i trattamenti sanitari che gli siano o non gli siano praticati una volta che si trovassero in stato di incoscienza”).

No, signori, Gianfranco Fini non è la nuova speranza della sinistra, ma della destra. Una destra che, alternando vittorie e sconfitte, da 15 anni è rimasta inchiodata al palo del berlusconismo e che non potrà procrastinare all'infinito un rinnovamento, nelle idee prima ancora che negli uomini, per non rischiare di precipitare, una volta che sarà venuto meno il collante ora fornito dal carisma del cavaliere, in quello stesso oceano di caos nel quale ora annaspa la parte politica avversa.

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Come sigla finale, avrei pensato a "Working class hero". Non sapendo quale privilegiare tra la versione originale di John Lennon (1970) e la potente cover dei Green Day (2007), ho deciso di mettere entrambi i video. Buon ascolto.







As soon as you're born they make you feel small
By giving you no time instead of it all
Till the pain is so big you feel nothing at all

A working class hero is something to be
A working class hero is something to be



giovedì 27 agosto 2009

Innocua natura

Alessandro Cecchi Paone per me rappresenta l'ospite ideale della Zanzara. Probabilmente nel dire ciò sono condizionato dal fatto di condividere il 99% di tutto quel che dice, ma fatto sta che lo trovo sempre di una chiarezza solare. Non elude mai le domande, non risponde con battutine, argomenta e circostanzia, non urla, non ricorre al torpiloquio, e ha una capacità di sintesi straordinaria. Perfetto.

Con queste premesse, non ho potuto che apprezzarne la sua presenza all'inizio della trasmissione di ieri, così come ho apprezzato i concetti da egli espressi. Il tema era ancora quello dell'omofobia, sulla scia delle recenti aggressioni ad omosessuali a Roma e Rimini.

In particolare, Cecchi Paone, intervistato da Alessio Maurizi, ha raccontato di come spesso gli capiti ancora di sentire delle “falsità scientifiche, culturali e storiche” sull'omosessualità: “Dall'essere contro natura, al minacciare il mondo di spopolamento, dal diffondere modelli culturali negativi, all'essere causa della rovina nella formazione dei giovani. Cose inammissibili nel mondo civile, che purtroppo sono propagandate dalla Lega, da gran parte del PDL, dalla componente cattolica del PD, e dalla chiesa cattolica in generale. Non c'è da stupirsi se verso gli omosessuali c'è un clima di ostilità.

Con questo, ovviamente Cecchi Paone non intendeva dire, come alcuni ascoltatori intervenuti nel prosieguo della trasmissione hanno maliziosamente voluto intendere, che da parte di una fetta della politica e dal mondo cattolico ci sia fomentazione di cieco odio, volontà di oppressione, brame di vessazioni e persecuzioni. Più semplicemente in quegli ambienti una certa arretratezza culturale di fondo sopravvive alla modernità nutrendo quell'humus di ostilità verso i diversi orientamenti sessuali da cui poi, in circostanze per fortuna non consuete, possono scaturire episodi spiacevoli.

Il fatto che il pregiudizio omofobo, ha poi aggiunto Cecchi Paone, per quel che riguarda i paesi occidentali democratico-liberali abbia luogo con maggior incidenza in Italia (solo in Grecia e Polonia la situazione è peggiore), non si può che spiegare con la forte influenza, dovuta più ad un retaggio di tradizione che non al proselitismo, che la chiesa cattolica ha sul tessuto sociale di questo paese. E' così, inutile girarci intorno. “Per la chiesa cattolica”, ha spiegato Cecchi Paone, “gli omosessuali sono accettabili solo se non vivono la loro omosessualità. Ciò si porta appresso l'assenza di una legge contro la discriminazione, quella sulle coppie di fatto, l'assenza dei quartieri gay, eccetera”.

E' il caso di dire "parole sante". L'Italia sul tema dell'omofobia è molto indietro. Certo, non siamo l'Iran, per carità, ma nell'altra direzione siamo lontani anche da un paese come gli Stati Uniti dove gli orientamenti sessuali ormai non suscitano più neanche un'alzata di sopracciglio, e dove, per citare un esempio, si producono tranquillamente dei telefilm con protagonisti degli omosessuali, cosa impensabile in Italia.

Io ho grande rispetto per la chiesa cattolica, voglio precisarlo. Non sono visceralmente anticlericale e non ne metto in discussione il diritto ad esistere e ad avere delle opinioni. Però vorrei che con maggiore coraggio e determinazione i cattolici cominciassero ad intraprendere un percorso verso la modernità del pensiero. Non si può, nell'anno del signore 2009, percepire ancora l'omosessualità come qualcosa contro Dio. Non si può.

Ma ci arriveremo, non ho dubbi. Così come ora non riusciamo a credere che un tempo esisteva la santa inquisizione e gli eretici e le streghe bruciavano sui roghi, i nostri nipoti e pronipoti, un giorno, rideranno dei tempi in cui gli omosessuali erano discriminati e osteggiati non per aver mai fatto del male al prossimo, ma per il semplice motivo di aver voluto vivere pienamente la propria innocua natura.

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Nel 2003, il regista Ferzan Özpetek dirigeva il suo film capolavoro “La finestra di fronte”, il cui plot si appoggiava su un'antica perduta relazione omosessuale ai tempi del fascismo. Straconsigliato. Nella colonna sonora della pellicola spiccava la splendida “Gocce di memoria”, di Giorgia.




Siamo indivisibili,
siamo uguali e fragili,
e siamo già così lontani...



mercoledì 26 agosto 2009

Bacchettate sulle gengive

Un Alessio Maurizi particolarmente in vena ieri alla Zanzara ha rifilato qualche sana bacchettata sulle gengive ad un paio di protagonisti della politica italiana.

Il primo destinatario della stoccata è stato il nostro ministro degli esteri Franco Frattini, il quale, nel ribattere alle polemiche relative all'imminente visita del presidente del consiglio Silvio Berlusconi in Libia in occasione del quarantennale della presa del potere da parte del colonnello Gheddafi, ha elogiato la diligenza con cui il paese nordafricano starebbe rispettando gli accordi stipulati un anno fa relativamente al contrasto dei flussi migratori clandestini via mare. “Certo”, ha poi aggiunto Frattini, “possiamo dire che la Libia potrebbe impegnarsi di più, ma il risultato raggiunto è già eccezionale”.

Al che Maurizi ha fatto partire la musichetta di "Si può dare di più" di Morandi/Ruggeri/Tozzi. “E' una mezza storta, una scivolata, quella di Frattini”, ha commentato il conduttore supplente. “Dopo che la Libia ha fatto infuriare Stati Uniti e Gran Bretagna accogliendo trionfalmente in patria il responsabile del disastro Lockerbie, e dopo la tragedia delle decine di migranti etritrei morti in mare, non ci si può limitare ad un innocuo ‘si può fare di più'. Bisogna semmai esigere che si faccia di più”.

Cioè si deve, aggiungo io, battere qualche pugno sul tavolo e fare la faccia feroce, non far finta di nulla andando alla festa personale di un dittatore con tanto di frecce tricolori al seguito. A casa mia questo, più che esempio di realpolitik, è un indecoroso calar di brache.

(A margine, sempre a proposito delle visita di Berlusconi in Libia, segnalo l'interessante editoriale di Maurizio Belpietro su Libero di ieri, intitolato "Caro cavaliere non salga sul cammello", nel quale traspare un imbarazzo di cui mai in passato l'ex direttore di Panorama e del Giornale si era fatto portavoce. A volte, se mi è concessa una battuta, uscire dalle scuderie della casa reale fa davvero bene...)

Dopo Frattini, a ricevere la seconda bacchettata è stato il turno di Water Veltroni. L'ex segretario del PD, partendo dall'episodio della contestazione a Fabrizio Corona in quanto ritardatario ad una serata in una discoteca calabra dove egli era atteso quale ospite d'onore, e non comprendendo come ci possa essere gente che davvero si interessa al personaggio Corona fino al punto di pagare un biglietto d'ingresso per incontrarlo in un locale, ha trovato conferme che “l'Italia è un paese che ha smarrito la propria identità”. Addirittura!

Semmai”, ha commentato caustico Maurizi, forse esagerando un po' a sua volta, “verrebbe da dire che il Partito Democratico ha smarrito il paese”. Non che Maurizi volesse prendere chissà quali difese di coloro che si interessano a Corona, ma davvero non si capisce come Veltroni possa interpretare l'episodio della discoteca calabra come un segnale di un paese senza identità.

Intendiamoci, sono il primo a dire che l'Italia è un paese caratterizzato da modesta cultura e da scarsa memoria, e rimango anch'io perplesso di fronte all'interesse suscitato dai tanti effimeri fenomemi mediatici, rappresentanti del nulla. Tuttavia, credo che l'esistenza di una fascia di mediocrità prescinda da tutto e non sia di per sé indice di una "assenza di identità" del paese, qualunque cosa significhi.

D'accordo, la situazione può essere aggravata dalla stupidità e dalla pochezza di molti programmi televisivi, ma nessuno è obbligato a guardarli. Con la mediocrità di cui sopra, che è fisiologica e che alberga in tutti paesi del mondo, un bravo politico, anche se un po' gli fa schifo, deve saperci fare i conti. Deve cioè conviverci, e parlarci, senza superbia, o arroganza, perché piaccia o non piaccia anche il “pubblico ammaestrato” come lo chiama Francesco Guccini nella sua "Cirano", ha diritto di voto.

martedì 25 agosto 2009

Sottofondo di intolleranza sessuale

Dopo la conclusione del ciclo di Luca Telese, è iniziato, con la Zanzara di ieri, il periodo di conduzione di Alessio Maurizi, che si protrarrà per due settimane, in attesa del ritorno del titolare Giuseppe Cruciani.

Non è la prima volta che Maurizi prende in mano le redini della trasmissione, e pertanto già conoscevamo le sue caratteristiche. Egli ha uno stile composto, molto pacato, super serio, super super professionale, che verrà sicuramente apprezzato da chi non ha gradito le recenti derive della trasmissione verso l'infotainment. Di certo con Maurizi non ascolteremo mai puntate insulse con ospiti ridicoli come è capitato svariate volte con i precedenti conduttori. Dall'altro lato, però, nemmeno ricaveremo quel coinvolgimento emotivo stimolato dalla giovialità e dalla spontaneità quasi adolescenziale di Telese e dalla ruvida vis polemica di Cruciani. Ad ogni modo, va bene così, ascoltare delle voci diverse ogni tanto può solo giovare.

L'argomento maggiormente dibattuto nella trasmissione di ieri è stato quello dei casi di aggressioni a coppie omosessuali che si sono susseguiti negli ultimi giorni a Roma e a Rimini. Come al solito, ne è nato un dibattito tra i negazionisti e i minimizzatori ad oltranza e coloro che invece vedono un paese liberticida capillarmente pervaso dall'intolleranza più cieca.

Come per la querelle sul razzismo, la verità sta nel mezzo. L'Italia non è un paese nel quale agli omossessuali è impedito di vivere la loro vita e di circolare liberamente. Non siamo l'Iran, grazie al cielo. Ma ciò non toglie che una certa cultura antiquata che individua nell'omosessualità una forma di devianza o di perversione non è stata ancora sradicata. Quell'intervento registrato da Radio Padania e ritrasmesso ieri da Maurizi in cui un tizio diceva che “magari le coltellate no, ma due calci in culo ai culattoni ci possono stare” è rappresentativo in tal senso.

Ma chi pensa che il pregiudizio alberghi solo nell'ignoranza delle menti incolte si sbaglia di grosso. Basta citare l'erudito Giulio Andreotti, che non più due anni fa si riferì ai gay come a “sodomiti che nella Divina Commedia finivano all'inferno”. Sì, usò la parola "sodomiti". Roba da far accapponare la pelle.

L'omofobia non galleggia in superficie, ma si nasconde in nicchie aventi dimora in quel “sottofondo di intolleranza sessuale”, menzionato ieri dal sindaco di Roma, Gianni Alemanno, che ancora non si è riusciti a sradicare, anche per colpa di una certa politica incapace di intraprendere iniziative a favore dei diritti degli omosessuali. Ricordate le resistenze – puramente, vergognosamente, ideologiche – ai famosi Dico, o Pacs, ai tempi dell'ultimo governo Prodi? Poi, una volta che Berlusconi ha ripreso il potere, l'argomento è addirittura scomparso dall'agenda.

A proposito delle parole di Alemanno, bene ha fatto Maurizi a sottolinearne l'elemento di novità (e mi è sembrato anche con una certa soddisfazione). “In passate occasioni”, ha detto il conduttore, “gli esponenti del centrodestra si erano dimostrati restii a parlare di sottofondo di intolleranza, in termini quasi sociologici, mettendo in associazione episodi di violenza a certi contesti”. In effetti, nel commentare le recenti aggressioni a cittadini di origine straniera, Lega e PDL (ma anche il nostro grande minimizzatore Cruciani) compatti avevano sempre parlato di singoli episodi di semplice criminalità, non riconducibili ad alcun filone comune, ecc. ecc.

Non è così. E' ora di aprire gli occhi e prenderne atto, perché nessun problema può essere risolto semplicemente negandolo. Non ho ben capito cosa intenda Miriam Mafai nel momento in cui invoca, nel suo pezzo su Repubblica di oggi, una “legge contro l'omofobia”, ma, come minimo, a mio modo di vedere, l'aver agito sulla base di pregiudizio sessuale deve diventare un'esplicita aggravante nel nostro ordinamento penale.

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Village People, "YMCA" (1978).




Young man, there's a place you can go
I said, young man, when you're short on your dough
You can stay there, and I'm sure you will find
Many ways to have a good time

It's fun to stay at the Y-M-C-A
It's fun to stay at the Y-M-C-A...


lunedì 24 agosto 2009

Un barcone (invisibile) alla deriva

Si è conclusa, forse per sempre, la gestione della Zanzara firmata Luca Telese, con una puntata al solito allegra e frivola nel pieno stile dell'ex collaboratore del Giornale. L'apice della trasmissione è consistito nel confronto, a tratti aspro, tra il colorito assessore regionale del PDL Piergianni "su da dos" Prosperini e il pungeste giornalista di Repubblica Francesco Merlo, a proposito dell'entrata in vigore della cosiddetta norma anti kebab, tenacemente appoggiata dal rappresentante della regione Lombardia.

Siccome Properini, in passato, e stato svariate volte ospite anche di Cruciani, viene spontaneo paragonare il modo con cui l'esuberanza molto padana (anche se Prosperini non fa parte della Lega) viene gestita dal conduttore che lo intervista.

Cruciani lo lascia parlare senza quasi freni, facendogli praticamente da spalla o poco più. Non perché ne condivida le idee, ovviamente, ma perché convinto che la comicità a volte volontaria e a volte no di Prosperini faccia spettacolo, vivacizzi la trasmissione, e in generale alzi gli ascolti, un po' come capita per Vittorio Sgarbi.

Telese invece questo compromesso sembra non accettarlo, e, per fronteggiare il carro armato Prosperini, il buon Luca ha delegato il ruolo di sfidante nel contradditorio ad un autentico soldato della parola rispondente al nome di Francesco Merlo. Merlo, per nulla intimorito dal tono un po' rozzo del suo interlocutore, gli ha sparato contro bordate in sequenza, demolendo Prosperini proprio sul piano dell'ironia e della verve. “Lo sa che il caffè è yemenita?” ha domandato ad un certo punto Merlo interrompendo Prosperini mentre questi denigrava il kebab.

In alcuni momenti, a dire il vero, Merlo è stato forse fin troppo acido, quasi villano (“Prosperini dice sciocchezze”). Ma forse quella del sarcasmo e dell'ironia feroce è l'unica vera strategia vincente per fronteggiare la potenza comunicativa, basata sul linguaggio casereccio, di Prosperini. E non credo di sbagliare se dico che quest'ultimo, dallo scontro con Merlo, è uscito parecchio ridimensionato.

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Dicevo ad inizio post che è stato una puntata allegra e frivola. Forse anche un po' troppo, tenendo conto della tragedia dei settanta e oltre migranti eritrei morti in mare nei giorni scorsi, argomento trattato solo di striscio in trasmissione. Telese si è limitato a plaudire al commento dei vescovi che per bocca del loro quotidiano, l'Avvenire, hanno addirittura paragonato l'indifferenza verso i viaggi dei disperati con quella che accompagnava le deportazioni degli ebrei sotto il nazismo.

L'Avvenire forse esagera nel proporre questo paragone, ma è mpossibile non rimanere attonito di fornte a quello che è successo: un barcone di eritrei è andato alla deriva per oltre venti giorni nei nostri mari senza che nessuna autorità se ne accorgesse e se ne occupasse. Come è stato possibile?

La famosa politica dei respingimenti, tanto strombazzata qualche mese fa, ha senso ed è condivisibile a patto che venga perseguita seriamente e non solo sventolata per meri fini elettorali. Condizione necessaria ad operare i respingimenti è il pattugliamento costante dei mari a sud della Sicilia, e siccome è irragionevole che l'imbarcazione degli eritrei possa non essere stata notata per oltre venti giorni sorge spontaneo il dubbio che i pattugliamenti di cui sopra non abbiano realmente luogo, o che abbiano luogo in modo talmente blando da essere inefficace (non voglio neppure pensare all'ipotesi che la barca fosse stata individuata, ma volutamente lasciata al suo destino).

Se una barca rimane alla deriva per venti giorni senza essere vista, significa che la rete di controllo è un colabrodo, con la conseguenza che l'effetto deterrente nei confronti di ulteriori partenze è pressoché nullo. Io mi sento vagamente preso in giro. Se l'intento era quello di scoraggiare la partenza dei barconi, e, indirettamente, prevenire ulteriori tragedie del mare, l'avvilente fallimento di entrambi gli obiettivi è sotto gli occhi di tutti.

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U2, "The refugee" (1983).




Oh, Oh
She's the refugee
Her mama say one day she's gonna
live in America.

In the morning,
She is waiting,
Waiting for the ship to sail,
Sail away.


venerdì 21 agosto 2009

Lavorare stanca

Voto 4 alla Zanzara di ieri, e non certo per il purtroppo poco apprezzato intervento del nostro prode Paolo, il quale, sul tema della difficoltà di fare incontrare domanda e offerta di lavoro, ha ribadito ieri in diretta i concetti espressi nel suo bel commento al post precedente.

Il fatto è che Luca Telese, il "Ronaldinho de noantri", stavolta non era in giornata di grazia, e oltre a dare del “cornuto” (ma ovviamente scherzava, lo so, lo so...) al sottoscritto, dopo che Paolo gentilmente aveva lanciato un minispot per il blog, si è limitato a gigioneggiare vanamente intorno ad argomenti di secondo piano, quali le divise per i tassisti e i nasi distrutti e rifatti, a spese dei contribuenti, dei cocainomani.

L'unico frammento di trasmissione che è valso la spesa per le pile della radio è stata l'intervista iniziale a Sergio Rizzo, giornalista del Corriere, autore di un articolo sul tema delle migliaia di posti di lavoro (da falegname, meccanico, ecc) che secondo un rapporto di Confartigianato sono disponibili ma che rischiano di rimanere vacanti per mancanza di pretendenti.

L'articolo di Rizzo è molto interessante. Però, a dirla tutta, l'ho trovato un po' troppo sdraiato acriticamente sulla linea di Confartigianato, che viene presa per buona senza ipotizzare qualche spiegazione supplementare a quella in base alla quale certi lavori gli italiani semplicemente non li vogliono più fare, perché troppo "di basso livello", o faticosi, o perché magari in molti casi non sono posti a tempo indeterminato.

Intendiamoci, c'è sicuramente del vero nelle conclusioni tratte da Rizzo nel suo pezzo. Esiste ed è intramontabile il mito del posto fisso, meglio se nella pubblica amministrazione, e il lavoro manuale (non solo da operaio ma anche da artigiano) viene vieppiù percepito come rozzo, non qualificante, non premiante in rapporto agli studi compiuti. Ma da qui a dire che in Italia sta venendo meno la “cultura del lavoro” come sostenuto da Rizzo mi sembra francamente esagerato.

E infatti lo stesso Rizzo ha in parte corretto il tiro ieri colloquiando con Telese, dando atto delle molte mail ricevute in cui si faceva presente come in molti casi siano le aziende a rigettare i potenziali candidati (che quindi esistono) in quanto troppo in là con gli anni o perché non sufficientemente "skillati", come si dice in gergo, mettendo il luce le gravi carenze che l'Italia ha nella formazione professionale, le cui responsabilità di certo non si possono ascrivere ai giovani e ai disoccupati.

D'altro canto, poi, c'è il punto argutamente messo il luce dall'intervento di Paolo. Qual è esattamente il valore dell'offerta in termini di condizioni economiche e di lavoro da parte delle aziende artigiane che cercano addetti? Non è che le aziende, piangendo miseria da un lato e lamentando carenza di manodopera dall'altro, nel tentativo di abbassare sempre più i costi stiano in realtà giocando al ribasso, offrendo salari da fame e condizione di lavoro quasi schiavistiche, sperando di far leva sulla voglia di emergere, accettando qualsiasi cosa, da parte di chi vive ai margini (leggi extracomunitari) o nella disperazione (disoccupati cronici)?

Il tema è molto complesso ed è difficile tanto sintetizzarlo quanto analizzarlo per trovare delle soluzioni. Quel che volevo osservare, per quel che mi riguarda, era solo che partire dal rapporto di Confartigianato per concludere che, in sostanza, gli italiani si stanno pian piano trasformando in un popolo di fancazzisti e che, nel solco del più vecchio di tutti i luoghi comuni, i giovani d'oggi non hanno voglia di impegnarsi, mi pare un po' superficiale, per non dire azzardato.

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Simpatica, però, l'espressione ironica adoperata da Telese nel commentare il possibile terrificante remake (i due si erano già affrontati nel lontano 1993) della sfida elettorale per la poltrona di sindaco di Napoli, tra Antonio Bassolino e Alessandra Mussolini. Un “ritorno al futuro”, ha detto il conduttore supplente, citando la celebre trilogia di Robert Zemeckis, e facendomi venir voglia di rivedere la mitica scena del primo film in cui Michael J. Fox, trent'anni indietro nel tempo, suona in modo indemoniato "Johnny B. Goode" quando il suo vero autore, Chuck Berry, non aveva ancora scritto la canzone.



"I guess you guys aren't ready for that, yet.
But your kids are gonna love it.
"


giovedì 20 agosto 2009

La rete parallela

Una delle massime differenze di approccio alla conduzione tra Giuseppe Cruciani e Luca Telese si palesa nel modo di gestire le interviste agli ospiti.

Lo stile di Cruciani, che pur si sforza comunque di sfuggire alle banalità, ricade comunque in schemi classici, improntati alla serietà, alla professionalità, al contegno, con toni sempre piuttosto formali. Il tema su cui l'ospite è stato invitato rimane sempre al centro dell'attenzione, senza tante divagazioni.

Luca Telese, invece, appena può esce dal recinto, parte per la tangente, inizia a sparare domande imprevedibili e apparentemente (a volte non apparentemente) senza senso. Chiede all'ospite di cantare, rivolge quesiti che toccano il privato, ecc. Non si pone su in piano diverso rispetto all'intervistato, ma sale o più spesso scende al suo livello, come se il suo intento, più che approfondire un tema sia quella di approfondire la persona ospite, spiazzandolo, mettendolo a nudo, offrendolo agli ascoltatori sotto un'ottica diversa cosicché essi possano farsi un'idea non tanto basata sulle parole quanto invece sulle reazioni.

I risultati a cui porta il metodo Telese sono i più diversi, nel bene e nel male, come la Zanzara di ieri ha mostrato. All'iniziale intervista a Morgan, una delle più insulse che mi sia mai capitato di ascoltare (allo scazzato protagonista di X-Factor, che sorseggiava una bibita in spiaggia, Telese per poco non è arrivato a chiedere quale fosse il suo colore preferito), hanno fatto da contraltare il super vivace scambio di vedute con il sindaco di Novara, Massimo Giordano (il quale, sonoramente rimbeccato dal conduttore, farneticava, manco vivessimo in un romanzo di John Le Carré, di una “rete parallela” che condiscende e assiste la vita in clandestinità), e il dialogo molto brioso e informale con la nuova stellina del partito democratico, Debora Serracchiani (la quale, spero perché presa alla sprovvista e/o colta dall'emozione, non ricordava le parole dell'inno di Mameli. Un punto in meno).

Parafrasando i ruoli del calcio, Se Cruciani è un mediano dai piedi buoni e dal rendimento costante alla Cambiasso, Telese è un fantasista dalle giocate imprevedibili, alla Ronaldinho, capace sia di colpi geniali come di lunghi momenti anonimi senza spunti degni di nota. Se, al di là delle idee politiche, sia meglio l'uno o l'altro è difficile dirlo, e forse non ha neppure tanto senso domandarselo.

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Ancora giusto due parole sull'oscura "rete parallela" di cui secondo il sindaco di Novara Giordano si giovano i clandestini. Secondo me Telese ieri è stato perfetto quando ha osservato che il discorso di Giordano si applicherebbe bene se stessimo parlando di nemici. Non è così. Non sono nemici.

Secondo me il contrasto all'immigrazione clandestina si deve esercitare su due livelli, con intensità diverse e con obiettivi diversi. Un livello è il controllo alle frontiere. Lì bisogna essere rigidi, chi non ha titolo non deve entrare, punto. L'altro livello è la gestione di chi sul suolo italiano già c'è (o di chi riesce per sua fortuna o per nostra sciatteria riesce comunque ad entrare).

Siccome la messa in atto di espulsioni coatte di massa non è oggettivamente pensabile, nel momento in cui questi immigrati diventano parte del tessuto sociale del sistema Italia, si guadagnano, per una questione di diritto universale, l'onore di beneficiare della scuola, della sanità, e di tutti i pubblici servizi, senza bisogno di "reti parallele", perché stiamo parlando di persone, e non di nemici o di animali. Poi, chi vivrà nel rispetto delle regole, lavorando, si guadagnerà, dopo un ragionevole periodo di tempo, una regolarizzazione. Chi violerà o ha violato in passato la legge, invece, andrà perseguito con fermezza e cacciato nel più breve tempo possibile. Così, piaccia o non piaccia, è come la penso io.

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Led Zeppelin, "Immigrant Song" (1970)





mercoledì 19 agosto 2009

Febbre a 90'

Due i temi al centro dell'attenzione alla Zanzara di ieri: l'impossibilità, dopo l'entrata in vigore del recente decreto sicurezza, di convolare a nozze per chi è clandestino e la prossima introduzione della "tessera del tifoso" quale deterrente per la violenza negli stadi.

Il conduttore supplente, Luca Telese, si è espresso negativamente su entrambi i provvedimenti. Nel primo caso il diritto al matrimonio per l'ex collaboratore del Giornale è da considerarsi universale, senza limiti. Nulla deve impedire a due persone che di amano di unirsi, e se in certi casi i matrimoni misti sono fittizi, di convenienza, finalizzati meramente all'ottenimento di un permesso di soggiorno, pazienza, “fatti loro”. Sulla tessera del tifoso, poi, Telese si è detto contrario alle "schedature" e alle limitazioni, considerandole una violazione della libertà personale.

Su alcuni punti non sono pienamente d'accordo con le tesi di Telese, ma è meglio procedere con ordine.


MATRIMONI MISTI

Questo tema è frutto della solita manipolazione della realtà messa in atto a fini elettorali dalla Lega, che come al solito solletica gli istinti più biechi di quella parte dei cittadini che non vede di buon occhio gli stranieri semplicemente in quanto stranieri, al di là del fatto che delinquino o meno. E il solito equivoco che si fonda sulla falsa equazione immigrazione = criminalità, e che in realtà nasconde solo un'antistorica contrarietà allo sviluppo di una società multirazziale e multiculturale.


GreenCard


Ciò detto, non sono d'accordo con Telese quando questi fa spallucce di fronte ai matrimoni di convenienza. L'integrazione degli immigrati va senza'altro assecondata (quindi sì, assolutamente sì, al diritto universale al matrimonio), ma simultaneamente va anche regolarizzata. Il fenomeno dei matrimoni finti deve comunque essere contrastato non rendendo la vita difficile ai reali promessi sposi, ma intensificando quelle forme di controllo mediante le quali arrivare ad annullare (e magari a punire con l'espulsione per lo straniero e con forti multe per l'italiano coinvolti) quelle unioni meramente finalizzate all'ottenimento del permesso di soggiorno permanente.


TESSERA DEL TIFOSO

Più ci rifletto e più mi convinco che la tessera del tifoso sia un passo ineludibile verso lo sradicamento del fenomeno della violenza negli stadi. Tra le critiche a questa novità posso accettare quelle di chi dice che la tessera del tifoso di per sé non basta, è solo un piccolo tassello di un puzzle di provvedimenti più ampi da adottare al più presto (responsabilizzazione delle società di calcio, predisposizione di un servizio di ordine privato, stop alle trasferte organizzate di massa, ecc.), ma non posso mandar giù l'incomprensibile spauracchio della schedatura paventato ieri da Telese.

Non abbiamo tutti una carta d'identità e una patente di guida? Non sono anche quelle, in fondo, delle forme di schedatura a cui eventualmente ribellarsi? Dai, siamo seri, la schedatura e il presunto sistema di stato poliziesco è l'ultimo dei problemi.

Il punto è un altro. Il punto è comprendere che gli stadi devono essere sottratti al predominio degli ultras e riconsegnati ai cittadini e alle famiglie. Questo è l'obiettivo che dobbiamo porci. Andare allo stadio deve essere come andare al cinema, o a teatro, o a un concerto, Si va, ci si siede, ci si gode dello spettacolo, si fa il tifo, si incita, si gioisce, si piange, si ride, si applaude, si fischia, ecc. ecc., e poi si torna a casa. Non si lanciano oggetti in campo, non ci si mena, e non si provoca l'intervento delle forze dell'ordine.

Se la tessera del tifoso, nel medio-lungo periodo, può contribuire a filtrare e isolare i violenti, premiando invece chi vive in modo sano la propria passione, la propria febbre a 90', per quel che mi riguarda ben venga.


Fever Pitch


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"Febbre a 90' riguarda la condizione del tifoso. Ho letto libri scritti da persone che evidentemente amano il calcio, ma questo è tutto un'altra cosa; e ho letto libri scritti, in mancanza di una parola migliore, da hooligan; ma almeno il 95 per cento dei milioni di spettatori che ogni anno guardano le partite non hanno mai dato un pugno in vita loro. Questo libro quindi è per noialtri, e per chiunque si sia chiesto cosa significhi essere fatti così. Nonostante i particolari qui riportati riguardino solo me, spero stuzzicheranno quanti si siano mai scoperti andare alla deriva, nel bel mezzo di una giornata di lavoro o di un film o di una conversazione, verso un sinistro al volo nel sette di destra, sferrato dieci o quindici o venticinque anni fa."

(Nick Hornby, dall'introduzione del libro "Febbre a 90'")


"Mi innamorai del calcio come mi sarei poi innamorato delle donne: improvvisamente, inesplicabilmente, acriticamente, senza pensare al dolore o allo sconvolgimento che avrebbe portato con sé."

(Incipit del libro)


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E per chiudere eccovi un paio di mitiche scene dal film tratto dal summenzionato libro di Hornby. Nella prima il protagonista spiega la sua passione assoluta e illogica per il calcio e per l'Arsenal, mentre nella seconda assiste al realizzarsi di quello che è il massimo sogno di ogni tifoso: vincere lo scudetto all'ultima giornata, in casa della squadra rivale, con un gol al novantesimo.







(26 maggio 1989, Liverpool - Arsenal. Per aggiudicarsi il titolo, soffiandolo proprio al Liverpool, i Gunners devono vincere in casa dei Reds con due gol di scarto. Il primo gol l'Arsenal lo realizza al settimo minuto del secondo tempo. Il secondo... beh, vedetevi il video.)





martedì 18 agosto 2009

Don Chisciotte della Mancia

Di ritorno dalle mie vacanze, riaccendo la radio dopo due settimane e mi ritrovo una Zanzara superleggera, scanzonata e volubile che, tutto sommato, si addice al periodo ferragostano nel quale corpi e menti rifuggono le discussioni sulla stretta attualità preferendo godere degli ultimi residui di libertà.

E una Zanzara del genere, così diversa da quella standard, così informale, così rallegrante, così sciocchina, così lontana dal "datemi del lei" tipico del Cruciani style, non poteva che essere condotta da Luca Telese, uno degli ultimi Don Chisciotte del giornalismo (anche se in effetti assomiglia più a Sancho Panza), persona alla mano a cui si può dare del tu, il quale, peraltro, da qualche giorno ha annunciato la fine della sua collaborazione con l'house organ berlusconiano, Il Giornale, per passare al Fatto di Marco Travaglio e Antonio Padellaro, dimora nella quale finalmente egli potrà sputare il cuore in faccia all'ingiustizia giorno e notte, senza più temere troppo per il proprio didietro.


Sancho Panza


(Aperta parentesi. Domanda: alla luce della nuova collocazione di Telese, le porte di Radio 24 rimarranno aperte per lui in futuro? Io simultaneamente spero di sì e temo di no, ma ad ogni modo la risposta che prossimamente i fatti daranno a questa domanda mi chiariranno l'effettivo grado di libertà che vige in Radio 24. Chiusa parentesi.)

Nella trasmissione di ieri, per la cronaca, si è parlato in gran parte di un argomento piuttosto futile, oltre che trito e ritrito: la faccenda dell'inno nazionale, che periodicamente Umberto Bossi tira fuori per prendersi un altro po' di scena.

Secondo me per trattare esaustivamente l'argomento sono più che sufficienti poche parole. E' vero che l'inno di Mameli è una marcetta un po' goffa accompagnata da un testo incomprensibile, ma se ritmicamente la melodia non fosse così veloce tutto sommato potrebbe pure avvicinare quei tratti epici che dovrebbero essere propri di un inno. E ad ogni modo, a prescindere dalle qualità artistiche della composizione di Mameli, ormai il dado è tratto. Il nostro inno è questo, e ce lo dobbiamo tenere così com'è, anche tenendo conto che esso, in ultima analisi, è diventato patrimonio di tutti gli italiani.

Il "Va pensiero" di Verdi, usurpato dai leghisti, è musicalmente di tutt'altra categoria, nessun dubbio. Ma mettersi ora a ipotizzare un'eventuale sostituzione dell'inno semplicemente non ha senso, così come non ne ha il questionare su gli altri simboli della nazione ormai acquisiti come definitivi: i confini del territorio, la lingua nazionale, la bandiera, ecc. Sono punti fermi, e tali devono rimanere, piaccia o non piaccia, perché non è pensabile mettersi a ridiscutere sempre tutto dalle fondamenta. Non che discuterne metterebbe a rischio l'unità e l'identità nazionale (non esageriamo), ma un dibattito del genere durerebbe in eterno senza mai riuscire a mettere tutti d'accordo, e risulterebbe in una gigantesca perdita di tempo. Tanto vale tenerci quel che abbiamo e amen.

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Francesco Guccini, "Don Chisciotte" (2000).




Il potere è l'immondizia della storia degli umani
e anche se siamo soltanto due romantici rottami
sputeremo il cuore in faccia all'ingiustizia giorno e notte
siamo i grandi della Mancha
Sancho Panza e Don Chisciotte!